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lunedì 28 novembre 2011

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09.06.2011, n. 12555

Cassazione Civile, Sez. Lav., Sentenza 12555/2011
sentenza, sanzione disciplinare, sospensione


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

MOTIVI DELLA DECISIONE

P.Q.M.

Cass., Sez. Lav., sent. n. 12555/2011

(OMISSIS)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società P.I. appellava la sentenza del Tribunale di Milano che, accogliendo la domanda di P.G., dichiarò illegittima la sanzione disciplinare della sospensione per dieci giorni irrogatagli, condannando la società a restituire l'importo di Euro 588,90. L'appellante censurava la sentenza laddove aveva ritenuto che la sanzione era stata irrogata in violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e cioè ancor prima della contestazione disciplinare, individuata erroneamente nella ricezione della relativa lettera a mezzo raccomandata (del 17 luglio 2001) e non in quella della tentata consegna a mano all'interno dell'azienda (21 giugno 2001) della medesima. Ribadiva quindi le argomentazioni a sostegno della legittimità, nel merito, della sanzione.

All'udienza del 10 ottobre 2006 la Corte d'appello di Milano respingeva il gravame.

Propone ricorso per cassazione la società Poste Italiane, affidato ad unico motivo. Resiste il P. con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

La società P. I.denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ravvisato nell'avere la corte territoriale dapprima stabilito che il rifiuto di ricevere un atto da parte del destinatario non può risolversi in favore di quest'ultimo, e di avere al contempo ritenuto che il rifiuto da parte del P. di ricevere a mano la contestazione disciplinare, imponesse di considerare come data dell'avvenuta comunicazione solo quella del pervenimento presso il suo domicilio della lettera raccomandata contente la contestazione medesima. Il motivo è fondato.

Deve precisarsi che la corte di merito ha ritenuto la sanzione illegittima perchè irrogata in violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 6, avendo la società Poste Italiane eseguito la sanzione prima del decorso del termine di 20 giorni concesso al lavoratore per adire il collegio arbitrale. La società Poste lamentò comunque che il dies a quo per il computo del termine doveva individuarsi nel 21 giugno 2001, data della tentata consegna a mani della lettera di contestazione e del rifiuto del lavoratore di riceverla, proprio alla luce dei principi generali enunciati dalla sentenza impugnata.

Osserva la Corte che in effetti quest'ultima, pur avendo accertato che trattavasi di una busta indirizzata al P. proveniente dall'ufficio disciplina, che incaricati del datore di lavoro tentarono di consegnare al P. nel luogo e durante l'orario di lavoro, ha ritenuto che, essendo emerso che tale busta rimase chiusa, non vi era la prova che essa contenesse effettivamente la contestazione disciplinare de qua, ritenendo che in tal caso non si versava in ipotesi di rifiuto, non essendogli stato l'atto nè consegnato nè letto.

Essendo la contestazione poi pervenuta al P. con lettera raccomandata in data 17 luglio 2001, la comunicazione del provvedimento disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del 12 luglio 2001, risultava illegittima.

Il ragionamento risulta logicamente viziato ed erroneo. Logicamente viziato in quanto la circostanza che la busta non venne aperta nè letta non incide minimamente sul rifiuto del P. di riceverla, anzi risulta conseguenza di tale rifiuto.

Per il resto deve osservarsi che nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile (in linea di massima, giacchè non esiste un obbligo o un onere generale ed incondizionato di ricevere comunicazioni scritte da chicchessia e in qualunque situazione), l'obbligo del lavoratore di ricevere sul posto di lavoro e durante l'orario lavorativo comunicazioni, anche formali da parte del datore di lavoro o di suoi delegati, in considerazione dello stretto vincolo contrattuale che lega le parti di detto rapporto, sicchè il rifiuto del lavoratore destinatario di un atto unilaterale recettizio di riceverlo comporta che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta, in quanto giunta ritualmente, ai sensi dell'art. 1335 cod. civ., a quello che, in quel momento, era l'indirizzo del destinatario stesso, Cass. 18 settembre 2009 n. 20273, Cass. 3 novembre 2008 n. 26390, Cass. 12 novembre 1999 n. 12571.

Il principio risultava già chiarito da Cass. 5 giugno 2001 n. 7620, secondo cui, anche al di fuori dell'ambito di operatività dell'art. 138 c.p.c., comma 2, il rifiuto del destinatario di un atto unilaterale recettizio di ricevere lo stesso non esclude che la comunicazione debba ritenersi avvenuta e produca i relativi effetti, ha un ambito di validità determinato dal concorrente operare del principio secondo cui non esiste, in termini generali ed incondizionati, l'obbligo, o l'onere, del soggetto giuridico di ricevere comunicazioni e, in particolare, di accettare la consegna di comunicazioni scritte da parte di chicchessia e in qualunque situazione. Infatti, al di fuori del campo delle comunicazioni normativamente disciplinate, quali quelle mediante notificazione o mediante i servizi postali, una soggezione in tal senso del destinatario non esiste in termini generali, ma può dipendere dalle situazioni o dai rapporti giuridici cui la comunicazione si collega.

In particolare, nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile in linea di massima l'obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale egli è sottoposto (così come non può escludersi un obbligo di ascolto, e quindi anche di ricevere comunicazioni, da parte dei superiori del lavoratore), mentre un obbligo analogo non è configurabile, in genere, al di fuori dell'orario e del posto di lavoro e, in particolare, in un luogo pubblico.

Nella specie, come detto, trattavasi di atto proveniente dall'ufficio disciplina, che la società Poste, a mezzo di appositi incaricati, cercò di consegnare al P. nel posto di lavoro e durante l'orario di lavoro, cui il P. si oppose.

Per le ragioni dette, la circostanza che la busta non venne aperta o letta in sua presenza è irrilevante, così come, ai fini dell'avventa comunicazione, il suo rifiuto di riceverla. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l'ulteriore esame della controversia e la liquidazione delle spese.



LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.