Svolgimento del processo
La CTR del Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 109/11/06, depositata il 27.9.2006, riformando la decisione della CTP di Udine, ha rigettato il ricorso proposto da F.R. avverso il silenzio rifiuto sull'istanza di rimborso della trattenuta IRPEF, anno 1997, operata dal datore di lavoro sulla somma versatagli a seguito di una transazione avente ad oggetto il risarcimento del danno per l'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro. I giudici d'appello hanno ritenuto assoggettata ad imposta la somma perchè versata "in dipendenza del rapporto di lavoro", escludendo, in assenza di prova da parte del contribuente, che la stessa avesse natura risarcitoria di danni emergenti, subiti "in occasione del rapporto di lavoro" stesso.
Avverso tale sentenza, il contribuente propone ricorso per cassazione, successivamente illustrato con memoria, nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell'Agenzia delle Entrate.
Quest'ultima resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Va, preliminarmente, rilevata, ex officio, l'inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, che, come si desume dalla sentenza impugnata, non è stato parte del pregresso grado di giudizio. A seguito dell'istituzione dell'Agenzia delle entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 (D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è, infatti, verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all'adempimento dell'obbligazione tributaria, per effetto della quale, nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001, la legittimazione "ad causam" e "ad processum" spetta esclusivamente all'Agenzia, mentre, per quelli instaurati precedentemente, la proposizione dell'appello da parte (o nei confronti) della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell'ufficio che era parte originaria, si traduce nell'estromissione di quest'ultimo (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).
2. Con un unico, articolato, motivo, il ricorrente denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., e art. 116 c.p.c., D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 6, 48 e 46, nonchè difetto di motivazione, osserva che l'assunto della CTR, secondo cui tutte le somme corrisposte da parte del datore di lavoro costituiscono reddito imponibile, salva la prova contraria a carico del contribuente, non tiene conto dell'accordo transattivo, la cui natura esclude che l'indennità supplementare sia stata erogata "a fine risarcitorio di un lucro cessante". L'indennità in questione, prosegue il ricorrente, spetta al dirigente, ex art. 19 del CCNL di categoria, solo, in ipotesi di licenziamento ingiustificato, incombendo al datore di lavoro di provare la sussistenza della giustificazione (meno stringente della giusta causa o del giustificato motivo), e pertanto l'indennità supplementare va equiparata alla penale contrattuale, volta a compensare il dirigente della perdita dello status professionale, e, cioè, a risarcirgli un vero e proprio danno emergente. Dalla natura risarcitoria dell'indennità supplementare, consegue che l'onere della prova, relativa alla sua imponibilità, spetta all'Amministrazione. L'assunto della CTR, secondo cui le corresponsione delle somme integrerebbe o un risarcimento per la perdita di redditi futuri, ovvero un incentivo all'esodo, costituisce, dunque, un'affermazione totalmente priva di motivazione ed intrinsecamente contraddittoria, in quanto prospetta situazioni alternative ed incompatibili.
3. Va, anzitutto, disattesa l'eccezione d'inammissibilità del motivo, sollevata dall'Agenzia, in riferimento all'art. 366 bis c.p.c., tenuto conto del condivisibile principio (Cass. n. 13868 del 2010), secondo cui la formulazione di distinti e plurimi quesiti di diritto, che segua, come nella specie, all'illustrazione di un unico motivo di ricorso per cassazione, non può ritenersi, di per sè, contrastante con la disposizione dell'art. 366 bis c.p.c., per il solo fatto che questa esige che il motivo si concluda, a pena di inammissibilità, con "un quesito", potendo, infatti, il motivo di ricorso articolarsi in diversi profili, ed il quesito - che deve rispecchiarli tutti - assumere una forma separata, anche dal punto di vista grafico.
