Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 10 novembre 1997 G.S. adiva il Pretore di Cosenza esponendo che dal 22 settembre 1993 al 21 dicembre 1993 era stato assunto dalla ex s.p.a. G.E.T., poi E.TR. s.p.a., con la qualifica di ufficiale di riscossione presso lo sportello di Acri. Successivamente era stato riassunto e poi licenziato e nuovamente riassunto - sempre con la stessa qualifica - per più periodi e precisamente dal 10 marzo 1994 al 3 giugno 1994, dal 13 luglio 1994 al 9 dicembre 1994, dal 2 maggio 1995 al 30 giugno 1995, dal 27 novembre 1995 al 29 febbraio 1996 ed, infine, dal 6 maggio 1996 al 30 luglio 1996.
I suddetti rapporti di lavoro, come costituiti e svolti in periodi vicini, erano stati tutti sottoposti a termini prefissati, che ne avevano determinato la durata in modo illegittimo, perchè nascondevano un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e perchè erano stati costituiti non per assunzioni urgenti o per sopperire a carenze improvvise di organico, ma al solo fine di eludere la L. n. 230 del 1962, che prevedeva assunzioni a termine solo in casi tassativi e con particolari garanzie sostanziali e formali. Del resto la natura del rapporto a tempo indeterminato appariva evidente anche dalla stessa ripetizione dei rapporti, che attestava l'utilizzazione del lavoratore come un vero dipendente, pienamente e permanentemente inserito nell'organico, con qualificate mansioni incompatibili con un rapporto occasionale.
Ciò premesso il G. chiedeva che, previo accertamento dell'illegittimità dei termini apposti ai rapporti di lavoro predetti e, conseguentemente, dei licenziamenti disposti, fosse ritenuto e dichiarato che tra esso ricorrente e la s.p.a. GET, e poi E.TR., era intercorso un unico rapporto a tempo indeterminato, con decorrenza dalla prima assunzione, e che la E.TR. s.p.a. era tenuta alla riammissione in servizio con il riconoscimento a suo favore del diritto alle retribuzioni non corrisposte nonchè ai versamenti previdenziali.
Dopo la costituzione della s.p.a. E.TR., che eccepiva il difetto di legittimazione passiva (trattandosi di rapporti esauritisi tutti prima del 1 luglio 1997, data a partire dalla quale era subentrata alla GET) nonchè la inconfigurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra il G. e la società, il Tribunale di Cosenza con sentenza del 29 novembre 1999 rigettava il ricorso proposto dal G..
A seguito di gravame, la Corte d'Appello di Catanzaro con sentenza del 25 febbraio 2002 rigettava l'appello e dichiarava compensate tra le parti le spese del giudizio. Nel pervenire a tale conclusione la Corte Territoriale osservava che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, affidava alla contrattazione collettiva l'individuazione di nuove ipotesi di contratti a termine non ponendo alcun limite all'autonomia delle organizzazioni sindacali.
Nel caso di specie il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria del 12 luglio 1991, dopo avere previsto direttamente alcune fattispecie di contratti a tempo determinato L. n. 56 del 1987,ex art. 23 aveva espressamente demandato alla contrattazione in sede aziendale l'individuazione di altre eventuali ipotesi (nota a verbale dell'art. 31).
In applicazione del suddetto contratto nazionale, con accordo aziendale del 22 aprile 1992, era stata poi prevista la facoltà per l'azienda di assumere con contratto a tempo determinato personale impiegatizio in occasione di carichi di lavoro eccedenti l'ordinario.
Ed ancora, con protocollo aggiuntivo al predetto contratto collettivo era stata poi sancita la facoltà delle aziende di assumere a tempo determinato impiegati, con mansioni di ufficiali di riscossione, per il periodo dal 1 gennaio 1991 al 30 settembre 1992 - in numero non superiore al 100% degli ufficiali di riscossione in servizio a tempo indeterminato - per l'espletamento di attività connesse all'entrata in vigore della riforma, conosciuta nella prassi e nel linguaggio comune, come "riforma della riscossione" (D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43). Con verbale di accordo aziendale, infine, del 22 aprile 1992 era stato prorogato il termine del 30 settembre 1992 previsto dal protocollo aggiuntivo per l'assunzione a tempo determinato degli ufficiali di riscossione fino alla data di effettivo rinnovo del citato contratto aziendale (integrativo del contratto collettivo nazionale del 12 luglio 1991).
