Svolgimento del processo
Con sentenza del 27.3.2002 la Corte di Appello di Lecce rigettava l'appello proposto da M.V. nei confronti della I.s.p.a. avverso sentenza del Tribunale di Taranto.
Osservava in motivazione che andava confermata l'inammissibilità della domanda per differenze di t.f.r. non avendo il ricorrente dedotto i fatti che fondavano la domanda, rilevando che il ricorrente aveva omesso di indicare gli errori nel calcolo del T.F.R. che avrebbero determinato il suo diritto alla differenza, circostanza che aveva impedito all'I. di impostare un'efficace difesa. Rilevava, poi, che il premio di produzione pagato nel 1994 si riferiva al medesimo anno, come confermato da un teste e non all'anno precedente.
Rilevava ancora che era infondata la domanda per differenza ferie essendo le stesse state conteggiate nell'esibito cedolino paga del gennaio 199S. Quanto all'incentivo all'esodo rilevava che non era stato esibito l'accordo che lo avrebbe stabilito ed inoltre un teste ne aveva esclusa la spettanza.
In ordine alla indennità di mancato preavviso, essendo cessato il rapporto per dimissioni, manca il presupposto della indennità.
Infine non competeva la quota di sgravio contributivo in favore del dipendente perchè la legge n. 473 del 1972 lo riserva agli assunti anteriormente al 1968.
Propone ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi il M., resiste con controricorso l'I. s.p.a..
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso, denunziando violazione di legge e vizio di motivazione, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la nullità del capo concernente il trattamento di fine rapporto del ricorso introduttivo senza tener conto che i fatti che fondano la domanda del T.F.R. non erano contestati e che la misura di esso risultava analiticamente dal conteggio allegato al ricorso.
La censura fondata. Va in primo luogo rilevato che il rilievo che il ricorrente avrebbe dovuto indicare gli errori commessi dal datore di lavoro nella determinazione del trattamento presupponeva logicamente che gli fosse stato comunicato il conteggio, senza l'accertamento di tale fatto il ricorrente non era in grado di precisare le ragioni per cui la somma pagata era inferiore al dovuto. La nullità del ricorso introduttivo a sensi degli artt. 164 e 414 n. 3 c.p.c. sussiste quando non sono dedotti i fatti che fondano la domanda. Nella specie non essendo controversa la spettanza del t.f.r., la sua misura risultava dagli allegati fatti costitutivi, durata del rapporto e dalle paghe corrisposte con busta paga e da un conteggio prodotto dal ricorrente. La convenuta aveva quindi tutti gli elementi per contraddire alla pretesa dell'attore. Nè la nullità consegue alla mancata notificazione dei conteggi con il ricorso perchè, come ha a ritenuto in proposito questa Corte che: "Non è affetto da nullità, in relazione all'art. 414 n. 3, c.p.c., che prescrive la determinazione dell'oggetto della domanda, il ricorso del lavoratore che, precisando in un certo importo quanto complessivamente dovutogli in base alla disciplina collettiva di cui lamenta l'inosservanza ovvero in base al principio costituzionale della proporzionalità e della sufficienza della retribuzione, ometta l'esposizione del conteggio conducente alla indicazione di quel totale, essendo tale conteggio deducibile in corso di giudizio, ovvero determinabile alla stregua della contrattazione collettiva e delle relative tabelle retributive invocate nello stesso atto, ovvero, ancora, ricostruibile dal giudice, anche mediante l'eventuale assistenza di un consulente tecnico. "Cass. n. 818 del 1989, nello stesso senso n. 688 del 1985.
Con il secondo e terzo motivo, deducendo vizio di motivazione e violazione di legge, il ricorrente prospetta due profili di censura.
Con il primo contesta l'accertamento di fatto delle dimissioni del ricorrente, che ha fruito invece del pensionamento anticipato e che ha diritto ex art. 2, comma 9^, del d.l. n. 120 del 1989, conv. con legge n. 181 del 1989 ad una somma pari alla indennità di mancato preavviso. Con il secondo contesta la mancanza di prova del diritto ad una somma di incentivo all'esodo, negando valore probatorio di una deposizione che escludeva l'obbligo e deducendo di avere prodotto gli accordi sindacali 10.3.1994, 12.3.94, 26.8.1994 ed altri precedenti che dimostravano la sussistenza del diritto.
