(OMISSIS)
Con ricorso depositato il 15-11-2007 M.G. adiva il Tribunale di Ravenna in funzione di giudice del lavoro onde ottenere - premesso di essere stata licenziata per giustificato motivo oggettivo (a seguito della soppressione del posto di lavoro e conseguente riorganizzazione) dallo "Studio S. - consulenza tributaria e commerciale, con sede in Faenza", datore di lavoro, con lettera in data 3-10-2005 di comunicazione di "preavviso di licenziamento ai sensi dell'art. 14 parte terza del CCNL Studi Professionali" e di avere presentato in data 10-2-2006 domanda all'I.N.P.S. per ottenere l'indennità ordinaria di disoccupazione, prestazione concessa e in seguito "revocata" - previo accertamento del proprio licenziamento a opera dello "Studio S. in data 13.01.2006 per giustificato motivo, causa soppressione del posto di lavoro (...) ricoperto e conseguente alla riorganizzazione dell'attività dello studio professionale", la declaratoria di nullità o l'annullamento del "provvedimento di revoca della indennità di disoccupazione inizialmente concessa" e la condanna dell'I.N.P.S. a corrisponderle la prestazione de qua nella misura di legge oltre accessori.
Instauratosi il contraddittorio, l'I.N.P.S. contestava la fondatezza del ricorso reclamandone il rigetto.
Con sentenza del 23/24-9-2008 l'adito Tribunale, istruita la causa con acquisizione di documenti ed espletamento di prova per testi, condannava l'I.N.P.S. a erogare alla ricorrente "l'indennità di disoccupazione spettantele (...) oltre interessi legali".
Avverso tale decisione proponeva appello - con ricorso depositato il 5-12-2008 - l'I.N.P.S., anche quale mandatario speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. S.p.A., che ne invocava la riforma, "richiamando le domande ed eccezioni esposte nella memoria difensiva di primo grado (...) parzialmente non considerate dal Tribunale", sulla base di un unico articolato motivo.
Resisteva la G. - costituitasi in giudizio con memoria depositata il 27-1-2011 - che instava per la reiezione del gravame.
All'udienza collegiale del 17-2-2011, precisate le conclusioni in atti, la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo di cui era data lettura.
E" da premettere che l'appello proposto dalla Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. S.p.A., non avendo essa partecipato al giudizio di primo grado, è (da ritenersi) inammissibile "posto che la qualità di parte processuale assunta nel giudizio di primo grado, è il presupposto giuridico formale che legittima attivamente e passivamente l'impugnazione in appello" (Cass., 5-3-2003 n. 3258).
L'atto d'appello non è, peraltro, da considerarsi valido come intervento "posto che, ai sensi dell'art. 344 cod. proc. civ., l'intervento in appello è ammissibile soltanto quando l'interventore sia legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell'art. 404 cod. proc. civ., ossia nel caso in cui egli rivendichi, nei confronti di entrambe le parti, la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione accertata o costituita dalla sentenza di primo grado, e non anche quando, come nella specie, I "intervento sia qualificabile come adesivo, perché volto a sostenere I "impugnazione di una delle parti per porsi al riparo da un pregiudizio mediato dipendente dal rapporto che lega il suo diritto a quello di una delle parti" (Cass., 2003 n. 3258, cit.; v., anche, tra le numerose altre, Cass., 23-5-2006 n. 12114).
Ciò premesso, l'I.N.P.S., con l'unico articolato motivo, deduce l'erroneità della sentenza di primo grado per avere il Tribunale accolto il ricorso - "non considerando", peraltro, le "argomentazioni proposte (...) in via principale" nella memoria di costituzione - senza tenere conto "della natura giuridica delle clausole dell'atto di transazione intervenuto tra il datore di lavoro e parte ricorrente" e che le "dimissioni cosiddette "incentivate" e cioè agevolate da provvidenze od inventivi, analogamente alla mobilità volontaria ed al prepensionamento" come chiarito dalla "Corte di Cassazione con la Sentenza n. 5940/2004" danno luogo "alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro" risoluzione consensuale presente nella fattispecie in quanto dalla transazione intervenuta era dato ricavare "la corresponsione di un incentivo all'esodo, nell'ambito di un atto con il quale si (...) (veniva) a determinare la cessazione del rapporto di lavoro".
