Svolgimento del processo
Con sentenza del 22 maggio 2001, il Tribunale di Napoli riformava in parte la sentenza con cui il Pretore della stessa città aveva provveduto in merito alle impugnative di licenziamento proposte da V.F. e da altri sei lavoratori (C.M., S.P., R.M., A.D.M., D.V., G.S.) contro la C. s.p.a., riconoscendo la sussistenza di rapporti di lavoro subordinato tra le parti con le decorrenze ivi precisate, dichiarando l'inefficacia del licenziamenti intimati ai ricorrenti, ordinando la reintegrazione nei posti di lavoro, condannando la convenuta al risarcimento del danno derivante dal licenziamento, in misura uguale alle retribuzioni non percepite fino all'effettiva reintegra, e condannando la stessa al pagamento delle somme non corrisposte a causa del mancato inquadramento nell'ambito di unitari rapporti a tempo indeterminato, previa detrazione degli importi ricevuti a titolo di t.f.r.; rigettava invece le domande di applicazione del regime di continuità del rapporto di lavoro.
Precisamente, il Tribunale, rettificava la data iniziale del rapporto rispetto a C.M., e determinava nella misura minima di cinque mensilità il danno da licenziamento, tenuto presente che i lavoratori erano stati reintegrati già nella fase cautelare del procedimento. Escludeva anche le detrazioni dell'indennità di disoccupazione e di t.f.r., ritenendo la datrice di lavoro carente di legittimazione riguardo a tali prestazioni.
Quanto alla sussistenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, osservava, da un lato, che nella specie era applicabile la previsione dell'art. 332 c.n., secondo cui, ove dal contratto o dall'annotazione sul molo dell'equipaggio o sulla licenza l'arruolamento non risulta stipulato a viaggio o a tempo indeterminato, esso è regolato dalle norme concern del enti il contratto a tempo determinato, e dall'altro che alla medesima conclusione doveva pervenirsi anche sulla base delle norme legali (art. 326 c.n.) e contrattuali collettive sulla sottoposizione del rapporto alla disciplina relativa dei rapporti a tempo indeterminato in caso di prestazione di servizio per un tempo superiore ad una certa durata, con cumulo dei vari periodi in caso di intervallo non superiore ad un determinato lasso di tempo.
Riteneva poi i licenziamenti relativi ai vari sbarchi intervenuti durante il rapporto di lavoro qualificabili come orali, perché la mera annotazione sul libretto di navigazione della data dell'ultimo sbarco, così come di quella degli sbarchi precedenti non integrava la necessaria manifestazione di volontà, chiara ed univoca, della volontà di recesso. Analogamente simile volontà non era identificabile nella consegna del foglio di paga relativa all'ultimo sbarco, stante l'equivocità dell'inserimento delle voci "tfr anno in corso" e "tfr anni precedenti", parimenti inserite in altri fogli precedenti.
Per il Tribunale ne derivava l'inefficacia dei licenziamenti a norma dell'art. 2 L. n. 604 del 1966. Lo stesso giudice osservava comunque che non era ravvisabile il dedotto giustificato motivo oggettivo, stante l'inidoneità del richiamo alle necessità di riassetto organizzativo aziendale, per il mancato collegamento della causale con le specifiche posizioni lavorative, e che, semmai, avrebbe dovuto procedersi a un licenziamento nel rispetto delle condizioni e modalità della legge n. 223 del 1991.
Contro questa sentenza la C. propone ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi.
I lavoratori resistono con controricorso. La C. ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, denunciandosi violazione dell'art. 112 c.p.c. e carenze di motivazione, si deduce che il giudice di secondo grado abbia completamento trascurato l'esame del motivo di appello con cui si lamentava che il primo giudice, dopo avere dichiarato la nullità dei contratti di arruolamento a viaggio intercorsi tra le parti, e quindi aver dichiarato la sussistenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, aveva ritenuto applicabile alla cessazione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine dichiarato illegittimo l'apparato sanzionatorio previsto dall'art. 18 L. n. 300 del 1970.
Il motivo non è fondato.
Deve rilevarsi che la tesi che ne è alla base è stata implicitamente disattesa dal giudice di merito, e non a torto. Nella specie, in realtà, mancano i presupposti di applicabilità del principio secondo cui non è configurabile un licenziamento quando, a seguito della stipulazione di un contratto di lavoro a termine, il datore di lavoro, alla scadenza del termine convenuto, allo scopo di evitare la rinnovazione tacita del contratto, comunichi al lavoratore lo spirare di tale termine (pur illegittimamente apposto), non potendosi ravvisare in tal caso la volontà di determinare l'estinzione del rapporto (cfr. la riaffermazione del principio da parte di Cass., Sez. un., 8 ottobre 2002).