Le censure sono infondate o inammissibili. Il ricorrente ha fruito del pensionamento anticipato disciplinato dal d.l. 16.5.1994 n. 299, conv. con l. n. 451 del 1994. L'art. 8 di questa legge, a differenza del comma 8 dell'art. 2 del d.l. n. 120 del 1989, conv. con l. n. 181 del 1989, non prevede per gli ammessi al prepensionamento la corresponsione di una somma pari all'indennità di mancato preavviso.
La censura concernente il riconoscimento di un incentivo contrattuale all'esodo è inammissibile perchè, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, cfr. tra le tante Cass. nn. 4754 e 11386 del 1999 e n. 2802 del 2000, 14728 del 2001, 12905 e 13953 del 2002, il ricorrente omette di trascrivere le clausole contrattuali che fonderebbero il suo diritto, sicchè è impedito al Collegio, cui è precluso l'esame degli atti, di verificare la rilevanza e la fondatezza della censura, che va pertanto ritenuta inammissibile.
Con il quarto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione delle norme sulla interpretazione dei contratti, censura l'imputazione al 1994 del premio di produzione pagato in quell'anno, essendo il premio contrattualmente legato all'andamento aziendale dell'anno precedente.
La censura è infondata. H rilievo che il premio di produzione sia legato all'andamento aziendale dell'anno precedente non esclude, anzi conferma, che il diritto ad esso sorga nell'anno successivo, quando può farsi un consuntivo economico dell'attività dell'anno trascorso. Il premio di produzione pagato nel 1994 è quindi il premio di produzione di quell'anno, anche se correlato alla attività dell'anno precedente. La domanda del ricorrente avrebbe potuto trovare accoglimento solo se avesse chiesto il premio di produzione del 1995 e sussistesse una clausola contrattuale che riconosce il premio ai dipendenti cessati dal servizio.
Con il quinto motivo si censura il mancato accoglimento della domanda di restituzione dello sgravio contributivo previsto in favore dei lavoratori.
La censura è fondata. Il ricorrente ha dedotto, e la circostanza non è stata contestata, che la ritenuta dei contributi previdenziali è stata operata nella misura intera senza tener conto della quota di sgravio in suo favore con conseguente illegittima riduzione della sua retribuzione. Lo sgravio richiesto fu previsto dall'art. 18 del d.l. n. 918 del 1968 nel testo risultante dalla conversione in legge n. 1089 del 1968 che recita;" A decorrere dal periodo di paga successivo a quello in corso alla data del 31 agosto 1968 e fino a tutto il periodo di paga in corso alla data del 31 dicembre 1972, è concesso uno sgravio sul complesso dei contributi da corrispondere all'Istituto nazionale della previdenza sociale dalle aziende industriali ed artigiane che impiegano dipendenti nei tenitori indicati dall'articolo 1 del testo unico approvato con DPR. 30 giugno 1967, n. 1523.
Lo sgravio contributivo è stabilito nella misura del 10 per cento delle retribuzioni assoggettate alla contribuzione per rassicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria corrisposta ai dipendenti che effettivamente lavorano nei tenitori di cui al precedente comma al netto dei compensi per lavoro considerato straordinario dai contratti collettivi e, in mancanza, dalla legge.
Il predetto sgravio contributivo si distribuisce fra i datori di lavoro e i lavoratori tenuto conto della percentuale in cui rispettivamente concorrono al complesso dei contributi per le assicurazioni sociali obbligatorie, nella misura dell'8,50 per cento e dell'1,50 per cento delle retribuzioni." Il riparto è stato mantenuto dall'art. 59 del D.P.R. n. 218 del 6.3.1978. La limitazione, affermata in sentenza, al personale assunto anteriormente al 1^ ottobre 1968, prevista dall'art. 3 bis della legge n. 463 del 1972, si riferisce non al riparto, ma all'aumento dello sgravio in favore delle aziende.
In conclusione vanno accolti il primo e quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata per nuovo esame al giudice indicato nel dispositivo, allo stesso giudice si demanda anche di provvedere sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e quinto motivo del ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del Giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Bari.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2004.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2004