Svolgimento del processo
Con sentenza del 18 ottobre 1990, il Tribunale di La Spezia, riformando la decisione di primo grado, ha accolto la domanda proposta da O. R. e due litisconsorti nei confronti della s.p.a. S. di Ancona e La Spezia per il pagamento di differenze di trattamento di fine rapporto, derivanti dal calcolo di precedenti periodi di servizio prestato alle dipendenze di diverse società nell'ambito di un unico rapporto di lavoro. Il Tribunale ha ravvisato, in relazione alla vicenda del passaggio dei lavoratori dall'una all'altra società, una fattispecie di trasferimento di azienda regolata dall'art. 2112 cod. civ., osservando che i dipendenti avevano continuato a svolgere senza interruzioni l'identico lavoro, usando le stesse attrezzature nei medesimi locali.
La cessione dell'azienda non poteva essere esclusa - contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice - solo perché la precedente società datrice di lavoro aveva continuato ad operare anche successivamente al passaggio dei lavoratori, dal momento che la norma dell'art. 2112 c.c., trova applicazione anche nel caso di cessione di unità produttiva autonoma; la società cessionaria non aveva utilizzato mezzi o strutture che non fossero presenti già prima, indipendentemente da chi risultava formalmente proprietario nel gruppo di società.
Avverso tale sentenza la società S. Granari della Sicilia, avente causa per incorporazione della società S. di Ancona e La Spezia, ha proposto ricorso per cassazione con unico complesso motivo, al quale resistono con controricorso O. R. e litisconsorti. Le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
Con l'unico complesso motivo la ricorrente denunzia i vizi di violazione dell'art. 2112 cod. civ., e difetto di motivazione, osservando che il giudice dell'appello non ha fondato la sua decisione su elementi di fatto diversi da quelli esaminati dal Pretore (che all'esito di un'attenta istruttoria ha escluso la sussistenza degli elementi della fattispecie del trasferimento di azienda) ma ha dato come presupposto - con apodittiche affermazioni - ciò che si sarebbe dovuto provare, risolvendo la questione sulla sola base della successione temporale dei rapporti di lavoro nell'ambito di una struttura, senza neppure verificare chi di quella struttura fosse titolare. Il Tribunale ha inoltre erroneamente ipotizzato un trasferimento di azienda con riferimento ad una struttura il cui substrato fondamentale consisteva in un bene demaniale.
Il ricorso merita accoglimento. La decisione impugnata si fonda sui seguenti rilievi:
- i lavoratori appellanti hanno continuato a svolgere senza soluzione di continuità l'identico lavoro, ad usare le identiche attrezzature nei medesimi locali, e nessuna modifica anche formale di alcun tipo venne realizzata;
- il primo giudice ha escluso che si fosse realizzata una cessione di azienda perché la società dante causa aveva continuato a vivere ed operare anche dopo il passaggio dei lavoratori, senza considerare che l'art. 2112 cod civ., trova applicazione anche nel caso di cessione di unità produttiva autonoma; ha poi erroneamente negato la configurabilità di una cessione di beni aziendali in relazione agli atti posti in essere per l'utilizzazione del terreno demaniale su cui sorgevano i S. da parte della società avente causa;
- "il meccanismo produttivo non ha subito alcuna modificazione e la società cessionaria non ha utilizzato mezzi o strutture che non fossero presenti ed esistenti già prima, a prescindere da chi risultasse o risulti formalmente proprietario nell'arcipelago del gruppo F.".
