Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Roma M.G. proponeva appello avverso la sentenza del Pretore di Roma emessa nei confronti di Buffetti s.p.a. con la quale era stata rigettata la sua opposizione avverso il licenziamento intimatole in data (OMISSIS) per superamento del periodo di comporto.
La società Buffetti contrastava il gravame, ma il Tribunale raccoglieva sulla base delle seguenti considerazioni: l'appellante lamentava che il Pretore avesse ritenuto legittimo il licenziamento perchè alla data del recesso l'INAIL non aveva riconosciuto come infortunio sul lavoro l'incidente avvenuto in data (OMISSIS) (quando l'istante era stata investita dalla vettura di un altro lavoratore nel parcheggio riservato ai dipendenti); anche se la sentenza tra il lavoratore e l'INAIL non spiegava i suoi effetti nei confronti del datore di lavoro, il Pretore avrebbe dovuto tenere conto di tale affermazione oggettiva della verità, in mancanza di prova contraria ad istanza della società. Quest'ultima aveva replicato che al momento del recesso lo stesso era pienamente legittimo, perchè i certificati medici in possesso della società attestavano che l'assenza dal lavoro era dovuta a malattia, come del resto era confermato dal provvedimento dell'INAIL di rigetto della denunzia di infortunio; in ogni caso dalla consulenza espletata in primo grado era emerso che l'assenza per infortunio era pari a giorni 90, mentre erano ascrivibili a malattia i restanti nove mesi di assenza fino alla maturazione del periodo di comporto annuale.
L'appello era fondato: ai sensi dell'art. 10 del C.C.N.L. per le aziende grafiche l'operaio assente da lavoro per malattia aveva diritto alla conservazione del posto per la durata della malattia per un periodo di 12 mesi (punto A), mentre in caso di infortunio aveva diritto alla conservazione per un periodo pari a quello per il quale veniva corrisposta dall'INAIL l'indennità di invalidità temporanea (punto B).
Nella specie, per l'incidente occorso alla lavoratrice in data (OMISSIS) era stata presentata una denuncia di infortunio che era sicuramente nota alla Buffetti; l'INAIL aveva inizialmente escluso la natura di infortunio sul lavoro, ma successivamente il Pretore aveva accolto la domanda dell'interessata, riconoscendo in favore della stessa una invalidità permanente pari al 12%, senza però riconoscere il diritto alla rendita per avere l'infortunata ricevuto un risarcimento di L. 27.000.000. La detta rendita era stata poi riconosciuta dal Tribunale di Roma con sentenza del 04/02/1994.
Irrilevante era la circostanza che l'INAIL avesse inizialmente escluso la sussistenza dell'infortunio, perchè ovviamente il lavoratore non poteva subire il doppio danno di perdere sia il relativo indennizzo che il posto di lavoro (Cass. n. 1230/1996).
Sulla base degli elementi acquisiti al processo ed in mancanza di qualsiasi contestazione della società doveva ritenersi che anche nei confronti del datore di lavoro doveva essere ritenuta la natura lavorativa dell'infortunio occorso in data (OMISSIS), ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, perchè il fatto era avvenuto in ambito lavorativo e nel momento in cui la ricorrente si stava recando al lavoro alle ore 6 per iniziare il suo turno; non sussistevano quindi dubbi sulla riconducibilità dell'evento al punto B dell'art. 10 C.C.N.L.. A seguito dell'incidente e della iniziale immobilizzazione con apparecchio gessato, il quadro clinico si era complicato per una atrofia ossea del piede sinistro (malattia di Sudeck), per cui l'invalidità temporanea assoluta si era protratta fino al (OMISSIS), come risultava dai certificati medici e dagli accertamenti dell'I.N.P.S. a seguito di visita di controllo. Tali conclusioni erano state confermate dalla consulenza d'ufficio espletata in secondo grado. Ne derivava che la società alla data del (OMISSIS) non aveva il potere di licenziare la lavoratrice per superamento del periodo di comporto e quindi il provvedimento era nullo per violazione dell'art. 2110 c.c., comma 2 e della norma convenzionale suddetta.