Orbene, dette norme contrattuali (sia quelle nazionali che quelle aziendali) non violavano alcuna disposizione legislativa, ed in particolare non risultavano in contrasto con il disposto della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva lasciato - ribadiva la Corte Territoriale - alla contrattazione collettiva piena libertà nella individuazione delle nuove ipotesi di contratti a tempo determinato.
Sotto altro versante il Giudice d'appello precisava che non poteva trovare ingresso in sede di gravame, in quanto nuova, la domanda volta dall'inizio a fare dichiarare il contratto di lavoro a tempo indeterminato, per essere state violate le norme della L. n. 230 del 1962 per la carenza delle formalità richieste per l'assunzione a termine in quanto in primo grado il G. aveva chiesto la declaratoria di illegittimità del termine esclusivamente per essere state le assunzioni a tempo determinato effettuate fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge (e cioè non per sopperire ad "assunzioni occasionali ed urgenti" o per sopperire "a carenze impreviste di organico"), delimitando in tal modo il thema decidendum alle sole violazioni specificamente allegate, con la consequenziale preclusione di altre (non tempestivamente denunziate) violazioni.
Assumeva ancora la Corte Territoriale che non poteva trovare ingresso neanche l'ultima censura mossa dal G. secondo cui la proroga - disposta dall'accordo aziendale del 22 aprile 1992 - del termine, entro il quale l'azienda poteva ricorrere a nuove temporanee assunzioni, era scaduta con la rinnovazione del contratto nazionale il 12 luglio 1995, per non essere in detto contratto stata prevista la possibilità di ricorrere a contratti a termine.
Avverso tale decisione G.S. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la s.p.a. E.TR. Con ordinanza interlocutoria del 14 luglio 2004 la Sezione Lavoro di questa Corte rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della controversia alle Sezioni Unite, evidenziando al riguardo che si riscontrava una diversità di indirizzi nell'ambito della Sezione lavoro sia sulla facoltà attribuita alla contrattazione di prevedere, oltre quelle legali, nuove, diverse ed ulteriori ipotesi di apposizione del termine al contratto individuale di lavoro L. n. 56 del 1987, ex art. 23, sia sulla possibilità di estrinsecazione di detta facoltà attraverso una indicazione esatta e chiara di tali differenti fattispecie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, violazione dell'art. 12 disp. gen., violazione degli artt. 1325, 1346 e 1418, comma 2, c.c., violazione del L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1, 2, 3 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dal ricorrente. In particolare, a sostegno della sua censura, il ricorrente osserva preliminarmente che l'accordo aziendale del 10 gennaio 1991, con il prevedere che le assunzioni a termine vengono effettuate "per l'espletamento di attività connessa all'entrata in vigore della riforma" senza altra specificazione, non consentiva di verificare se il ricorso a tali assunzioni si sostanziasse in un abuso del datore di lavoro, e lasciasse perciò la scelta al mero arbitrio del datore di lavoro. Si veniva in tal modo a violare la lettera e la ratio della L. n. 56 del 1987, art. 23 che, nel legittimare il contratto a termine nelle "ipotesi individuate" nei contratti di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali (aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale), evidenziava che la facoltà di prevedere ulteriori casi di apposizione del termine al contratto di lavoro dovesse estrinsecarsi in clausole contrattuali collettive in cui si operava una determinazione "chiara ed esatta" di tali casi. Più specificamente, il protocollo aggiuntivo al contratto collettivo nazionale del 1991, applicabile agli impiegati con funzioni di ufficiali della riscossione nel periodo compreso tra la data del 1 gennaio 1991 ed il 30 settembre 1992 (assunzioni effettuate per l'espletamento delle attività connesse all'entrata in vigore della riforma), l'accordo integrativo aziendale del 22 aprile 1992 (art. 3), nonchè il verbale di accordo aziendale del 22 aprile 1992 (che sempre per lo stesso personale prorogava la facoltà di assumere con contratti a termine sino alla data di effettivo rinnovo del contratto aziendale integrativo del contratto nazionale del 12 luglio 1991), non contenevano una determinazione chiara e precisa delle fattispecie di assunzione a termine sicchè ne conseguiva la loro nullità ai sensi dell'art. 1418 c.c., comma 2, per mancata determinazione o per indeterminabilità dell'oggetto.
