Svolgimento del processo
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Genova, confermando la decisone di primo grado, ha affermato il diritto di A.V. a percepire l'indennità di disoccupazione dal 1 gennaio 2006 al 30 aprile 2006, ritenendo che il biennio antecedente l'inizio dello stato di disoccupazione (biennio nel quale deve realizzarsi il requisito dell'anno di contribuzione richiesto per l'attribuzione del suddetto trattamento previdenziale), dovesse essere, nella specie, ampliato facendo applicazione dell'istituto della c.d. "neutralizzazione" in relazione a un periodo (5 mesi) corrispondente a quello di astensione obbligatoria per maternità, fruito dall' A. al di fuori del rapporto di lavoro, ma indennizzato e coperto da contribuzione figurativa.
L'INPS chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso fondato su un unico motivo.
La parte privata non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Nell'unico motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 818 del 1957, artt. 12 e 37, in riferimento al R.D.L. n. 636 del 1939, art. 19, l'INPS sostiene che le conclusioni della sentenza impugnata muovono da un'incompleta disamina delle norme che disciplinano la materia, posto che i periodi di maternità, corrispondenti a quelli di astensione obbligatoria dal lavoro, ma non interni ad un rapporto di lavoro, non danno luogo a contribuzione figurativa utile ai fini della tutela contro la disoccupazione, nè possono essere "neutralizzati" ai fini del computo del biennio nel quale, ai sensi del citato R.D.L. n. 636 del 1939, art. 19, deve realizzarsi l'anno di contribuzione prescritto per il conseguimento del suddetto trattamento previdenziale. Tanto, sottolinea l'Istituto ricorrente, è reso evidente, in particolare, dalla disciplina del D.P.R. n. 818 del 1957, art. 37, ed appare successivamente ribadito dal legislatore nel D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 25.
Il ricorso è fondato.
Prima di procedere all'esame delle disposizioni di legge che vengono in rilievo nella fattispecie controversa, ritiene la Corte necessaria una premessa di carattere generale.
I contributi figurativi sono espressione della partecipazione finanziaria dello Stato al sistema di sicurezza sociale: in presenza di particolari eventi che possono pregiudicare, per il lavoratore, il futuro godimento delle prestazioni previdenziali e che la legge, di volta in volta, qualifica come meritevoli di tutela attraverso l'intervento della solidarietà generale, il finanziamento pubblico si sostituisce (sotto forma, appunto, di contribuzione fittizia) alla contribuzione dei datori e dei prestatori di lavoro.
Peraltro, proprio perchè si tratta di interventi che vanno ad incidere sull'intera collettività, la legge stabilisce, in modo particolareggiato, le prestazioni che ne costituiscono oggetto e quali ne sono le modalità e i limiti. Si tratta quindi, per ogni situazione regolamentata, di una disciplina speciale che non può essere "esportata" ad altre e diverse situazioni in nome di un "principio generale" di sistema che, per le considerazioni appena esposte, non ha ragion d'essere quando si tratti di sostituire all'apporto finanziario da parte delle categorie interessate quello dello Stato.
Non può, conseguentemente, condividersi la sentenza impugnata, laddove, richiamando la sentenza di questa Corte n. 8895 del 2003 (quest'ultima riferita ai periodi di contribuzione necessari ai fini del diritto alla pensione di invalidità) e facendone propria la tesi, afferma l'esistenza, nel sistema previdenziale, di un principio generale di "neutralizzazione" dei periodi di contribuzione figurativa, applicabile, dunque, per tutte le prestazioni previdenziali; nè tantomeno può considerarsi conforme a diritto l'affermazione secondo cui il principio in questione sarebbe argomentarle dalle disposizioni dettate dal D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, art. 37.
Deve, infatti, osservare la Corte il D.P.R. n. 818 del 1957, art. 37, nel suo comma 2, considera rilevanti , ai fini della loro esclusione (ed. neutralizzazione) dal computo del periodo contributivo necessario per l'acquisizione del diritto alle varie prestazioni nello stesso comma nominativamente indicate (e, tra queste, le indennità di disoccupazione) "I periodi indicati nel comma precedente .." ossia (comma 1) "I periodi riconosciuti come periodi di contribuzione a norma dei precedenti artt. 10 e 12..." (prima alinea del comma 1), nonchè quelli considerati nelle successive lettere a), b), e) e d) dello stesso primo comma. Non, dunque, tutti i periodi coperti da contribuzione figurativa ma solamente quelli specificamente indicati nell'art. 37. E tali sono - per quanto riguarda i periodi di maternità (i soli che vengono in questione nel caso controverso) - "i periodi di interruzione obbligatoria del lavoro durante lo stato di gravidanza e puerperio .." sempre che si verifichino nel corso di una prestazione d'opera determinante l'obbligo dell'assicurazione contro la disoccupazione (art. 12, commi 2 e 3), cui si aggiungono (ai sensi dell'art. 37, comma 1, lett. a) "i periodi di assenza facoltativa dal lavoro dopo il parto previsti dalla L. 26 agosto 1950, n. 860, art. 6, comma 2, nel testo modificato dalla L. 23 maggio 1951, n. 394" (dunque i periodi di assenza, ma sempre interni al rapporto di lavoro, dei quali ha facoltà di fruire la lavoratrice madre).
