Ai sensi dell'art. 9 cod. nav., i contratti di lavoro dei lavoratori marittimi sono disciplinati dalla legge nazionale della nave, salvo, la diversa volontà delle parti nel caso di nave straniera.
La regola della c.d. legge di bandiera, collegata ad una serie di opportunità di origine storico-tradizionale, è oggi, però, necessariamente da confrontarsi con l’evolversi del diritto interno ed internazionale . In particolare, l’art. 6 della Convenzione di Roma del 19 giugno del 1980, secondo alcuni autori, ha confortato il progressivo abbandono della legge di bandiera quale regolatrice del contratto di arruolamento, processo il quale era già da prima in atto nell’ambito del settore marittimo.
Tale norma stabilisce che il contratto di lavoro è regolato:
(a) dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro paese, oppure
(b) dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso paese,
(c) a meno che non risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese.
In riferimento a ciò la prevalente dottrina ha sostenuto l’implicita abrogazione dell’art. 9 cod. nav., stante incompatibilità tra le due norme di d.i.p.. Diverse, ma convincenti, sono le argomentazioni su cui viene fondata l’avvenuta abrogazione del citato art. 9, aventi, tendenzialmente, come cardine comune, la constatazione della storica attenuazione del collegamento costituito dalla nazionalità della nave in favore dei criteri sanciti dall’art. 6 della Convenzione di Roma del 1980.
Infatti, da una parte l’art. 23 della Convenzione di Roma del 1980 relativo alla possibilità per gli stati di adottare una diversa disciplina d.i.p. in materie particolari non è utilizzata nel caso di specie, dall’altra la Convenzione in parola non prevede per i contratti di lavoro nautico particolari criteri di collegamento (né il lavoro nautico è espressamente ovvero implicitamente escluso dall’ambito di applicazione della Convenzione).
Bisogna tener conto che l’ordinamento internazionale prende in considerazione la nazionalità come mezzo attraverso il quale si giustifica la sottoposizione della collettività umana a bordo alla potestà di governo di un determinato Stato, motivazione la quale viene meno nel caso in cui con tale nazione non esista alcun collegamento, se non di natura meramente formale.
D’altro canto la non applicabilità dell’art. 6 Convenzione di Roma 1980 ai lavoratori marittimi, non può essere esclusa dalla specialità del lavoro nautico, in quanto tale teoria si porrebbe in aperto contrasto con il vigente orientamento della Corte Costituzionale per il quale: “la parità di trattamento del lavoratore marittimo, rispetto a quello comune, va sempre perseguita salvo che esistano (e prevalgono) esigenze diverse che giustifichino la differenziazione di tutela” .
In conclusione, stante l’abrogazione implicita dell’art. 9 cod. nav., al fine di individuare la normativa applicabile ai lavoratori marittimi bisogna in primo luogo tener conto della comune volontà delle parti , poi, della legge del paese con cui il contratto presenta un più stretto collegamento ovvero della legge del paese in cui il lavoratore compie abitualmente il proprio lavoro, ed, infine, qualora l’attività lavorativa non venga prestata abitualmente in uno stesso paese, la legge del luogo dove si trova la sede dove è avvenuta l’assunzione .
Diversa è la disciplina relativamente al settore previdenziale e di sicurezza sociale.