1.1. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 437 c.p.c., violazione degli artt. 1363, 1367, 1369 e 1324 c.c., violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nonchè violazione e/o falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, commi 3 e 4. La domanda, spiegata in sede di gravame, di conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine del 1993 e del primo periodo del 1994 "per violazione delle disposizioni di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, commi 3 e 4" non poteva - contrariamente a quanto ritenuto nella impugnata sentenza - considerarsi nuova, in quanto dall'interpretazione del ricorso davanti al Pretore, rispettosa delle codicistiche regole ermeneutiche, emergeva che esso G. aveva denunziato l'apposizione del termine ai suoi rapporti lavorativi, al fine di eludere la L. n. 230, censurando in tal modo l'assenza dei requisiti formali e sostanziali prescritti dalla suddetta legge.
1.2. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. per erronea interpretazione del citato contratto collettivo nazionale di categoria del 12 luglio 1991, di quello successivo del 12 luglio 1995 e del verbale di accordo aziendale del 21 aprile 1992, nonchè omessa, o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostiene il ricorrente che, diversamente da quanto affermato dal Giudice d'Appello, la proroga disposta dall'accordo aziendale del 22 aprile 1992 del termine entro il quale l'azienda poteva far ricorso ad assunzioni di ufficiali di riscossione a tempo determinato era scaduta con la rinnovazione del contratto collettivo nazionale in data 12 luglio 1995, atteso che nel nuovo contratto non era prevista la possibilità di ricorrere a contratti a termine pur avendo tale contratto indicato espressamente tutti i diversi casi in cui poteva operare la contrattazione integrativa aziendale. Ne conseguiva che per le nomine effettuate dopo il 12 luglio 1995, l'apposizione del termine doveva essere considerata illegittima con conseguente trasformazione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato.
2. Come ricordato dalla ordinanza interlocutoria della Sezione lavoro, sulla questione dell'ambito di operatività del disposto della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dei limiti che incontra la contrattazione collettiva nel disegnare le diverse fattispecie di contratto a termine si riscontra una diversità di indirizzi all'interno della Sezione lavoro di questa Corte.
2.1. Ed infatti secondo un primo, prevalente orientamento, non occorre che i contratti collettivi contengano, al di fuori delle ipotesi già previste dalla legge, una precisa individuazione delle fattispecie ricorrendo le quali è consentita l'apposizione di un termine al contratto di lavoro. A sostegno di tale assunto si è rimarcato che la L. n. 56 del 1987, art. 23 consente che - oltre alle ipotesi di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 (e successive modifiche ed integrazioni) e della del D.L. 29 gennaio 1983, n.. 17, art. 8 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1983, n. 79 - vengano "individuate" nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati (nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative) specifiche fattispecie in relazione alle quali sia consentita l'apposizione di un termine, senza necessità di alcun riferimento a particolari esigenze o condizioni (oggettive o soggettive di lavoro), per essere sufficiente che la contrattazione collettiva indichi la percentuale dei lavoratori da assumere rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato.