La Corte osserva che il giudice di merito era tenuto ad accertare, con adeguata motivazione, se nella fattispecie sottoposta al suo esame fossero ravvisabili, alla stregua della particolari circostanze di fatto, i requisiti del trasferimento dell'azienda previsto dall'art. 2112 cod. civ.; l'applicazione di questa norma presuppone, secondo la costante giurisprudenza (v. in particolare Cass. 11 luglio 1989, n. 3267, relativa ad analoga vicenda), che il complesso organizzativo dei beni dell'impresa, nella sua identità obiettiva, sia passato in tutto o in parte a diverso titolare, e, benché sia realizzabile anche con un mezzo tecnico-giuridico diverso da quelli (vendita, affitto e usufrutto) espressamente contemplati dalla disposizione citata, non può essere desunto dalla sola circostanza della continuità delle prestazioni lavorative prima alle dipendenze di una determinata impresa e successivamente alle dipendenze di un altra, ancorché svolte nei medesimi locali, potendo essa rappresentare una semplice successione cronologica di rapporti di lavoro non collegati da un nesso riconducibile al concetto di trasferimento di azienda; né tale fattispecie è automaticamente determinata dall'eventuale collegamento tra le imprese predette, che, in quanto fenomeno meramente economico, non è di per sé produttivo dell'unificazione dei successivi rapporti, non comportando il venir meno della sostanziale autonomia e della distinta soggettività dei successivi datori di lavoro.
Sui presupposti oggettivi per la configurabilità di tale fattispecie non incidono del resto le modifiche introdotte nell'ordinamento della direttiva CEE del 14 febbraio 1977, n. 77/187 (alla quale ha dato successivamente attuazione la legge 29 dicembre 1991, n. 428), posto che, indipendente da ogni rilievo sui suoi limiti temporali di applicazione, anche tale disciplina - richiamata dalla difesa di parte resistente - va riferita ad entità economiche che conservano con il trasferimento la loro identità (cfr. Cass. 20 agosto 1992, n. 9706).
Alla luce di tali principi, la sentenza impugnata risulta affetta dal dedotto vizio di motivazione, non essendo indicate ragioni sufficienti ed adeguate a sostegno del convincimento espresso in ordine all'identità della struttura organizzata costituente l'unità produttiva in cui i lavoratori appellanti avrebbero prestato, senza significativi mutamenti, la loro attività.
In effetti, gli elementi costitutivi di tale struttura non risultano specificamente identificati (neppure attraverso il richiamo alle dichiarazioni del legale rappresentante della società convenuta in primo grado) mancando del resto ogni riferimento cronologico utile per la ricostruzione della vicenda traslativa; ed una puntuale indagine in proposito era indubbiamente necessaria, posto che - come rilevato dal primo giudice - la società precedente datrice di lavoro aveva continuato a vivere ed operare anche dopo il passaggio dei lavoratori.
Il trasferimento di azienda è certamente ravvisabile, come osserva il Tribunale, anche nelle ipotesi di cessione di singole unità produttive, purché peraltro questa siano suscettibili di costituire idoneo e compiuto strumento di impresa (cfr. Cass. 8 gennaio 1991, n. 67, 5 agosto 1988, n. 4845, 5 luglio 1986, n. 4413), corrispondenti ad un'entità organizzata e cioè ad un complesso di beni e rapporti unificati dalla volontà del titolare in vista dello scopo produttivo organizzato; non quando si tratti di alienazioni parziali di singoli o più elementi di quel tutto organico, privi di siffatta unificazione funzionale (cfr. Cass. 10 marzo 1992, n. 2887).
Nel caso concreto non era dunque sufficiente rilevare l'utilizzazione da parte della società cessionaria di preesistenti e non meglio specificati "mezzi e strutture", ma occorreva verificare l'esistenza di un complesso organizzato di beni, interessato dal fenomeno traslativo nella sua identità funzionale ed economica di autonomo strumento di impresa.
In relazione a tale carenza di motivazione appare superfluo l'esame dell'ulteriore profilo di censura attinente all'acquisizione a titolo originario del terreno utilizzato dalla società convenuta in primo grado.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata, con rinvio della causa ad altro giudice - che si designa nel Tribunale di Chiavari - il quale procederà a nuovo esame attenendosi ai principi sopra enunciati e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia al Tribunale di Chiavari che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 13 novembre 1992.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 MARZO 1993.