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lunedì 13 febbraio 2012

MUTUO CONSENSO - PRESUNZIONE INERZIA - CASS. SENT. N. 23554 DEL 17.12.2004

Svolgimento del processo

Con sentenza del 10 giugno 2003 la Corte di Appello di Salerno accoglieva l'appello proposto dall'ANAS nei confronti M. A., V. S. e B. V., avverso sentenza del Tribunale della medesima città, rigettando le domande da loro proposte e dichiarando assorbito l'appello incidentale dei lavoratori.

Premetteva in motivazione che l'Ente era validamente rappresentato e assistito dall'Avvocatura dello Stato e che i rapporti di lavoro precario, che si erano svolti prima del 18.4.1996, data di stipula del primo contratto privatistico, erano regolati dal D.P.R. 31.3.1971 n. 276 come rapporti di pubblico impiego, confermava quindi il difetto di giurisdizione statuito dal primo giudice. Osservava che invece i rapporti di lavoro istituiti successivamente alla predetta data in regime di rapporti di lavoro subordinato privato, mancava la stipula la prefissione di un termine per iscritto, al quale si faceva riferimento solo nelle lettere di licenziamento esibite dall'ANAS, ma mai pervenute nella sfera giuridica dei lavoratori. Per la pacifica assenza di un termine i rapporti di lavoro dovevano ritenersi dall'origine a tempo indeterminato dovendosi escludere che essi fossero sorti a termine. Rilevava che pertanto non sussistevano nella specie disdette per scadenza del termine del datore di lavoro, ma licenziamenti che andavano impugnati ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970. Concludeva che i rapporti erano cessati perchè l'azione di impugnazione dei licenziamenti non era stata proposta, nè per tale si poteva qualificare quella proposta, trattandosi di diversa azione sulla quale la Corte territoriale non poteva decidere per mancanza di domanda.

Osservava, infine, che in ogni caso era condivisibile la tesi dell'appellante ANAS che l'inerzia per cinque anni dalla estromissione di lavoratori abituati ad essere riassunti senza particolari formalità doveva ritenersi, insieme ad altri elementi sintomatici, quali il ritiro del libretto di lavoro e l'iscrizione al collocamento, comportamenti taciti concludenti nel senso della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Propongono ricorso per Cassazione affidato atre motivi i lavoratori, illustrato poi con memoria, resiste con controricorso l'ANAS.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi, deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 112, 414, 416, 434 e 437 c.p.c., della legge n. 230 del 1962 e del D.P.R. n. 276 del 1971 ed il vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), i ricorrenti prospettano vari profili di censura. Con uno di essi, contenuto nel secondo motivo, censurano l'accertamento della risoluzione consensuale dei rapporti di lavoro deducendo in primo luogo che la questione era stata tardivamente introdotta con l'appello ed, inoltre, che secondo giurisprudenza di legittimità, Cass. n. 15628 del 2001, l'inerzia del lavoratore non è sufficiente a far ritenere che egli abbia consentito alla cessazione del rapporto.

La questione è decisiva in quanto la sentenza impugnata si fonda su due autonome rationes decidendi: l'estinzione dei rapporti di lavoro per licenziamento non impugnato e l'estinzione consensuale di essi.

Consegue che, ove risultino infondate le censure alla seconda ragione del decidere, l'estinzione consensuale dei rapporti di lavoro assorbe la questione di una loro estinzione per licenziamento ed il ricorso va rigettato.

Le censure sono infondate. Per quanto concerne l'eccezione di inammissibilità della questione per tardività si osserva che dall'esame degli atti, consentito a questa Corte quando sono dedotti vizi del procedimento, risulta che nelle memorie difensive del giudizio di primo grado, a pagina cinque in apposito paragrafo, è stata eccepita l'estinzione consensuale.

In ordine, poi, al rilievo della inerzia del lavoratore i principi affermati da questa Corte nella sentenza indicata dai ricorrenti non escludono il valore di presunzione dell'inerzia. Recita la massima della sentenza, n. 15628 del 2001: "Nel giudizio instaurato ai fini dell'accertamento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell'illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto stesso per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dalla conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa volontà comune delle parti medesime di porre fine ad ogni rapporto. La vantazione del significato e della portata di tali elementi di fatto compete al giudice del merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso che fosse intervenuta la risoluzione consensuale del rapporto, ponendo l'accento sulla brevità - rapportata al tempo complessivo di durata dei contratti a termine succedutisi fra le parti - del periodo di tempo trascorso tra la conclusione di fatto del rapporto ed il momento in cui il lavoratore aveva manifestato la volontà di proseguire il rapporto e di considerarlo a tempo indeterminato, non attribuendo alcun rilievo in contrario all'intervenuta accettazione del trattamento di fine rapporto e alla mancata offerta della prestazione). "Nella specie l'adesione dei lavoratori al recesso è stata ritenuta in relazione non solo ad un'inerzia durata ben cinque anni nell'ambito di rapporti che in precedenza si erano rinnovati dopo alcuni mesi, ma anche ad altri comportamenti, quali il ritiro del libretto di lavoro e l'iscrizione al collocamento, cioè ad un complesso di comportamenti e circostanze che la Corte territoriale ha ritenuto, non illogicamente, significative della volontà di non continuare il rapporto di lavoro.

Il rigetto dei primi due motivi comporta l'assorbimento del terzo, che lamenta il mancato esame dell'appello incidentale in tema di decorrenza del diritto alle retribuzioni ed il governo delle spese.

L'alterno esito dei giudizi di merito è motivo di equità per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2004.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2004