Alla suddetta contrattazione, pertanto, è consentito anche di individuare -. alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale - speciali categorie di lavoratori che possono essere assunti con contratto a tempo determinato, in quanto l'esame congiunto delle parti sociali sulla necessità del mercato del lavoro costituisce una idonea garanzia per i lavoratori ed una efficace salvaguardia per i loro diritti (cfr. al riguardo: Cass. 11 dicembre 2002 n. 17674, proprio con riferimento ad una fattispecie di un contratto di lavoro a termine tra la s.p.a. GET ed un ufficiale di riscossione dei tributi). In adesione a questo orientamento si è ribadito così che l'attribuzione alla contrattazione collettiva del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine - espressione di una tendenza ad affidare alla autonomia collettiva (in ragione delle garanzie dalla stessa apprestate) la possibilità di deroga a regole generali disciplinanti il rapporto di lavoro - seppure deve inserirsi nel sistema delineato dalla disciplina generale dettata dalla L. n. 230 del 1962 (nel senso che restano applicabili le regole da questa disciplina dettate, ad esempio,con riguardo all'onere del datore di lavoro di provare le condizioni legittimanti l'apposizione del termine), legittima però l'introduzione di nuove ipotesi di contratto a termine completamente diverse da quelle configurate per legge, essendosi in presenza di una "delega in bianco" del legislatore all'autonomia collettiva avente ad oggetto, appunto, la individuazione di nuove ipotesi di contratto non omogenee rispetto a quelle legali (cfr., con riferimento ad assunzioni a termine di dipendenti postali nella fase di ristrutturazione conseguente alla privatizzazione dell'Ente Poste, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866, cui adda ,per analoghe considerazioni, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011 e n. 14026 ed, in epoca più recente, Cass. 12 gennaio 2006 n. 438; Cass. 12 dicembre 2005 n. 27311; Cass. 6 dicembre 2005 n. 26677, che precisano ancora che la delega di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23, non incontra alcun limite sul piano della "omogeneità" rispetto alle ipotesi legali, nè su quella della "temporaneità" dell'autorizzazione del tipo contrattuale; ed infine Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, secondo cui la specificazione di nuovi tipi di contratto a termine discende dall'intento del legislatore di considerare l'esame congiunto delle parti sociali sulle esigenze del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia dei loro diritti per cui deve prescindersi dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori).
2.2 Un secondo indirizzo patrocina invece la tesi della possibile attribuzione alla autonomia collettiva della facoltà di individuazione di nuove e diverse situazioni di contratto a tempo determinato a condizione però che tali fattispecie vengano esattamente e compiutamente determinate.
Ed invero - in un ottica volta a configurare il contratto di lavoro a termine come un contratto avente carattere eccezionale rispetto a quello a tempo indeterminato (da considerare regola generale) e, perciò con un sempre limitato ambito applicativo - si è statuito che l'ampliamento dei nuovi tipi deve essere subordinato in ogni caso alla condizione che le nuove fattispecie siano chiaramente ed esattamente delimitate. E da tale premessa metodologica si è fatto scaturire la statuizione: che la possibilità di assumere a termine prevista dalla contrattazione collettiva, solo con riferimento alle esigenze della ristrutturazione delle aziende, ma sprovvista di qualsiasi riferimento temporale diretto e indiretto, e delimitata esternamente soltanto dall'efficacia temporale del contratto collettivo (soggetto soltanto a proroghe), si pone in radicale contrasto con la disposizione di cui alla L. del 1987, art. 23 (in tali sensi: Cass. 7 agosto 2004 n. 15331);
che, pur avendo la L. del 1987, art. 23, aperto le porte ad una delegificazione del rapporto, dando ampia delega all'autonomia collettiva, la contrattazione collettiva deve tuttavia sempre porsi in una linea di continuità con l'impianto normativo preesistente che si configura come una sorte di "legge quadro" applicabile a tutti i contratti di lavoro subordinato a termine, sicchè ove detta contrattazione preveda, ad esempio, l'assunzione a termine per ipotesi di assenza dal lavoro con conservazione del posto di lavoro devono in ogni caso rispettarsi le disposizioni della L. n. 230 del 1962 riguardanti il requisito della indicazione del nome del sostituito e della causa della sua sostituzione, che presuppone la temporaneità dell'occasione di lavoro (cfr. in tali sensi: Cass. 1 dicembre 2003 n. 18354, cui adde, per lo stesso indirizzo, Cass. 22 gennaio 2004 n. 995; Cass. 7 giugno 2003 n. 9163).