La società aveva eccepito che al massimo era ravvisabile una temporanea inefficacia del licenziamento fino al venir meno della situazione ostativa, stante il principio della conservazione degli atti giuridici (Cass. n. 9037/2001). La tesi non era condivisibile, perchè si poteva parlare di temporanea inefficacia solo nel caso in cui il licenziamento fosse stato intimato per un motivo diverso da quello del superamento del periodo di comporto, ma non quando la ragione giustificatrice del recesso, come nella specie, fosse il superamento del comporto che doveva quindi preesistere alla intimazione (Cass. n. 12031/1999). Il licenziamento doveva perciò essere dichiarato nullo, con conseguente applicazione delle sanzioni di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Doveva quindi essere ordinata la reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro e condannata la società al pagamento del risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni maturate dalla data di notifica del ricorso di primo grado, 20/07/1994, ovvero dal momento in cui la ricorrente avesse comunicato il definitivo accertamento giudiziale della natura dell'infortunio; per la mancata reintegrazione della ricorrente si poteva, infatti, ravvisare la responsabilità del datore di lavoro solo dal momento in cui lo stesso aveva avuto conoscenza della natura dell'evento che aveva determinato l'assenza della lavoratrice, e fino alla data di effettiva reintegrazione.
Spettavano sulle somme dovute rivalutazione ed interessi, oltre all'adempimento degli obblighi contributivi.
E' domandata ora ad istanza del Gruppo Buffetti s.p.a. la cassazione di detta pronuncia con cinque motivi: col primo si lamenta violazione dell'art. 1334 c.c., per avere il Giudice d'appello ritenuto l'illegittimità del licenziamento per un fatto accertato dopo quattro anni dal recesso, portato a conoscenza del datore di lavoro con la notifica del ricorso introduttivo in data 20/07/1994 oltre sei anni dopo il licenziamento, in violazione del principio stabilito dall'art. 1334 c.c., secondo cui "gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati"; da qui la conseguenza che la verifica delle condizioni che legittimano il recesso deve essere effettuata con riferimento al momento in cui detto negozio unilaterale si è verificato (Cass. n. 874 del 02/02/1999). Nella specie, sussistevano le condizioni per ritenere superato il periodo di comporto, stante la documentazione sanitaria e le deliberazioni dell'INAIL sulla denuncia di infortunio e quindi la sentenza deve essere cassata con rinvio ai fini della valutazione di merito sulla legittimità dell'atto.
Col secondo motivo si lamenta violazione dell'art. 2909 c.c., per avere il Giudice d'appello attribuito efficacia nei confronti del datore di lavoro ad una sentenza "inter alios acta" e che al massimo poteva avere efficacia di prova semplice (Cass. n. 6851/2001; n. 2875/1999; 7271/1997; 1905/1996). Il Tribunale ha riconosciuto un'efficacia riflessa, su un piano in senso lato probatorio, ad una sentenza resa nel giudizio promosso dalla lavoratrice contro l'INAIL al quale la società è rimasta estranea.
Col terzo motivo si lamenta violazione dell'art. 2110 c.c., comma 2, in relazione all'art. 1334 c.c., per avere il Giudice affermato la responsabilità per danni della società dal (OMISSIS) e fino alla data della sentenza d'appello, ipotizzando un vero e proprio obbligo di revoca del recesso a carico della società una volta conosciuto l'esito del giudizio proposto dalla lavoratrice contro l'INAIL. Così il Tribunale ha violato sia il principio secondo cui la validità anche sostanziale del licenziamento deve essere valutata al momento dell'atto, ma anche il disposto dell'art. 2110 c.c., che riconosce il diritto dell'imprenditore di intimare il licenziamento decorso il periodo di comporto. I requisiti che legittimano l'intimazione sono quelli ragionevolmente conosciuti, secondo i principi di correttezza e buona fede, al momento dell'intimazione, sulla base della durata della malattia e della sua natura, delle quali sia a conoscenza. Accertamenti futuri non possono reagire, neanche ex nunc, sulla validità di un atto posto in essere in precedenza.
Col quarto motivo si lamenta, in via gradata nel caso di rigetto dei precedenti motivi, violazione dell'art. 1218 c.c., per avere il Giudice affermato la responsabilità del datore di lavoro per un licenziamento certamente incolpevole al momento in cui fu intimato.
Le sanzioni di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, non si applicano automaticamente a prescindere dal dolo o dalla colpa del recedente, trattandosi di una azione di responsabilità ai sensi dell'art. 1218 c.c., secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento è dovuto a fatto a lui non imputabile. Il licenziamento è stato intimato sulla base delle certificazioni di strutture sanitarie pubbliche e della decisione amministrativa dell'INAIL che aveva escluso l'infortunio sul lavoro.
Col quinto motivo si lamenta, sempre in via subordinata rispetto ai primi tre motivi, violazione dell'art. 2110 c.c., comma 2 e dell'art. 1367 c.c., per avere il Giudice affermato la nullità del recesso e non la semplice inefficacia fino al compimento del periodo di comporto per infortunio sul lavoro, (OMISSIS), come affermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 9037 del 04/07/2001; n. 1657/93). Alla M. quindi può al massimo essere riconosciuta la retribuzione fino alla fine del comporto da infortunio come accertato con la consulenza in secondo grado, (OMISSIS), indennità di preavviso, ' integrazione del T.F.R. e ratei di mensilità aggiuntive per l'anno 1988.