L'appello è (da ritenersi) infondato.
Non è controverso, in punto di fatto, che: a) con lettera in data 3-10-2005 di comunicazione di "preavviso di licenziamento ai sensi dell'art. 14 parte terza del CCNL Studi Professionali" la ricorrente/odierna appellata è stata licenziata per giustificato motivo oggettivo (a seguito della soppressione del posto di lavoro e conseguente riorganizzazione) dallo "Studio S. - consulenza tributaria e commerciale, con sede in Faenza", datore di lavoro; b) con verbale di conciliazione in sede sindacale in data 9-2-2006, a seguito dell'impugnazione del licenziamento da parte della ricorrente/odierna appellata, è stata offerta e accettata, premesso che "lo Studio S. ribadisce e precisa che il licenziamento di cui in premessa è stato adottato per giustificato motivo. oggettivo", la somma di Euro 8.200 "a titolo di incentivo all'esodo e comunque nell'ambito di una generale transazione novativa" con rinuncia all'impugnazione del licenziamento.
Orbene, come correttamente rimarcato dal giudice di prime cure, non è dato senz'altro "ipotizzare, al contrario di quanto sostenuto dall'INPS all'esito del ricorso amministrativo, che la risoluzione del rapporto di cui si discute sia avvenuta per dimissioni rassegnate dalla stessa lavoratrice, non essendovi traccia di una simile volontà unilaterale nei fatti che hanno portato alla perdita del posto di lavoro da parte della ricorrente" (grassetto dell'estensore).
Né, d'altra parte, come del pari correttamente osservato nella decisione gravata, è dato affermare "che detta perdita del posto di lavoro sia avvenuta per risoluzione consensuale, secondo l'altra tesi pure sostenuta in giudizio dall'INPS (grassetti dell'estensore); per la cui ricorrenza sarebbe stata necessaria la revoca del licenziamento e comunque un accordo, realmente innovativo, volto a sostituire alla risoluzione datoriale una diversa fattispecie negoziale diretta a risolvere il rapporto di lavoro con la partecipazione necessaria della volontà del lavoratore", accordo non presente nella fattispecie in quanto "come ribadito nello stesso verbale di conciliazione in più punti ed in seguito anche nel corso di questo giudizio dal datore di lavoro chiamato a testimone, il rapporto di lavoro è stato invece risolto a seguito del licenziamento" non potendo il riferimento, contenuto nel verbale di conciliazione, all'erogazione della somma "a titolo di incentivo all'esodo" "portare a confondere l'atto che ha posto fine al rapporto (che rimane il licenziamento come ribadito nel verbale di conciliazione) con l'accordo raggiunto tra le parti sulle conseguenze derivanti dal medesimo atto risolutivo e sull'imputazione della somma erogata alla ricorrente per la sua impugnazione" (v., d'altra parte, deposizione teste S. il quale ha dichiarato: "Qualunque pretesa della G. veniva transatta con la corresponsione di tale somma in quanto la G. aveva impugnato il licenziamento": grassetti dell'estensore) considerato, peraltro, che "la stessa formula utilizzata a giustificazione della erogazione sembra più una clausola di stile che un'effettiva causale giuridica capace di sostituirsi all'atto che ha provocato l'effettivo scioglimento del rapporto, come dimostrato pure dal fatto che sono state richiamate in proposito, ed accomunate sotto il medesimo titolo, un'endiadi di fattispecie assolutamente contraddittorie ("incentivo all'esodo e transazione novativa")" (grassetti dell'estensore).
