Svolgimento del processo
Con ricorso del 7 dicembre 1993 la S.M. Spa proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso ad istanza dell'Inps, per il pagamento della somma di L. 10.186.292.543, per omissioni contributive e somme aggiuntive per il periodo 1° gennaio 1984 - 30 aprile 1992, assumendo che per i turnisti non c'era stato alcun rapporto di lavoro subordinato.
L'Inps contrastava la domanda, ma il pretore l'accoglieva revocando il decreto opposto.
Il Tribunale di Milano, investito in grado di appello ad istanza dell'Inps, con sentenza del 16 ottobre 1996 - 14 giugno 1997, confermava la sentenza, precisando che corretta appariva la qualificazione di lavoratori autonomi data dal pretore ai totalizzatori (e addetti alle biglietterie, portieri ecc.), in quanto gli stessi erano inseriti in elenchi di circa 200 nominativi, fra i quali venivano scelti i nomi di quelli (circa 40-60 persone) che si rendevano disponibili a prestare l'attività nel mese successivo e che venivano retribuiti a gettone.
Mancava l'assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore, derivante dall'emanazione di ordini specifici e da un'assidua attività di vigilanza e controllo.
Inoltre, le prestazioni non erano obbligatorie, nel senso che l'interessato poteva accettare o meno di prendere l'impegno per il mese successivo, senza avere negli intervalli vincoli di sorta, ed anche quando aveva preso l'impegno poteva (come risultava dalla deposizione del teste R.) anche non presentarsi, limitandosi ad avvertire telefonicamente. Queste circostanze apparivano come "tratti fortemente caratterizzanti il lavoro autonomo". La mancanza della continuità delle prestazioni ed il pagamento a gettone, senza gli istituti tipici del lavoro subordinato, come tredicesima, ferie e riposo settimanale, confermava la natura autonoma del rapporto.
Questi indici, messi a confronto con altri di segno opposto (inserzione nella organizzazione e svolgimento della prestazione in luoghi di pertinenza dell'azienda), erano sicuramente prevalenti qualitativamente e quantitativamente. La sentenza quindi doveva essere confermata.
Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione l'Inps, fondato su due motivi.
Resiste con controricorso la S.I. Spa, ora società T., incorporante della società milanese corsa cavalli.
Motivi della decisione
Lamentando, col primo motivo, omessa ed insufficiente motivazione e falsa applicazione dell'art. 2094 c.c. (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.), deduce il ricorrente che, nel ragionamento seguito dal Tribunale, l'esclusione dell'elemento della subordinazione non aveva alcun nesso logico con la premessa: la predisposizione di un elenco di persone cui affidare un lavoro non era circostanza da cui "inferire che il rapporto di lavoro viene svolto in assenza della subordinazione". L'insussistenza di questo elemento, senza l'indicazione dei dati dai quali poterlo dedurre e delle fonti del convincimento, rimaneva affermazione astratta e del tutto indimostrata. Il Tribunale poneva a fondamento della decisione una circostanza "inconferente, o tutt'al più suscettibile di molteplici e polivalenti interpretazioni".
Lamentando, col secondo motivo, violazione e falsa applicazione dell'art. 2094 c.c., nonché vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.), deduce il ricorrente che la discontinuità del lavoro non influiva sulla natura del rapporto, esistendo nell'ordinamento le figure del "part. time" verticale ed orizzontale; ed anzi il cosiddetto lavoro "a chiamata" caratterizzava una forma di subordinazione particolarmente intensa; né alcun rilievo aveva il fatto che alcuni venissero impiegati pochi giorni a settimana. Irrilevante era anche la forma del compenso, sia per l'assenza di rischio per il lavoratore, sia perché lo stesso veniva rapportato alla prestazione e non al risultato del lavoro effettuato e comunque era garantito a prescindere dal risultato economico realizzato dal datore di lavoro.
I criteri adottati dal Tribunale erano inconsistenti e non decisivi, a cominciare da quello relativo alla "circostanza che il lavoratore non offrisse incondizionatamente il proprio consenso a partecipare all'impegno lavorativo mensile, anche perché rimarrebbe unico elemento di sostegno alla soluzione adottata". La decisione doveva essere presa dopo un'analisi comparativa degli indici rivelatori dell'uno o dell'altro tipo di lavoro, sulla base di un giudizio di prevalenza: il luogo della prestazione, la proprietà dei mezzi di produzione, l'orario di lavoro, il controllo della prestazione, la retribuzione fissa o meno, l'oggetto della prestazione, l'esistenza o meno di organizzazione d'impresa da parte del lavoratore, l'esistenza o meno del rischio erano gli elementi che il Tribunale non aveva tenuto presenti e che, se considerati, avrebbero portato ad una soluzione diversa; il lavoro degli "sportellisti" consisteva nel ricevere le scommesse e digitare sul computer "la piazza" ed effettuare con lo stesso strumento le altre operazioni; il tutto veniva effettuato nei locali dell'azienda e con un bene aziendale, appositamente programmato, per cui al lavoratore era chiesta solo la mera esecuzione di una attività lavorativa, senza alcuna autonomia. I lavoratori, una volta accettato il turno, prestavamo un'attività priva di rischio e dovevano anche rispettare un orario, legato alle corse.
Il ricorso è fondato.