Resiste l'intimata con controricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato Il primo e terzo motivo vanno trattati congiuntamente essendo aspetti della medesima censura. Si osserva in proposito che la Corte ha già affermato che "il licenziamento, quale negozio unilaterale recettizio, è assoggettato alla norma dell'art. 1334 cod. civ. e pertanto produce effetto nel momento in cui il lavoratore riceve l'intimazione da parte del datore di lavoro, con la conseguenza che la verifica delle condizioni che legittimano l'esercizio del potere di recesso deve essere compiuta con riferimento al momento in cui detto negozio unilaterale si è perfezionato e non già con riguardo, ove il licenziamento sia stato intimato con preavviso, al successivo momento della scadenza del preavviso stesso. Ne deriva, in base al principio "tempus regit actum", l'irrilevanza di norme disciplinanti la materia in modo innovativo, entrata in vigore dopo il suddetto momento di perfezionamento, durante il periodo di preavviso" (Cass. n. 874 del 02/02/1999). La medesima irrilevanza sussiste anche nel caso in cui il licenziamento non sia stato immediatamente impugnato ed il datore di lavoro non sia stato chiamato nel giudizio promosso nei confronti dell'INAIL per la contestazione del provvedimento amministrativo di rigetto (che ha influito sul provvedimento datoriale di licenziamento per superamento del periodo di comporto) ed il riconoscimento della natura lavorativa dell'infortunio. Ove sia stata comunicata, come nella specie, l'assenza dal lavoro per malattia per un tempo superiore al periodo di comporto, la cessazione del rapporto di lavoro per recesso del datore di lavoro è pienamente legittima e non è imputabile a responsabilità del datore di lavoro;
il comporto non prosegue oltre il termine ordinario di assenza per malattia se il lavoratore non comunica la prosecuzione per infortunio e quindi non contesti immediatamente il recesso dell'altra parte. La comunicazione, effettuata a distanza di anni con la notificazione dell'atto introduttivo del presente giudizio, che nel giudizio intrapreso nei confronti dell'INAIL sia stata riconosciuta la natura lavorativa dell'infortunio non può avere alcun rilievo nei confronti del datore che a quel giudizio è rimasto estraneo, nè sotto il profilo di una illegittimità del precedente recesso per superamento del periodo di comporto (in quanto la verifica delle condizioni che legittimano l'esercizio del potere di recesso deve essere compiuta con riferimento al momento in cui detto negozio unilaterale si è perfezionato) nè sotto il profilo di una responsabilità sopravvenuta, non sussistendo un obbligo di riassunzione del lavoratore legittimamente licenziato. Il primo e terzo motivo di ricorso sono quindi fondati.
Quanto al secondo basta rilevare che gli unici elementi presi in considerazione dal Giudice d'appello per affermare che "anche nei confronti del datore di lavoro debba essere ritenuta la natura lavorativa dell'infortunio avvenuto il (OMISSIS)" sono costituiti da "gli accertamenti effettuati in sede amministrativa, oltre a quelli eseguiti in sede giudiziale e soprattutto dalla mancanza di qualsiasi contestazione in fatto da parte della società in ordine all'evento occorso alla ricorrente". Dalla stessa sentenza però emerge chiaramente che sicuramente in sede amministrativa l'INAIL aveva negato la natura lavorativa dell'infortunio e che la società sulla base di tale accertamento e della certificazione sanitaria in suo possesso aveva negato la natura lavorativa della malattia e quindi aveva calcolato in conseguenza il periodo di comporto; gli accertamenti effettuati in via amministrativa e la non contestazione della società non potevano quindi essere legittimamente tenuti presenti dal Giudice come elemento di prova utile per la formazione del suo convincimento; resta quindi a base della decisione impugnata solamente la sentenza emessa nei confronti dell'INAIL, che di per sè non può essere fatta valere nei confronti di chi a quel giudizio non ha partecipato (Cass. n. 7271/1997; n. 2875/1999; 6852/2001). Anche il secondo motivo è fondato. I primi tre motivi di ricorso vanno quindi accolti e la sentenza cassata, mentre restano assorbiti gli altri due.
Sussistono le condizioni per la pronuncia nel merito da parte della Corte ai sensi dell'art. 384 c.p.c., ed il rigetto della originaria domanda, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Tenuto conto della natura della causa e del modo in cui si è sviluppata la vicenda sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite fra le parti per l'intero processo.
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie i primi tre motivi di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta la domanda della M.. Compensa ira le parti le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 6 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2006