Svolgimento del processo
Il pretore giudice del lavoro di Monza, sezione distaccata di Desio, adito da T. A., U. F., R. M., B. S., Z. G., F. L., F. P., U. M., R. E., L. F., D. A., P. G. e D. S., condannava - per quanto ancora interessa in questa sede - la srl F. Nova al pagamento delle somme meglio descritte in atti in applicazione dell'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 a titolo di differenze retributive maturate da costoro, formalmente dipendenti dalla ditta A. E. di Angelo B., di cui lamentavano l'interposizione fittizia, per il lavoro svolto presso un cantiere del Comune di Carugate, che veniva assolto dalle domande proposte nei suoi confronti.
Con la sentenza descritta in epigrafe il Tribunale di Monza rigettava l'appello della società che, in contraddittorio fra le parti, aveva contestato l'applicazione dell'art. 1, legge n. 1369 del 1960 denunciando un'errata valutazione delle risultanze istruttorie e il quantum delle retribuzioni.
Osservava questo Giudice che le prove raccolte confermavano la corretta applicazione, in prime cure, della legge n. 1369 del 1960 e che la contestazioni sul quantum erano state assolutamente generiche.
Avverso la sentenza del Tribunale di Monza promuove ricorso per Cassazione affidato a tre motivi la soc. F. Nova, che ha anche depositato memoria.
Le parti intimate non si sono costituite.
Motivi della decisione
Contro la sentenza del Tribunale di Monza che ha rigettato l'appello proposto dalla srl F. Nova, questa parte denuncia tre motivi di ricorso per Cassazione.
Con la prima censura dolendosi della violazione e falsa applicazione dell'art. 1 legge n. 1369 del 1960 la società rileva che la sentenza da un lato afferma apoditticamente l'esistenza del vincolo di subordinazione inter partes sulla base dei pagamenti diretti delle retribuzioni e dei licenziamenti da parte della F., non risultando ciò dalle carte processuali e, dall'altro, afferma l'esistenza dell'assoggettamento dei lavoratori alle direttive dell'impresa, senza aver esaminato la ricorrenza del rischio in capo al subappaltatore, nella specie esistente essendo la ditta subappaltata non solo tenuta a eseguire specifici lavori ricompensati con un corrispettivo non commisurato al personale e al tempo impiegato, ma anche responsabile della loro esecuzione tempestiva in base al contratto di subappalto che prevedeva, a garanzia dell'esatto adempimento, la ritenuta del 10% sul corrispettivo e una penale in caso di ritardo.
Si duole altresì, con il secondo mezzo, della "violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. o quantomeno dell'omessa e insufficiente motivazione su vari punti essenziali della controversia" osservando, quanto al pagamento diretto dei lavoratori che ciò risulta contraddetto dai pagamenti quindicinali delle retribuzioni effettuati dalla Ditta B. a fronte d'incassi mensili della stessa in base agli stati di avanzamento dei lavori e, quanto ai cd. licenziamenti, che il ragionamento del Tribunale si basava su un'affermazione equivoca e riferita da un solo teste, tal P., tempestivamente contestato - perché inattendibile - dalla difesa societaria, del legale rappresentante della F. che aveva detto ai lavoratori "di andare a casa in quanto non aveva più i soldi per pagare il B.", mentre affatto apodittica l'affermazione, contraddetta dal contratto di subappalto, della esistenza di un accordo simulatorio fra la F. e la ditta B..
Denuncia infine con il terzo e ultimo motivo di gravame la "violazione e falsa applicazione del disposto dell'art. 2679 c.c. e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla definizione del "quantum" della condanna", posto che aveva contestato le pretese dei lavoratori sui quali comunque incombeva interamente l'onere della prova della pretesa, non avendo la società la disponibilità del rapporto inter alios actum.
Il Procuratore generale s'è dato carico di rilevare preliminarmente che andava disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti della Ditta edile artigiana di Angelo Barbareschi, nei cui confronti la notificazione del ricorso per Cassazione si è compiuta il 22 marzo 1997, oltre il termine annuale decorrente dal deposito della sentenza, non notificata, del Tribunale di Monza (9 febbraio - 20 marzo 1996).