3. Ai fini di seguire un ordinato iter argomentativo volto a rendere ragione della scelta da operare a fronte dell'esplicitato contrasto giurisprudenziale, appaino opportune alcune preliminari precisazioni.
3.1. Nell'area giuslavoristica, avendo sempre apprestato il contratto a tempo indeterminato maggiore tutela alla posizione del lavoratore, è stato valutato con sfavore il contratto a termine, tanto che la L. 18 aprile 1962, n. 230 - abrogata poi dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 11 - ha da un lato, proprio a tutela del lavoratore, richiesto per detto contratto la forma scritta (salvo che per i lavori occasionali non superiori a dodici giorni), e ne ha poi ridotto l'ambito applicativo limitandone il ricorso ad ipotesi tassative (attività stagionali; sostituzione di lavoratori assenti aventi diritto alla conservazione del posto; esecuzione di opere o di un servizi definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale; lavorazioni a fasi successive richiedenti maestranze diverse).
A fronte di un successivo assetto ordinamentale volto a gradualmente garantire, con sempre maggiore efficacia, il posto di lavoro per i contratti a tempo indeterminato (L. 9 gennaio 1963, n. 7, divieto di licenziamento delle lavoratrici madre; L. 15 luglio 1966, n. 604, norme sui licenziamenti individuali; L. 20 maggio 1970, n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, modificata poi dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, disciplina dei licenziamenti individuali), e dell'interpretazione restrittiva data dalla giurisprudenza alla suddetta L. n. 230 del 1962, il legislatore - in un mercato che necessitava di una maggiore espansione e di una maggiore mobilità della forza lavoro (gravemente limitata proprio dai severi vincoli apportati segnatamente dallo statuto dei lavoratori ai rapporti lavorativi sine die) - ha dapprima ampliato - in una ottica definita di liberalizzazione controllata - con apposite disposizioni le precedenti ipotesi tassative legittimanti il contratto a termine (L. 23 maggio 1977, n. 266 per le assunzioni nel settore dello spettacolo; L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8 bis per la possibilità del ricorso del contratto a termine in tutti i settori economici per le attività stagionali), e più avanti ha delegato alla contrattazione collettiva il potere di aggiungere, a quelle legali, fattispecie diverse e di più ampia portata, con la sola prescrizione della fissazione di precisi limiti percentuali dei lavoratori da assumere rispetto all'organico aziendale.
Ed infatti, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 (Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro) ha stabilito che "L'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modificazioni ed integrazioni, nonchè al D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 23 marzo 1983, n. 79, è consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I contratti collettivi stabiliscono il numero in percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato". 4. E' stato in dottrina puntualmente osservato che l'atteggiamento dell'ordinamento nei confronti del contratto a termine si è rilevato tutt'altro che uniforme. Ed invero, il legislatore del 1962 non si è limitato ad abrogare espressamente l'art. 2097 c.c. ed ad abbandonare il riferimento, in detta norma contenuto, alla specialità del rapporto come criterio di legittimità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro, ma ha inteso introdurre il sistema della c.d.
"lista chiusa" - e cioè il sistema della tassatività delle fattispecie di contratto di lavoro a termine - seguito anche in altri paesi, al fine di attestare che il rapporto a tempo indeterminato configurava in materia di assunzioni la regola, mentre l'eccezione era rappresentata dall'assunzione a termine, consentita soltanto nei casi circoscritti e legati ad occasioni di lavoro oggettivamente temporanee. Nel tempo però il rigore di un siffatto sistema si è gradualmente attenuato tanto che il ricordato L. n. 56 del 1987, art. 23, ha riconosciuto ai contratti collettivi la facoltà di ammettere, oltre a quelle legali, nuove fattispecie di contratti a termine:
facoltà che - come da più parti sottolineato - è stata ampiamente sfruttata dalle parti sociali per dare risposte alle più svariate esigenze aziendali di elasticità organizzativa,e per consentire anche l'assunzione di lavoratori in posizione di particolare debolezza nel mercato di lavoro, come i cosiddetti occupati di lunga durata.
