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lunedì 12 marzo 2012

CONSEGUIMENTO REQUISITI PENSIONISTICI ED ERRORE DELL'INPS - CASS., SEZ. LAVORO, SENTENZA N. 2951 DEL 27.02.2012

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Torino, accogliendo la domanda di G. A., ne ha ritenuto fondata la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti dell'INPS per averle fornito informazioni errate sulla posizione contributiva, così determinando le sue dimissioni dalla Fiat s.p.a. nel gennaio 1995 nella certezza di aver raggiunto, a tale data, le 1560 settimane contributive necessarie per poter aver accesso alla pensione di anzianità. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente il comportamento colpevole dell'INPS osservando che il rigetto, nel 1995, della domanda di pensione - motivato dall'Istituto con l'insussistenza dei necessari 1560 contributi settimanali - trovava causa nell'errata comunicazione inviata all'assicurata nel febbraio 1994, perchè, nel documento in questione, tutti i contributi, sino al 31.12.1990, erano stati indicati, senza alcuna esclusione, come utili ai fini del conseguimento del diritto alla pensione, così da ingenerare nella G. - che poteva aggiungere al conteggio dell'ente ulteriori otto settimane di contribuzione figurativa per maternità, nonchè i contributi successivamente versati dal datore di lavoro - la legittima aspettativa di aver perfezionato, alla data del gennaio 1995, il requisito contributivo necessario per ottenere il pensionamento.

L'INPS ricorre per la cassazione di questa sentenza con un unico motivo. Resiste l'intimata con controricorso. L'INPS ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con denuncia di vizio di omessa o insufficiente motivazione l'INPS censura la sentenza impugnata per non aver esplicitato le ragioni che l'hanno indotta a ritenere che la comunicazione del 1994 aveva ingenerato nell'assicurata un affidamento incolpevole in ordine all'avvenuta maturazione del requisito contributivo necessario per accedere al pensionamento. Secondo il ricorrente, infatti, l'accertamento che la Corte avrebbe dovuto compiere - considerando il titolo in base al quale controparte pretendeva, nel 1995, il prepensionamento e, cioè, il disposto del D.L. n. 185 del 1994, art. 10, comma 1, lett. c), come reiterato e convertito nella L. n. 451 del 1994 - consisteva nel verificare se l'informazione resa alla G. fosse stata tale da ingenerare, in costei, l'affidamento di aver perfezionato un'anzianità contributiva di 30 anni (pari a 1560 settimane), non già nel 1995, bensì entro la data del 31 dicembre 1993, giusta il combinato disposto di cui alle lett. b) e c) del ripetuto art. 10. 2. Il motivo di ricorso è inammissìbile per mancanza del quesito di diritto, prescritto dall'art. 366 bis c.p.c. (applicabile, nella specie, ratione temporis), siccome tale motivo, a prescindere dalla intitolazione, si risolve in una censura ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3. 3. Certo è che, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, il giudice d'appello non ha erroneamente ricostruito e valutato le circostanze di fatto acquisite al processo. La sentenza impugnata richiama, infatti, le conclusioni della G. (parte appellata), riferite alla richiesta della pensione di anzianità, "così come prevista dal D.L. 18 marzo 1994, n. 185, art. 10, non convertito ma reiterato sino alla conversione", come pure la circostanza che "l'INPS respingeva nel settembre 1995 la relativa domanda di pensionamento"; e, del resto, il continuo riferimento fatto, in motivazione, dalla Corte di merito al requisito dei 1560 contributi come sufficiente per accedere alla pensione mostra, già di per sè, che la Corte di merito ha espresso il proprio convincimento ben conoscendo che la valutazione del comportamento dell'INPS andava compiuta con riferimento al pensionamento "agevolato" di cui alla disposizione di legge invocata dall'assicurata.

3. In realtà, quello che si contesta alla sentenza impugnata è un tipico errore di diritto - e significativa in tal senso è la circostanza che il ricorso, come pure la memoria, si diffondono ad illustrare il contenuto e la portata del D.L. 18 marzo 1994, n. 185, art. 10, comma 1 - perchè, in sostanza, si sostiene che l'affermazione relativa all'errore compiuto dall'INPS e alla sua valenza causale quanto alla scelta della G. di rassegnare le dimissioni è il risultato della errata interpretazione, da parte della Corte di merito, del contenuto della disposizione di legge applicabile nel caso concreto (e in base alla quale, quindi, andava risolta la controversia), avendone tratto effetti diversi da quelli che da tale norma discendevano; effetti consistenti, secondo l'odierno ricorrente, nel consentire l'accesso al pensionamento esclusivamente ai soggetti che avessero perfezionato il necessario requisito contributivo - pari a 1560 settimane - entro la data del 31 dicembre 1993, escludendo, pertanto, che periodi contributivi maturati successivamente a tale data potessero essere considerati utili ai fini del raggiungimento del requisito in parola.

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, conseguendone la condanna del ricorrente, al pagamento, in favore della odierna resistente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della odierna resistente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 30,00 per esborsi e in Euro 2000,00 (duemila) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..