Svolgimento del processo
Con ricorso dell'11 settembre 1991, l'I.N.A.I.L. chiese al pretore del Lavoro di Avellino di dichiarare che il fatto, che aveva causato - in data 23 agosto 1984 - l'infortunio ad A.D. costituiva reato, del quale era colpevole G. C.; chiese, quindi, la condanna di costui al rimborso delle prestazioni erogate, ammontate a L. 63.902.793, oltre successivi miglioramenti di legge, interessi e prescrizione del diritto di regresso.
L'Istituto ricorrente in premessa, dedusse che: in data 23 agosto 1984, in Caposele, A.D., dipendente della ditta G. C., era caduto dal tetto di un fabbricato "che si stava riattando", riportando gravi lesioni. Dal rapporto redatto dai Carabinieri, intervenuti sul posto per le indagini, e da quello dell'Ispettorato del lavoro era emerso che l'infortunio si era verificato "a causa della mancata adozione delle necessarie misure precauzionali da parte del datore di lavoro". Il giudizio penale, instaurato presso la Pretura di Calabritto, si era, tuttavia, concluso con sentenza di non doversi procedere nei confronti dell'imputato per essersi il reato estinto per amnistia.
Esso Istituto, "stante l'ascrivibilità del sinistro alla esclusiva condotta colpevole del C.", aveva, però, diritto alla ripetizione delle prestazioni erogate.
Il pretore adito accolse la domanda.
Il Tribunale rigettò l'appello del C., precisando, tra l'altro, che la somma da corrispondere all'I.N.A.I.L. andava adeguata in quella di L. 124.049.306, oltre interessi legali.
Contro la sentenza del Tribunale di Avellino, resa il 13 dicembre 1994, G. C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura.
Resiste, con controricorso, l'I.N.A.I.L., che ha presentato successiva memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione di legge anche per omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia in ordine agli artt. 1 e 112, ultimo comma, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, in riferimento all'art. 2943, ultimo comma, c.c., il ricorrente deduce che illegittimamente e, comunque, con motivazione consistente nel mero rinvio alla sentenza di primo grado, il Tribunale ha disatteso l'eccezione di prescrizione del diritto di regresso. Tale azione, invero, si prescrive nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile o, comunque, ove sia pronunziata sentenza di non doversi procedere per amnistia, non venga iniziata la relativa azione dinanzi al giudice civile entro tre anni dalla sentenza stessa. Nella specie, la sentenza, che dichiarò non doversi procedere per intervenuta amnistia, divenne irrevocabile nel mese di giugno del 1987, mentre il ricorso introduttivo dell'I.N.A.I.L. fu depositato soltanto nel mese di settembre 1991 e, quindi, oltre il termine prescrizionale. Ad avviso del ricorrente, è, altresì, infondata la tesi del pretore, recepita nella sentenza ora denunciata, secondo cui il termine di prescrizione triennale mai sarebbe spirato, essendo stato interrotto da raccomandate spedite dall'I.N.A.I.L.. Infatti, l'art. 112 del D.P.R. n. 112 del 1965 esclude qualsiasi efficacia interruttiva ad atti di messa in mora diversi dalla domanda giudiziale, ed inoltre, le raccomandate suddette sono assolutamente inidonee ad interrompere il decorso della prescrizione, perché contengono delle mere sollecitazioni a pagare, con riserva di agire in giudizio. In tal modo, essendo prive del carattere "di perentoria intimazione o di espressa richiesta formale di immediato adempimento", con conseguente esclusione di ogni efficacia interruttiva.
La censura è fondata.
Secondo l'art. 112, ultimo comma, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, "il giudizio civile di cui all'art. 11 non può istituirsi dopo trascorsi tre anni dalla sentenza penale che ha dichiarato di non doversi procedere per le cause indicate nello stesso articolo. L'azione di regresso di cui all'art. 11 si prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile". La giurisprudenza di legittimità ha specificato che il termine di prescrizione dell'azione di regresso dell'I.N.A.I.L., stabilito dall'art. 112, ultimo comma, del D.P.R. n. 1124 del 1965 citato, decorre dal momento in cui la sentenza penale (di condanna o di proscioglimento) è divenuta irrevocabile ai sensi - rispettivamente - dell'art. 576 c.p.p. del 1930 e dell'art. 648 c.p.p. vigente (cfr. Cass. n. 9191 del 1991, Cass. n. 12185 del 1995). Ed ha, altresì, precisato i requisiti dell'atto di costituzione in mora quale atto interruttivo della prescrizione, affermando il seguente principio di diritto: un atto può acquisire efficacia interruttiva della prescrizione, a norma dell'art. 2943, quarto comma, c.c., allorché contiene anche l'esplicitazione di una pretesa, vale a dire una intimazione o richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l'effetto di costituirlo in mora (Cass. n. 563 del 1995; n. 561 del 1995; n. 612 del 1994 ed altre).
L'accertamento di tale requisito costituisce indagine di fatto riservata all'apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e qualora lo stesso giudice dia compiuta ragione del proprio convincimento (ex plurimis: Cass. n. 2628 del 1994).
Ora, come emerge dalla parte motivo della sentenza impugnata, il Tribunale ha rigettato l'eccezione di prescrizione, riproposta - con l'atto l'appello - dal C., con il rilievo che essa era infondata "per motivi esaurientemente esposti nella sentenza appellata".
In tal modo, l'impostazione metodologica, adottata dal giudice del merito, non appare corretta, perché essa si sottrae all'obbligo di motivazione, riscontrabile, nella specie (ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.) nel recepimento acritico della soluzione già adottata dal giudice di primo grado, non essendo il richiamo generico a tale soluzione idoneo ad assolvere alla funzione tipica di revisione prioris instantiae che esplica la sentenza di secondo grado (Cass. n. 438 del 1986 e n. 398 del 1999), la quale deve anche esaminare le censure formulate contro la decisione di primo grado dalle parti (Cass. n. 10768 del 1995), in modo da consentire a questo Supremo Collegio un controllo sulla esattezza della motivazione, onde evitarne deficienze e/o contraddittorietà.
L'accoglimento del primo motivo del ricorso, in quanto pregiudiziale, rende superfluo l'esame del secondo, del terzo e quarto motivo (che vengono in tal modo dichiarati assorbiti), con i quali il C. denuncia: violazione e falsa applicazione di norme di diritto anche sotto il profilo dell'omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento agli artt. 51 e 70 del D.P.R. n. 164 del 1956, con particolare riguardo all'art. 2687 c.c. (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 187 e 188 c.p.c. in riferimento agli artt. 202 c.p.c., nonché dell'art. 2697 c.c., omessa ed insufficiente motivazione sulle risultanze probatorie (terzo motivo); e violazione e falsa applicazione, nonché omessa ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia in riferimento all'art. 2697 c.c., nonché degli artt. 164 e 414 c.p.c. (terzo motivo).
In riferimento al motivo accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, per un nuovo esame, ad altro giudice di appello, che si designa nel Tribunale di Benevento - Sezione Lavoro, il quale si uniformerà ai principi di diritto sopra enunciati ed, in particolare, accerterà ai fini eventuali dell'efficacia interruttiva della prescrizione del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L. se e quali lettere raccomandate sono state da detto Istituto inviate al C. e se esse contengano l'esplicitazione dell'intimazione o richiesta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà di far valere il diritto preteso da esso Istituto nei confronti dello stesso C.. All'esito di tale indagine, il giudice del rinvio adotterà le conseguenti statuizioni e provvederà, altresì, alla regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiarati assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Benevento - Sezione Lavoro.
Così deciso in Roma l'8 aprile 1997.