Ancora, come affermato dal Tribunale, per un verso, "neppure ove si trattasse di vero incentivo all'esodo il medesimo pagamento si porrebbe in contraddizione col licenziamento che sta a monte; si tratterebbe allora di una somma pagata al lavoratore per agevolare la risoluzione unilaterale del rapporto con la rinuncia all'impugnazione del licenziamento e la rinuncia all'impugnazione non vale a trasformare un licenziamento in una risoluzione consensuale", e, per altro verso, "l'aver evocato una generica e "generale transazione novativa"" non "può portare (...) a sostituire la realtà del provvedimento risolutorio unilaterale con un negozio bilaterale di risoluzione consensuale di cui non vi è traccia in atti" essendo necessario "come insegna la giurisprudenza proprio in materia di opponibilità delle transazioni novative all'INPS" sempre "analizzare la vera realtà della lite, degli accordi e delle reciproche concessioni (nella specie, integrate dall'erogazione di una somma "contro" la rinuncia a impugnare giudizialmente il licenziamento: nota dell'estensore) per poter risolvere la questione della natura innovativa o meno del negozio transattivo, non bastando allo scopo la mera qualificazione formalmente adoperata dalle parti" (grassetti dell'estensore).
È da osservare, poi, che il giudice di prime cure ha richiamato la giurisprudenza della Corte regolatrice in materia di opponibilità all'I.N.P.S. delle transazioni intervenute tra prestatore e datore di lavoro anche per rimarcare che "il principio affermato dalla Cassazione (...) del tutto condivisibile" intende "solo ribadire che ai fini dell'indennità di disoccupazione debba necessariamente ricorrere il presupposto effettivo del licenziamento, mentre non basterebbe la mera enunciazione della sua esistenza nell'accordo conciliativo" e che "nella vicenda in esame proprio di questo si tratta, non potendosi contestare che la risoluzione del rapporto sia effettivamente intervenuta a seguito di licenziamento e non di altro negozio risolutivo, mentre non ha alcun rilievo a tal fine l'accordo transattivo" (grassetti dell'estensore).
È da rilevare, infine, che il Tribunale, per "contrastare" la tesi difensiva del(l'allora) resistente/(odierno)appellante ("legittimità" del licenziamento "ai fini dell'erogazione" della prestazione "come elemento costitutivo"), ha, altresì, correttamente sottolineato che "ai fini dell'indennità di disoccupazione il licenziamento (ogni sorta di licenziamento) rileva in quanto tale, come presupposto giuridico; mentre non può interessare la legittimità o meno dell'atto" sì che il "sindacato" deve "arrestarsi alla verifica della esistenza della fattispecie formale senza scendere nel merito della validità stessa del licenziamento" (grassetti dell'estensore) (considerato, peraltro, "come esista un'ampia area di tutela contro il licenziamento (quella afferente alla tutela obbligatoria ed al recesso ad nutum) in cui la stessa illegittimità del licenziamento non sarebbe in grado di garantire alcun posto di lavoro al lavoratore; sicché in questi casi, ove si dovesse seguire la tesi ventilata dall'INPS il lavoratore resterebbe da una parte senza la possibilità di ottenere alcuna reintegra in un posto di lavoro che non è riottenibile per legge; e dall'altra parte perderebbe pure la possibilità di ottenere il trattamento di disoccupazione ove si palesasse illegittimo il licenziamento") e che solo "se il lavoratore, e nella sola area di tutela reale ex art. 18 dovesse poi riottenere il posto di lavoro l "inps avrebbe semplicemente titolo per ripetere 1 "indennità nel frattempo erogata, e ciò perché il rapporto di lavoro si considera come se non fosse mai cessato; mentre ciò non potrebbe mai accadere nelle altre aree di tutela prima richiamate, considerate pure le diverse funzioni rivestite dalla tutela lavoristica contro il licenziamento illegittimo e da quella previdenziale contro la disoccupazione (subordinata alla ricorrenza di ulteriori presupposti)".
Ne consegue che la decisione gravata, affatto conforme a diritto (e in cui, peraltro, contrariamente a quanto sostenuto, sono state "delibate" tutte le argomentazioni difensive dell'Istituto previdenziale), deve essere mantenuta ferma e che l'appello deve essere respinto.
In considerazione dell'esito del giudizio, le spese del grado - come liquidate in dispositivo - sono da porre a carico dell'I.N.P.S.
La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, dichiara inammissibile l'appello proposto dalla S.C.C.I. S.p.A.; respinge l'appello proposto dall'I.N.P.S. avverso la sentenza n. 437 del 23-9-2008 del Tribunale di Ravenna. Condanna l'I.N.P.S. al pagamento delle spese del grado liquidate in Euro 800,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari oltre accessori di legge.