Con tale normativa e con la successiva disposizione di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 8, comma 2, contemplante la possibilità di assunzione a termine dei lavoratori messi in mobilità(con il riconoscimento in caso di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato di benefici contributivi a favore del datore di lavoro;
allo stato per altre ipotesi di contratti a termine di tipo meramente soggettivo a seguito di delega delle contrattazione collettiva, cfr.:
L. 12 marzo 1999, n. 68, art. 11, per i lavoratori disabili; L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 75, sino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia per i lavoratori che soddisfino i requisiti per la pensione di anzianità), si è legittimato il ricorso al contratto a termine come strumento di politica dell'impiego, per ritornare poi - con la vigente generale normativa sul contratto a termine di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (attuativa della direttiva del Consiglio Cee 28 giugno 1999 n. 70) - a limitare le assunzioni a termine soltanto a quelle connesse a ragioni di carattere oggettivo ("ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo"; cfr. D.Lgs. n. 368 del 2001 cit. art. 1, comma 1).
4.1. E sempre ai fini di una delimitazione dell'ambito applicativo della norma scrutinata è stato ulteriormente precisato: che con essa è stata assegnata alla contrattazione collettiva la delicata funzione di determinare i livelli qualitativi e quantitativi (con la fissazione di un tetto massimo di assunzioni a termine) del lavoro precario socialmente tollerabile; che attraverso la suddetta norma l'ordinamento ha consentito l'apposizione del termine tutte le volte che ciò sia risultato oggettivamente giustificato per non essere utile, nè socialmente nè economicamente, costringere i datori di lavoro ad avere manodopera esuberante nel complesso del ciclo produttivo; che le ipotesi configurate dal contratto collettivo non necessariamente devono presupporre l'esistenza di un'occasione "transitoria" di lavoro nell'impresa.
Ed è stato anche ribadito, nella stessa direzione: che la fonte contrattuale è stata affiancata a quella legale per disciplinare l'attività imprenditoriale nella gestione della forza lavoro; che la capacità della contrattazione collettiva di introdurre nuove e diverse ipotesi giustificative del contratto a termine - attraverso un rinvio con funzione normativa o costitutiva ai soggetti sindacali - si è tradotta in concreto nella gestione della forza lavoro all'interno delle imprese e nel conseguente rafforzamento del sindacato, il cui ruolo è stato poi drasticamente ridotto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, con relativa perdita di un effettivo controllo sul livello di flessibilizzazione presente in azienda. Da ultimo, si è messo in evidenza che - contrariamente a quanto è dato riscontrare nell'attuale vigenza del già evocato Decreto n. 368 del 2001 (cfr. art. 10) - la contrattazione collettiva assume nella L. n. 56 del 1987 incisivo rilievo nella gestione dei rapporti lavorativi anche nella sua articolazioni locali in ragione delle specifiche situazioni che si possono verificare nelle varie realtà aziendali e territoriali e che possono richiedere un adeguamento dell'organico con una sua accentuata elasticità proprio per soddisfare le diverse esigenze sopravvenute in dette realtà.
Le considerazioni sinora svolte forniscono le coordinate necessarie per una corretta interpretazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e per la risoluzione del sollevato contrasto.
5. Va premesso che passaggio obbligato per la decisione riguardante l'ambito di operatività della delega legislativa alla contrattazione collettiva per l'individuazione delle fattispecie di contratto di lavoro a termine, è - come sottolineato dalla ordinanza della Sezione lavoro - l'esame del terzo motivo del ricorso, con il quale si contesta l'illegittimità dei contratti a termine successivi alla stipula del contratto nazionale di categoria del 12 luglio 1995, per non essere in detta nuova contrattazione prevista la possibilità di ricorrere al contratto a termine.
