Svolgimento del processo
G.M. ha convenuto in giudizio l'INPS chiedendo il riconoscimento del diritto a percepire per l'anno 1996 l'indennità di disoccupazione con i requisiti contributivi ridotti di cui al D.L. n. 86 del 1998, art. 7, comma 3 (convertito in L. n. 160 del 1988), commisurata alle giornate di lavoro prestate. A corredo dell'istanza in sede amministrativa era stata presentata documentazione attestante l'inserimento in un progetto di lavori socialmente utili, nei quali la sig. G. era stata impiegata dal (OMISSIS), e la prestazione di lavoro subordinato alle dipendenze della s.r.l.
G. C. per n. (OMISSIS).
L'Istituto previdenziale aveva liquidato le giornate indennizzabili nel numero di (OMISSIS) giornate lavorative (anzichè (OMISSIS), corrispondenti a quelle prestate per la suddetta società), in considerazione del periodo di impiego in lavori socialmente utili.
Il Giudice adito ha accolto la domanda dell'attrice, diretta all'attribuzione dell'indennità di disoccupazione commisurata ad (OMISSIS) giornate; su impugnazione dell'INPS la Corte di Appello di Bologna ha confermato questa decisione, sul rilievo che l'utilizzazione in lavori socialmente utili non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro e comporta l'attribuzione di un sussidio economico compatibile con altri trattamenti previdenziali come l'indennità di mobilità e il trattamento speciale di disoccupazione.
Avverso questa sentenza l'INPS propone ricorso per Cassazione affidato ad unico motivo, al quale G.M. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 7, comma 3, (convertito in L. 20 maggio 1988, n. 160) con riferimento al D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 14, comma 4, convertito in L. 19 luglio 1994, n. 451 (sostituito dal D.L. 1 ottobre 1996, n. 160, art. 1, comma 3, convertito in L. 28 novembre 1996, n. 608) nonchè difetto di motivazione.
L'Istituto ricorrente rileva che la sentenza impugnata svolge considerazioni sulla nozione di disoccupazione involontaria e sulla disciplina dei lavori socialmente utili che non sono pertinenti rispetto al thema decidendum, mentre omette una disamina della regolamentazione della prestazione di disoccupazione erogabile sulla base di requisiti ridotti.
Si sostiene che la disciplina del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 7, prevede una tutela del lavoratore parzialmente occupato o utilizzato in un dato anno in proporzione della quantità di lavoro in concreto espletata, con esclusione di qualsiasi periodo per il quale il lavoratore medesimo ha diritto a provvidenze previdenziali o assistenziali.
Il sussidio per lavoratori socialmente utili, regolato dalla L. n. 451 del 1994, art. 14, (nel testo riformulato dal D.L. n. 510 del 1996, art. 1, comma 3, convertito in L. n. 608 del 1996) rientra nel novero dei trattamenti apprestati dalla assicurazione generale obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, e lo svolgimento di lavori di utilità sociale con attribuzione del relativo sussidio è assimilabile "limitatamente al computo delle giornate indennizzabili oggetto del contendere, ad un periodo lavorativo detraibile dal prefissato numero massimo di giornate indennizzabili (312)".
Il motivo non merita accoglimento. La questione in esame riguarda la interpretazione della norma di cui al D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 7, comma 3, convertito nella L. 20 maggio 1988, n. 160, (così come modificato e integrato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 108, art. 1, convertito nella L. 1 giugno 1991, n. 169) che estende il diritto all'indennità ordinaria di disoccupazione ai lavoratori che abbiano prestato nell'anno precedente almeno settantotto giorni di attività lavorativa, per la quale siano stati versati o siano dovuti i contributi per l'assicurazione obbligatoria. Secondo la disposizione contenuta nell'ultima parte dello stesso comma, "i predetti lavoratori hanno diritto alla indennità per un numero di giornate pari a quelle lavorate nell'anno stesso e comunque non superiore alla differenza tra il numero 312, diminuito delle giornate di trattamento di disoccupazione eventualmente goduto, e quello delle giornate di lavoro prestate").
Ai fini dell'applicazione di tale criterio, nel caso di specie il numero delle giornate lavorate nell'anno 1996 corrisponde (come indicato nello stesso ricorso dell'INPS) alle (OMISSIS) giornate dell'attività prestata alle dipendenze della società Giovanni Contarini. L'Istituto sostiene peraltro che la misura della prestazione spettante va determinata detraendo da tale numero quello delle giornate in cui la sig. G. è stata impiegata in lavori socialmente utili.
L'assunto appare infondato, dovendosi anzitutto confutare - in relazione alla nozione di "giornate lavorate" - l'affermazione della assimilabilità ad un periodo lavorativo dell'attività svolta in lavori socialmente utili (per i quali la legge esclude espressamente l'instaurazione di un rapporto di lavoro): affermazione sulla quale peraltro non sembra possibile fondare alcun argomento a supporto della detraibilità del periodo dalle giornate indennizzabili, in relazione al criterio di calcolo stabilito dalla norma in esame.
Non è d'altro canto sostenibile la incompatibilità del beneficio con le erogazioni spettanti per il periodo di utilizzazione in lavori socialmente utili. Secondo la disposizione di legge in esame, il "trattamento di disoccupazione eventualmente goduto" (a requisito ordinario) concorre a delimitare la misura della indennità di disoccupazione con requisito ridotto (Cass. 17 giugno 2005 n. 13049); ma le provvidenze previste a favore dei lavoratori socialmente utili dalla disciplina posta dal D.L. 16 maggio 1994, n. 299, conv. in L. 19 luglio 1994, n. 451, e dalle successive modifiche, con il riconoscimento di un sussidio che grava sul fondo per l'occupazione, non possono essere ricondotte alla fattispecie prevista dalla norma, perchè non corrispondono affatto ad un trattamento di disoccupazione, costituendo invece una indennità di natura assistenziale (v. in tal senso Cass. 7 luglio 2003 n. 10651, 22 giugno 2004 n. 11632, 20 agosto 2004 n. 16417, in motivazione).
Il ricorso deve essere quindi respinto, con la condanna dell'INPS al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo e da distrarsi a favore del difensore della resistente dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 10,00, oltre Euro 1.800,00 per onorari, spese generali ed accessori di legge, da distrarsi all'avv. Di Celmo Massimo antistatario.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2006.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2006