Va premesso che con riferimento alla necessità, o non, dell'integrazione del contraddittorio nelle controversie aventi ad oggetto situazioni di interposizione fittizia nella prestazione del lavoro subordinato (legge n. 1369 del 1960) in cui il rapporto di lavoro intercorre apparentemente con l'appaltatore (soggetto interposto), ma sostanzialmente con l'appaltante o interponente si dibattono due indirizzi.
Secondo alcune sentenze (n. 6789 del 1996; n. 2740 del 1989; n. 375 del 1986; n. 5800 del 1985) non vi sarebbe alcun litisconcorzio necessario fra interponente (soggetto appaltante) e interposto (appaltatore), potendo il giudice conoscere del rapporto fra il lavoratore e l'appaltatore - fornitore di mere prestazioni di lavoro - incidenter tantum.
Secondo una più recente tesi, invece (Cass., n. 11241 del 1997 e sentenze ivi richiamate) vi sarebbe una situazione giuridica unitaria che impone l'integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto escluso dal dibattito processuale, soprattutto nel caso in cui si sia configurato un litisconsorzio necessario di carattere processuale.
Reputa tuttavia il Collegio di dover condividere la tesi più risalente, con la conseguenza che la notificazione tardiva del ricorso all'interposto rende inutile l'applicazione dell'art. 331 c.p.c., anche perché ormai nei confronti di questa parte la sentenza è passata in giudicato.
L'esame complessivo del ricorso rende evidente che tutte le censure si basano su una diversa valutazione dei fatti posti a base di una sentenza che, pur confusa per certi aspetti strutturali (i lavoratori a un certo punto diventano appellanti: cfr. penultimo periodo esposizione in fatto della sentenza; inizio "motivi della decisione" poi motivatamente contraddetto nel prosieguo), tuttavia regge alle doglianze proposte anche perché non vi si rinvengono quei requisiti di autosufficienza e di necessaria autonomia che, senza il sussidio di altre fonti, consentano di valutarne positivamente gli spunti (ex multis: Cass., n. 1239 del 1995).
Negare infatti il vincolo di subordinazione dei lavoratori alla F. attestando che non ve ne sarebbe traccia nelle risultanze processuali, né che sarebbe emerso un autonomo rischio di impresa significa tentare di sollecitare in questa sede un diverso giudizio di fatto della controversia attraverso il rinvio alle risultante probatorie emerse nei gradi di merito, non apprezzabile in Cassazione se non nei limiti in cui il ricorso ne riferisca specificamente e incisivamente il contenuto (v. ad es. testimonianza Pizzamiglio), sia attraverso la riproduzione degli atti istruttori, sia attraverso la trasposizione degli atti di cui si lamenta la svalutazione (ad es. contratto di subappalto), per denunciare il corrispondente vizio di motivazione, soprattutto se si considera che, con riferimento al vizio di "violazione della legge n. 1369 del 1960", non viene correttamente ed espressamente evidenziata la particolare rilevanza tecnica e professionale che avrebbe dovuto caratterizzare la temporanea prestazione dei lavoratori.
Quanto infine al motivo di ricorso che, investendo il quantum della condanna, lamenta lo stravolgimento dei principi dell'onere della prova, è appena il caso di osservare che il Tribunale, anche qui con giudizio di fatto non sindacabile in questa sede, attesta che "l'appellante (F.) a fronte delle precise richieste economiche da parte dei ricorrenti ha opposto una contestazione tutt'altro che specifica e puntuale", anche perché non poteva non essere a conoscenza "di quanti e di quali operai si serviva nel cantiere di Carugate", oltretutto e significativamente - si rileva in altra parte della sentenza - il contratto di subappalto non essendo stato autorizzato dal Comune di Carugate che ne aveva affidato l'esecuzione alla sola F..
Il ricorso, conformemente alle conclusioni di merito del Procuratore generale, deve essere quindi rigettato.
Nulla per le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 2 marzo 1998.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 23 GIUGNO 1998.