Ed, infatti, non può sostenersi che nella specie vi si stata la stipulazione di un contratto di lavoro a termine, essendo stata accertata la stipulazione ogni volta, compresa l'ultima, di contratti a tempo indeterminato proprio per effetto della circostanza che l'arruolamento, dalla documentazione prevista dall'art. 332 c.n., non risultava essere stata stipulata a viaggio o a tempo indeterminato. Di conseguenza l'ulteriore richiamo, da parte della sentenza impugnata, della normativa del codice della navigazione e dei contratti collettivi sulla trasformazione dei contratti a tempo determinato in rapporti a tempo determinato in caso di durata del rapporto eccedenti determinati termini, con cumulo dei periodi distanziati da intervalli inferiori a determinate misure, ha il valore di un rilievo di carattere logicamente subordinato, formulato ad abundantiam. Non a caso, del resto, non si è mancato di sottolineare l'inefficacia per difetto di forma anche dei licenziamenti intervenuti in occasione dei precedenti sbarchi.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2 e 6 L. n. 604 del 1966, degli artt. 120 e 122 c.n. e degli artt. 220-238 reg.nav.mar., unitamente a vizi di motivazione.
Subordinatamente all'accoglimento delle prospettazioni di cui al motivo precedente, si sostiene che, quando l'annotazione scritta dello sbarco sul libretto di navigazione - sulla cui autonoma rilevanza ad integrare l'atto scritto di recesso può forse formularsi qualche dubbio - è accompagnata dalla consegna del foglio di liquidazione delle spettanze di fine rapporto, non vi può essere dubbio in merito alla identificazione in detta annotazione di una volontà di estinguere il rapporto. Che nella specie si trattasse di liquidazione delle spettanze di fine rapporto era evidente, del resto, dall'inserimento della voce "t.f.r." tout court e non "t.f.r. anno in corso" e "t.f.r. anni precedenti", come con errore di motivazione affermato dal giudice di merito. Si aggiunge che nei rapporti nautici la forma scritta nel licenziamento ha minore rilievo, in quanto il rapporto è documentato fin dall'inizio.
Riguardo a questo motivo deve osservarsi che si è in presenza di un accertamento di fatto non censurabile nella presente sede in difetto di vizi logici o giuridici, che in concreto non sono ravvisabili. E deve aggiungersi che l'affermazione, sotto il profilo del vizio di motivazione, della presenza di un'indicazione, nel foglio di liquidazione, di una voce denominata in realtà semplicemente "t.f.r." non e decisiva, poiché il giudice di merito ha soprattutto sottolineato che non si era in presenza di un vero e proprio atto di liquidazione delle spettanze di fine rapporto, ma semplicemente di un foglio paga relativo all'ultimo sbarco. Deve anche aggiungersi che la deduzione circa l'inesatta lettura dei documenti che avrebbe compiuto il giudice di merito non è accompagnata da opportune indicazione utili ad identificare i documenti rilevanti e il loro preciso contenuto. Non può non rilevarsi, poi, con specifico riferimento alla annotazione dello sbarco sul libretto di navigazione, che l'ipotesi della identificabilità in tale annotazione della comunicazione per iscritto della risoluzione del rapporto collide, sul piano logico-giuridico, con il fatto che le annotazioni sui libretti personali di navigazione sono effettuate dagli ufficiali o funzionali dell'ufficio marittimo (art. 224 reg.nav.mar.).
Deve, infine, sottolinearsi la non plausibilità dell'affermazione relativa ad un'attenuazione dei requisiti di forma nel licenziamento del personale della navigazione marittima, stante l'estensione al medesimo dell'applicabilità della legge n. 604/1966 statuita da Corte cost. n. 96/1987.
Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 3 L. 15 luglio 1966 n. 604, con riferimento alla L. 5 dicembre 1986 n. 856, dell'art. 112 c.p.c. e degli art. 115 c.p.c. e segg., artt. 420 e 437 c.p.c., unitamente a vizi di motivazione. Si lamenta ultrapetizione quanto alla affermata applicabilità della normativa sui licenziamenti collettivi e si lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale diretta a provare la soppressione del posto di lavoro dei ricorrenti - circostanza peraltro mai contestata e da ritenersi pacifica - e l'esistenza di un giustificato motivo oggettivo. Si afferma anche che nessun dubbio poteva esistere sulla dipendenza dei licenziamenti dal notorio stato di crisi del settore della navigazione marittima e dalla necessità di un riassetto organizzativo aziendale.
Questo motivo riguarda questioni di rilevanza subordinata nella giustificazione della decisione impugnata e il rigetto del motivo che precede, relativo alla mancanza dei requisiti formali del licenziamento, ne comporta il sostanziale assorbimento (o, più precisamente, l'inammissibilità consequenziale).
Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 112 c.p.c.; violazione degli artt. 325, 326, 332 c.n. e degli artt. 18 e 35 L. 20 maggio 1970 n. 300, unitamente a vizi di motivazione.
Si lamenta il mancato esame del motivo di appello secondo cui nel contratto di arruolamento marittimo il rapporto di lavoro subordinato, oltre a essere necessariamente discontinuo, non è dotato di stabilità, eccettuato il caso particolare dei rapporti caratterizzati dalla "c.r.l." (continuità del rapporto di lavoro), la cui sussistenza era stata esclusa dalla sentenza di primo grado, sul punto passata in giudicato. Si ribadisce comunque che, in difetto di c.r.l., manca la stabilità reale ed è presente solo una continuità non retribuita, cui si accompagna il cumulo dell'anzianità di servizio maturata per effetto dei successivi rapporti di lavoro. Al riguardo si sostiene che la sent. n. 96 del 1987, con cui è stata estesa al personale navigante la disciplina in materia di licenziamenti di cui alla L. n. 604 del 1966 e all'art. 18 L. n. 300 del 1970, trova applicazione solo in favore del personale in regime di "continuità".