Il suddetto motivo non può trovare accoglimento. Ed invero l'assunto del ricorrente non tiene conto sul versante giuridico che il citato art. 23 devolve ai sindacati, non solo di livello nazionale, ma anche a quelli di livello locale, la facoltà di individuare i contratti a termine all'evidente fine di assegnare - senza alcun limite territoriale - maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti lavorativi nelle diverse unità produttive e nella varie aree geografiche. Su di un diverso versante la stessa censura trascura di considerare che nel caso di specie, nel pieno rispetto della normativa legale, la contrattazione collettiva nazionale del 12 luglio 1991 ha delegato a quella aziendale la possibilità di stipula dei contratti a tempo determinato e di procedere ad assunzioni a tempo determinato per impiegati con mansioni di ufficiali della riscossione, nonchè la possibilità, nell'esercizio di tale delega, di prorogare il termine in precedenza fissato per l'assunzione "sino alla data di effettivo rinnovo del contratto del contratto aziendale integrativo del 12 luglio 1991". 5.1. Alla luce dei descritti elementi fattuali il G. avrebbe dovuto, stante il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare quei mezzi probatori (anche documentali), idonei ad attestare che la possibilità di assunzioni a termine (anche con riferimento a possibili proroghe per fattispecie in precedenza individuate) non fosse più consentita sulla base della contrattazione aziendale. Ed invero, alla stregua della chiara lettera della L. n. 56 del 1987, art. 23, non può dubitarsi della facoltà, anche della contrattazione aziendale, di individuare autonomamente (e conseguentemente legittimare) fattispecie di assunzioni a termine, essendo doveroso pervenire a tale conclusione sulla base della considerazione che quando il legislatore ha inteso assegnare poteri o facoltà unicamente alla contrattazione collettiva di livello nazionale ha fatto riferimento, in modo chiaro, unicamente a detta contrattazione, come si evince proprio in tema di disciplina delle assunzioni a termine dal già richiamato D.Lgs. n. 368 del 2001 (cfr. al riguardo art. 10, comma 7, nonchè art. 11, comma 3, che nel dettare la disciplina transitoria ha fatto salva l'efficacia solo delle clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi i della citata L. n. 56 del 1987, art. 23 e non, come è stato messo in luce in dottrina, delle clausole degli altri contratti di lavoro, quali quelli ad esempio, provinciali o aziendali).
6. Risulta privo di fondamento anche il primo motivo di ricorso.
La Corte d'Appello di Catanzaro nella impugnata sentenza ha affermato che la L. n. 56 del 1987, art. 23, nell'affidare alla contrattazione collettiva l'individuazione di nuovi contratti a termine, non pone alcun limite di contenuto sicchè la contrattazione collettiva è pienamente libera nella individuazione di nuove ipotesi di legittima apposizione del termine al rapporto di lavoro.
6.1. Una siffatta statuizione che si inserisce nel prevalente indirizzo giurisprudenziale (secondo cui il ricorso a nuove forme di contratti a termine non è condizionato ad una chiara, dettagliata ed esaustiva determinazione delle singole fattispecie da parte della contrattazione collettiva) non è suscettibile di alcuna censura per risultare rispettosa della lettera della L. n. 56 del 1987, art. 23 nonchè della ratio ad essa sottesa.