I due motivi vanno trattati congiuntamente, perché sono due aspetti della medesima censura. In proposito si rileva che questa Corte ha avuto modo di intervenire ripetutamente nella materia, precisando, in particolare con la sentenza n. 6086 del 29 maggio 1991, che "elemento essenziale e determinante del lavoro subordinato è il vincolo della subordinazione, la quale consiste per il lavoratore in un vincolo di assoggettamento gerarchico e per il datore di lavoro nel potere di imporre direttive non soltanto generali, in conformità di esigenze organizzative e funzionali, ma tali da inerire di volta in volta all'intrinseco svolgimento della prestazione; tale vincolo - che è in concreto identificabile nell'inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'impresa in modo continuativo e sistematico e nell'esercizio di una costante vigilanza del datore di lavoro sull'operato del lavoratore - costituisce l'essenziale elemento discretivo rispetto al lavoro autonomo, avendo invece valore sussidiario altri elementi quali le modalità della prestazione, la forma del compenso e l'osservanza di un determinato orario".
Elementi di fatto dai quali possa trarsi il convincimento della natura subordinata del rapporto sono stati ritenuti, nella giurisprudenza di questa Corte, l'inserimento del lavoratore nella organizzazione aziendale, con prestazione di sole energie lavorative corrispondenti all'attività dell'impresa, nel rispetto di un orario di lavoro strettamente collegato con gli orari di apertura e chiusura della sala corse, nonché nel pagamento della retribuzione non in base al risultato raggiunto, ma secondo le ore prestate nel diversi turni; irrilevante, invece, è stata ritenuta la discontinuità della prestazione che non fosse dovuta ad una libera scelta del lavoratore, ma rispondesse al contrario a criteri di distribuzione del lavoro in turni prefissati dal datore e con modalità di erogazione prestabilite in considerazione delle esigenze aziendali; irrilevante altresì è il "nomen juris" adottato dalle parti, anche se nella motivazione il giudice di merito debba dare conto degli elementi di fatto dai quali desume che, malgrado la qualificazione in termini di autonomia data dalle parti al rapporto, il lavoro si sia poi eventualmente svolto con i caratteri della subordinazione.
Con la sentenza n. 5340 del 1° giugno 1999 questa Corte ha ritenuto che fossero elementi indicativi di un vincolo di subordinazione la localizzazione e natura delle prestazioni, la presenza di vigilanza e controllo per quanto necessari, la predisposizione di turni e vincolatività dei medesimi a seguito della loro accettazione da parte del lavoratore, la struttura e disciplina dei compensi"; irrilevante invece è stata ritenuta la facoltà ogni volta riconosciuta al lavoratori di accettare o meno il turno predisposto ed in caso di impossibilità sopravvenuta di avvertire il datore di lavoro o di attivarsi per cercare un sostituto nell'ambito del gruppo di lavoratori a disposizione "in quanto non viene meno in quest'ultimo caso la personalità della prestazione, essendo la retribuzione corrisposta all'effettivo erogatore della prestazione lavorativa".
Con altra sentenza del 1999, n. 5045, questa Corte (sempre in tema di addetti alla ricezione delle scommesse sulle corse dei cavalli e confermando una sentenza che aveva suddiviso i lavoratori in tre gruppi: uno di lavoratori a tempo pieno, uno a tempo parziale ed un terzo gruppo di lavoratori che avevano svolto una pluralità di rapporti di lavoro subordinato di durata temporanea e limitata nell'oggetto ex art. 23 della legge n. 56 del 1987) ha avuto modo di affermare il principio di diritto, secondo cui "la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle circostanze probatorie - sempre che le circostanze non considerate non siano tali da condurre ad una diversa soluzione - dovendo solo fornire un'esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti"; il giudice cioè è libero di scegliere le prove e di valutarle, ma deve congruamente motivare.
Di fronte a questa complessa elaborazione giurisprudenziale, pienamente condivisa dal Collegio, balza ancor più evidente la superficialità della sentenza impugnata e la assoluta inadeguatezza della sua motivazione: in sostanza il Tribunale prende in esame un solo elemento, la discontinuità della prestazione lavorativa, e lo valuta ripetutamente, una volta per escludere l'assoggettamento dei lavoratori al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, senza spiegare da dove ricava simile conclusione; una seconda volta per escludere che le prestazioni fossero "continuativamente obbligatorie" ed affermare che negli intervalli i lavoratori non avevano vincoli di sorta e potevano anche non presentarsi la lavoro, dopo avere accettato il turno, avvertendo telefonicamente, una terza volta per dire che manca la continuità della prestazione, che invece ricorre generalmente in regime di subordinazione.
All'elemento della discontinuità il Tribunale aggiunge quello del pagamento a gettone, senza tredicesima, ferie e riposo settimanale, e quindi conclude per la prevalenza degli elementi dell'autonomia del rapporto di lavoro, rispetto a quelli della subordinazione (l'inserzione nell'organizzazione e lo svolgimento della prestazione in luoghi di pertinenza dell'azienda); elementi questi ultimi che sono, invece, gli indici più pregnanti di un rapporto di lavoro subordinato.
Non c'è coerenza logica fra le premesse da cui parte il Tribunale e le conclusioni che ne trae, perché non c'è alcun rapporto fra la chiamata dai lavoratori da un elenco predisposto e l'insussistenza della subordinazione, oppure fra la discontinuità del rapporto e il lavoro autonomo.
Entrambi i motivi sono quindi fondati ed il ricorso va accolto e la sentenza cassata, con rimessione, per una nuova valutazione alla luce dei principi di diritto sopra esposti, ad altro giudice, che si individua nella Corte di Appello di Milano, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2000.