Si afferma anche che non rileva di per sé la qualificazione del rapporto di lavoro nautico come a tempo indeterminato, non essendo questo tipo di rapporto assimilabile al rapporto a tempo indeterminato ordinario. Il rapporto a tempo indeterminato nautico, infatti, ove non in regime di continuità, non assicura la retribuzione dei periodi passati a terra ed è in sostanza a tempo determinato, perché la durata massima dell'imbarco è fissata nei contratti collettivi e tale tipo di contratto viene stipulato quando non si intende limitarlo ad uno o più viaggi prestabiliti.
È infondato anche questo motivo. Al riguardo è sufficiente rilevare, sinteticamente, che la sent. n. 96 del 1987 della Corte Costituzionale ha esteso l'applicabilità della disciplina di cui alla legge n. 604 del 1966 e all'art. 18 legge n. 300 del 1970 al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione. Ne consegue che, ai fini della applicabilità, in linea di principio, della normativa limitativa del potere di licenziamento ai marittimi dipendenti da dette imprese è sufficiente che tra le parti sussista un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in base alla volontà delle parti o per effetto delle normativa del codice della navigazione e della contrattazione collettiva che prevalga sulla volontà delle parti, senza necessità della concorrenza dei presupposti particolari dell'istituto, previsto da taluni contratti collettivi, della c.d. continuità del rapporto di lavoro. In alcuna maniera il riferimento a tale disciplina da parte di detta della sentenza della Corte Costituzionale è tale, né sul piano letterale né su quello logico, da far ritenere che l'applicabilità della c.r.l. sia stata considerata un presupposto della applicabilità della stessa disciplina legale in materia di licenziamenti.
Neanche la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione ha effettivamente affermato il principio che l'applicabilità della c.r.l. costituisca un presupposto della L. n. 604 del 1966 e dell'art. 18 L. n. 300 del 1970. È vero, infatti, che in alcune sentenze, nel contrapporre gli effetti di una illegittima cancellazione (senza reiscrizione) dal turno particolare del lavoratore fruente di una sequenza non continua di imbarchi sulla base di contratti di arruolamento a viaggio o a tempo determinato (effetti consistenti nel diritto del lavoratore a una penale) agli effetti di un analogo provvedimento adottato nei confronti di un lavoratore arruolato a tempo indeterminato (implicanti l'operatività della tutela reale nei confronti dei licenziamenti illegittimi e della reintegrazione nel posto di lavoro), si è presa in specifica considerazione, quale lavoratore a tempo indeterminato, il lavoratore "in regime di continuità", ma ciò è avvenuto solo a titolo esemplificativo (in relazione al frequente, ma non necessario, cumulo con la posizione di lavoratore a tempo indeterminato di quella di lavoratore fruente del regime contrattuale di c.r.l.), come perfettamente chiarito nella motivazione di Cass. 29 settembre 1998 n. 9823 (a cui ha fatto seguito Cass. 8 giugno 2001 n. 7823), che si esprime nei seguenti termini: "(...) sempreché non sia configurabile (come in relazione al marittimo iscritto in un turno particolare ma in regime di continuità) un rapporto riconducibile alla disciplina generale dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato; fattispecie questa alla quale è applicabile la dichiarazione di illegittimità pronunciata dalla Corte Costituzionale con la ci. sent. n. 96 del 1987".
Con il quinto motivo si denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c., degli art. 2099 c.c. e segg. e art. 2120 c.c..
In relazione alla condanna della C. al pagamento delle somme non corrisposte a causa del mancato inquadramento in rapporti a tempo indeterminato, si lamenta il mancato esame del motivo di appello con cui si sosteneva che dovevano essere rigettate le domande di condanna per i periodi anteriori alla sentenza, in relazione all'orientamento giurisprudenziale sull'insussistenza di un diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorati tra i vari rapporti a termine poi unificati in un unico rapporto a tempo indeterminato e alla non comutabilità degli stessi periodi ai fini della misura dell'indennità di anzianità. In ogni caso si ripropongono le stesse tesi.
Il motivo deve essere rigettato perché, come esattamente rilevato nel controricorso, la sentenza impugnata non deve essere interpretata nel senso del riconoscimento del diritto al compenso dei periodi non lavorati tra i vari imbarchi, intendendo fare riferimento solo alla incidenza della unificazione dei rapporti ai fini dell'applicabilità dei vari istituti legali e contrattuali (per esempio ai fini dell'anzianità di servizio, degli scatti, della disciplina retributiva).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio vengono regolate in base al criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alle controparti le spese del giudizio in Euro 48,48 oltre a Euro duemila per onorari.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2003.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2004.