L'espressione ex art. 23 citato "l'apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro ... è consentita nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi" induce ad assegnare alla norma in esame una ampia portata applicativa, perchè nel lessico comune, come in quello giuridico, la parola ipotesi assume il significato di caso, che può presentarsi volta per volta, e che nella materia in esame può contraddistinguersi ratione materiae (ad esempio, esecuzione di un opera o di un servizio predeterminato nel tempo con carattere di straordinarietà ed occasionalità; L. n. 230 del 1962, art. 1, lettera c), "ratione temporis" (ad esempio, assunzione da parte delle compagnie aeree di personale per il periodo di sei mesi, da aprile ad ottobre; L. n. 230 cit. lettera f, art. 1, aggiunta dalla L. 25 marzo 1986, n. 84) "ratione personae" (ad esempio, lavoratori in mobilità assunti con contratti a termine; L. n. 223 del 1991, art. 8). E la lettera del riportato testo normativo appare significativo nei sensi ora indicati specialmente se messa nella sua genericità a confronto con la invece dettagliata, completa e specifica determinazione delle tassative fattispecie legittimanti l'assunzione a termine contemplate dalla L. n. 230 del 1962, art. 1. 6.2. Anche sotto l'aspetto delle finalità perseguite dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, meritano di essere condivise le argomentazioni che hanno portato il Giudice d'appello a ritenere infondata la pretesa del G..
6.3. Ed invero può conclusivamente affermarsi che "Le assunzioni disposte ai sensi della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare - oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962 n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito, con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 - nuove ipotesi di apposizioni di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria "delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere "oggettivo" ed anche - alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale - per ragioni di tipo meramente "soggettivo", consentendo (vuoi in funzione di promozione dell'occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l'assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l'esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficacia salvaguardia dei loro diritti".
L'ora enunciato principio - è opportuno ribadirlo - trova conforto oltre che nella lettera della L. n. 56 del 1987, art. 23 priva di alcun riferimento a particolari esigenze o a specifiche e prefissate condizioni, anche nella considerazione che, al di fuori della limitazione imposta dalla legge di stabilire il numero percentuale dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato (L. n. 56 del 1987, art. 23, comma 1, ult. parte), il legislatore del 1986 ha conferito all'autonomia sindacale poteri di indubbia e penetrante incisività in materia di flessibilità dei rapporti lavorativi proprio per assicurare un reticolato di garanzie a tutela dei lavoratori nella gestione dei loro rapporti. Ciò emerge con indiscussa evidenza dal D.Lgs. n. 368 del 2001 che, nel momento in cui ha inteso innovare la materia con il superamento delle forme di assunzioni a termine contrattualizzate, ha ritenuto di dovere ammortizzare il ridimensionamento delle tutele con il richiedere la specificazione in forma scritta delle ragioni giustificatrici del contratto a termine (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), al chiaro fine di agevolare il controllo giudiziario (chiamato a sostituire quello sindacale che si concretizzava nella tipicizzazione delle diverse forme di assunzione al lavoro) sull'operato del datore di lavoro (cfr. al riguardo; D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2).
7. Per concludere queste Sezioni Unite ritengono per le ragioni sinora esposte di aderire al primo dei sopra riportati indirizzi giurisprudenziali (cfr. al riguardo per tale prevalente indirizzo, oltre le pronunzie già citate, anche: Cass. 7 dicembre 2005 n. 26989).
8. Per disvelare, infine, l'infondatezza del secondo motivo del ricorso è sufficiente sottolineare che - come ha affermato la sentenza impugnata con motivazione non censurabile in questa sede di legittimità per le considerazioni logico-giuridiche espresse - il G. ha tardivamente (e cioè nel corso del giudizio di primo grado e non con il ricorso ex art. 414 c.p.c.) denunziato una violazione della L. n. 230 del 1962 in ragione del succedersi nel tempo di più contratti di lavoro a termine, procedendo in tal modo ad una non consentita mutatio libelli per il mutamento dell'iniziale thema decidendum stante la proposizione di una domanda, comportante la necessità di nuovi e diversi accertamenti in fatto (cfr. sul divieto della mutatio libelli vedi tra le altre: Cass. 11 maggio 2002 n. 6794, cui adde, per quanto attiene il rito del lavoro, Cass. 14 aprile 2001 n. 5591; Cass. 27 gennaio 1998 n. 821, ed ancora, Cass., Sez. Un., 16 gennaio 1987 n. 299).
9. Ricorrono giusti motivi, tenuto conto della natura e dell'oggetto della controversia, per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2006