In sostanza, giusta le dettagliate indicazioni risultanti dal combinato disposto del D.P.R. n. 818 del 1957, artt. 12 e 37, sono esclusi dal computo del biennio previsto dal citato R.D.L. n. 636 del 1939, art. 19, solamente i periodi di astensione obbligatoria per maternità e di assenza facoltativa dopo il parto fruiti nel corso di un rapporto di lavoro che viene interrotto per il verificarsi dell'evento tutelato.
Questa conclusione non è contraddetta dalle norme di legge successivamente intervenute e che hanno dato tutela, attraverso la contribuzione figurativa, anche ai periodi di maternità verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro.
Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (recante "Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici) che, appresta, per la prima volta, tale tutela, prevede, infatti, nell'art. 14 (comma 1) la facoltà di riscattare, a domanda, i" periodi corrispondenti a quelli di assenza facoltativa dal lavoro per gravidanza e puerperio"; mentre, sempre nell'art. 14 (comma 3), considera coperti da contribuzione figurativa i periodi per i quali sia prevista l'astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio "ancorchè intervenuti al di fuori del rapporto di lavoro".
Si tratta, tuttavia, di contribuzione da accreditare secondo le disposizioni di cui alla L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 8 (ultima alinea del terzo comma) e, dunque, unicamente agli effetti dell'acquisizione del diritto a pensione.
Statuizione, quest'ultima convalidata dal D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 564, art. 2, comma 4, il quale, anch'esso, dispone che i periodi corrispondenti all'astensione obbligatoria dal lavoro di cui alla L. 30 dicembre 1971, n. 1204, artt. 4 e 5 (e successive modificazioni ed integrazioni) verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro "sono considerati utili ai fini pensionistici", indipendentemente dal loro verificarsi precedentemente o successivamente al 1 gennaio 1994 (data quest'ultima cui faceva, invece, riferimento il citato D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 14).
Il contenuto della norma di legge appena decotto è stato, a sua volta, sostanzialmente recepito nel D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 25, comma 2 (che raccoglie, in forma di testo unico, le disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità), il quale stabilisce, ancora una volta, che i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui ai (precedenti) artt. 16 e 17 (ossia i periodi di astensione obbligatoria e quelli in cui il divieto di adibizione al lavoro della donna in gravidanza è anticipato per disposizione del servizio ispettivo del Ministero del lavoro) "..verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro sono considerati utili ai fini pensionistici..".
Come rende evidente il loro dato testuale, le disposizioni normative appena analizzate riconoscono come periodi di contribuzione i periodi corrispondenti a quelli di astensione obbligatoria per maternità verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, ma unicamente a fini pensionistici. Nessuna di esse menziona, invero, l'indennità di disoccupazione, nè al fine di integrare, attraverso la contribuzione figurativa, il requisito contributivo necessario all'acquisizione del relativo diritto, nè al fine di escludere (ovvero di "neutralizzare") i sopra indicati periodi dal computo del biennio nel quale deve realizzarsi l'esistenza del requisito in parola.
Ne deriva, con riferimento alla presente controversia, che dal biennio previsto dal R.D.L. n. 636 del 1939, art. 19, ai fini dell'accertamento del requisito contributivo necessario al riconoscimento del diritto alla indennità di disoccupazione richiesta dalla lavoratrice odierna intimata, non poteva essere escluso ("neutralizzato") il periodo (cinque mesi) corrispondente a quello di astensione obbligatoria per maternità, ma da essa fruito al di fuori del rapporto di lavoro, benchè "coperto" da contribuzione figurativa; con l'ulteriore conseguenza che, essendo l'ampliamento del biennio in questione determinante ai fini del perfezionamento del ripetuto requisito contributivo,la sentenza impugnata (contrariamente a quanto dalla stessa ritenuto) doveva affermarne l'insussistenza.
Le considerazioni che precedono possono sintetizzarsi nel seguente principio di diritto: "I periodi corrispondenti a quelli per i quali sia prevista l'astensione obbligatoria dal lavoro in relazione all'evento maternità, ma che si collochino al di fuori del rapporto di lavoro, seppure riconosciuti come periodi contributivi attraverso la contribuzione figurativa (come previsto, nel tempo, dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 14, comma 3; poi, dal D.Lgs. n. 564 del 1996, art. 2, comma 4; infine, dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 25, comma 2), non sono utili ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità di disoccupazione e neppure possono essere esclusi ("neutralizzati") dal computo del biennio previsto dal R.D.L. n. 636 del 1939, art. 19, per l'accertamento del requisito contributivo necessario per il diritto in questione".
In conclusione il ricorso dell'INPS va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è decisa direttamente nel merito da questa Corte (art. 384 c.p.c.) nel senso del rigetto della domanda di A.V..
Stante la particolarità della questione, per la prima volta all'esame di questa Corte, si compensano tra le parti le spese dell'intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa fra le parti le spese dell'intero processo.