4. Nel merito, il ricorso è infondato. A norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48, comma 1, (nel testo qui in rilievo) "il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro, comprese le somme percepite a titolo di rimborso di spese inerenti alla produzione del reddito e le erogazioni liberali"; a mente dell'art. 6, comma 2, dello stesso D.P.R. "i proventi conseguiti in sostituzione di redditi... e le indennità conseguite... a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti"; e l'art. 16; comma 1, lett. a) del medesimo D.P.R. (nel testo risultante dalla modifica operata dal D.L. n. 41 del 1995, art. 32, comma 1, convertito nella L. n. 85 del 1995) dispone che l'imposta si applica separatamente sulle indennità e sulle somme percepite una tantum in "dipendenza della cessazione" dei rapporti di lavoro dipendente, nonchè a tutte le somme e valori, comunque percepiti, "anche se a titolo risarcitorio... a seguito di provvedimento dell'autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro". Dalla lettura coordinata di tali norme si ricava che vanno considerati redditi da lavoro dipendente, assoggettati ad IRPEF tutti i "proventi" e le "indennità" derivanti da un rapporto di lavoro, pur se conseguiti "in sostituzione" di redditi od Ma titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte" (cfr. Cass. 16014/04), ciò anche quando tali somme vengano percepite a seguito di transazione. Nella specie, il ricorrente chiede la restituzione della ritenuta effettuata, quale sostituto d'imposta, dalla ex datrice di lavoro all'atto della corresponsione dell'indennità supplementare per l'illegittima interruzione del rapporto di lavoro, come da conciliazione giudiziale e giusta la previsione dell'art. 19 del CCNL. In base a tale norma convenzionale, il datore di lavoro è obbligato a versare al dirigente l'indennità sostitutiva - da liquidarsi secondo parametri parzialmente discrezionali (nella forbice tra minimo e massimo) graduati, anche, in relazione all'età del dirigente licenziato ed alle connesse difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro - in ipotesi di ingiustificata risoluzione del rapporto di lavoro o (come nella specie) di rinuncia, da parte del datore di lavoro, a provare la "giustificatezza" del licenziamento, disposizione che le parti collettive hanno previsto in funzione compensatoria della situazione di minor garanzia della posizione lavorativa del dirigente, sottratta al regime della tutela obbligatoria di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 3, e di quella reale L. n. 300 del 1970, ex art. 18. Ne consegue che l'indennità in esame va assoggettata ad imposta, poichè trova la fonte della sua obbligatorietà nella risoluzione non giustificata del rapporto di lavoro col dirigente e costituisce misura di matrice convenzionale volta, da una parte, a sanzionare la condotta datoriale priva di "giustificatezza", e, dall'altra, a risarcire il dirigente per la perdita del posto di lavoro, che non dipenda da profili di sua colpa o responsabilità; a tale disciplina è, dunque, estranea - come, a ben vedere, all'oggetto stesso della contrattazione collettiva, nel cui ambito l'istituto è previsto e disciplinato - la valutazione di un danno emergente di natura diversa da quella retributiva - in tesi esente da imposta -, che il singolo dirigente abbia potuto subire in conseguenza del licenziamento, prova che, in tal caso, come già ritenuto dalla CTR, avrebbe dovuto fornire il contribuente. Il prospettato vizio di motivazione è inammissibile, tenuto conto che nel regime processuale successivo al D.lgs. n. 40 del 2006, qui applicabile, il giudice di legittimità può procedere alla diretta interpretazione degli accordi sindacali e dei contratti collettivi di diritto comune e che, come si è detto, viene in questione l'assoggettabilità ad imposta dell'indennità suppletiva, erogata dall'ex datrice di lavoro, ai sensi dell'art. 19 del CCNL di categoria.
5. Il ricorso va, pertanto, respinto, ed il ricorrente va condannato al pagamento, in favore dell'Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.200,00, oltre a spese prenotate a debito.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze e lo rigetta nei confronti dell'Agenzia delle Entrate. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di quest'ultima, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.200,00, oltre a spese prenotate a debito.