Cass. sent. n. 24479/2011
FATTO
Con sentenza del 18 dicembre 2007 la Corte d'appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari confermava la statuizione di primo grado, con cui era stata dichiarata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra C.G. e la M. spa, a partire dal 24 gennaio 2003, data di stipulazione del primo contratto a tempo determinato e condannava la società alla erogazione delle retribuzioni maturate dal 10 maggio 2006, data di ricezione della raccomandata con cui la lavoratrice aveva messo a disposizione la prestazione. La Corte territoriale - premesso che la società aveva censurato solo genericamente la illegittimità del termine apposto al primo contratto per difetto di specificità dei motivi che ne consentivano l'apposizione - affermava che la conseguenza era la nullità del termine medesimo, escludendo che il regime sanzionatorio fosse quello di cui al D.Lgs. n. 369 del 2001, art. 5, che vale solo in ipotesi di prosecuzione del rapporto in presenza di un termine legittimamente apposto. Senza fondamento era poi l'ulteriore doglianza per cui il contratto sarebbe validamente proseguito in forza della proroga legittimamente apposta, perchè questa avrebbe potuto valere solo se in origine il rapporto a tempo determinato fosse stato valido, ma così non era.
Avverso detta sentenza la società soccombente ricorre con tre motivi, illustrati da memoria.
Resiste la C. con controricorso.
DIRITTO
Con il primo mezzo, denunziando violazione dell'art. 12 preleggi, e del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 5, si chiede alla Corte di decidere se la sanzione della conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato sia prevista solo nei casi di cui all'art. 5 della predetta legge e non già nei casi di cui all'art. 1 che si limita a stabilire la nullità del termine che non risulta da atto scritto.
Con il secondo, deducendo violazione della L. n. 368 del 2001, artt. 1 e 5, nei testo anteriore alla L. n. 247 del 2007, e dell'art. 1419 c.c., comma 1, si chiede di conoscere se il D.Lgs. n. 368 del 2001, abbia abrogato il principio per cui il contratto di lavoro a tempo determinato è l'eccezione e il contratto a tempo indeterminato è la regola, sicchè, in caso di nullità del termine per omessa specificazione delle ragioni giustificatrici, si configura una nullità totale del contratto. Si chiede altresì se la nullità del termine per omessa specificazione delle ragioni giustificatrici, comporti l'applicazione dell'art. 1419 c.c..
Entrambi i motivi sono infondati, alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità. Ed infatti il principio - applicato in fattispecie di primo ed unico contratto a termine - è (Cass. n. 12985 del 21/05/2008) che "Il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l'apposizione del termine un'ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l'apposizione del termine "per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua deìl'interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatoli nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all'illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l'invalidità parziale relativa alla sola clausola e l'instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato".
Nello stesso senso è stato confermato (Cass. n. 10033 dei 27/04/2010) che "L'apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l'onere di indicare in modo circostanziato e puntuale - al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto - le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell'ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell'ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa." Parimenti infondato è il terzo mezzo, con cui, lamentando violazione degli artt. 101, 414 e 420 c.p.c., si censura la sentenza per avere negato la produzione di un documento, reso necessario in considerazione di circostanze allegate da controparte nel corso del giudizio. Si tratterebbe, nella specie, del documento che proverebbe la rituale proroga del contratto. Il motivo è infondato alla luce di quanto già rilevato dalla sentenza impugnata e cioè che la dedotta proroga regolare varrebbe solo se il contratto iniziale fosse stato valido, il che però non era per le argomentazioni già svolte.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 40,00, per esborsi e tremilacinquecento Euro per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.
Archivio: QS