Svolgimento del processo
L'Inps ha ravvisato nelle prestazioni lavorative rese, sin dal momento della loro assunzione, da tre dipendenti della cooperazione s.r.l. "ML" - promossa dalla sezione provinciale delle A. - presso la stessa (più precisamente presso il Patronato A.), un'intermediazione di mano d'opera vietata dalla legge n. 1369 del 1960; con la conseguenza che tali lavoratori dovevano considerarsi dipendenti dell'A. cui incombeva il relativo obbligo retributivo, rimasto inevaso.
Ha perciò ottenuto, nei confronti della predetta Associazione un decreto ingiuntivo che è stato revocato a seguito di opposizione proposta dalle A. con ricorso del 3 luglio 1996. Il pretore, rilevata la gratuità della utilizzazione di tali lavoratori, e quindi la mancanza di qualsiasi profitto per la cooperativa - laddove lo stesso rappresenta un elemento indefettibile affinché ricorra un'intermediazione illecita di manodopera, la omologazione della loro posizione retributiva e contributiva a quelli del patronato - e la fondamentale circostanza - che per effetto di obbligo statutario la cooperativa erogava la messa a disposizione delle attività lavorative in favore dell'A. essendo obbligata a provvedere a contribuire alla realizzazione delle finalità delle stesse ha escluso che ricorresse l'intermediazione vietata dalla legge trovando, in definitiva, la fattispecie la sua giusta collocazione.
La Cooperativa, oltre a tale finalità, ha anche quella della acquisizione della gestione del patrimonio mobiliare ed immobiliare e A. e di attività alberghiere.
Di diverso avviso è stato il Tribunale di Trento che, essenzialmente sulla scorta della decisione delle S.U. n. 2517/97, ha ritenuto l'irrilevanza della mancanza di lucro da parte della Cooperativa e della regolarità delle posizioni retributive e previdenziali rilevando che gli effetti dell'art. 1 della predetta legge ricorrevano, mancando gli estremi del distacco, e sussistendo una completa utilizzazione delle prestazioni lavorative dei predetti lavoratori da parte dell'A..
Nella decisione del Tribunale riveste, altresì, importanza centrale la negoziazione di ogni rilievo alla considerazione del pretore, che si è di fronte ad una "mera erogazione", nel concreto dei rapporti fra le parti, atteso che la Cooperativa è tipicamente "ineludibilmente" un soggetto economico, e la messa a disposizione di mano d'opera costituisce operazione economicamente rilevante.
Le A. chiedono la cassazione della sentenza con ricorso sostenuto da tre motivi; l'Inps resiste con controricorso; le ricorrenti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della L. n. 1369 del 1960, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Con il secondo la violazione del primo e terzo comma della norma predetta; dell'art. 2697 c.c. in relazione a tale norma, vizi di motivazione.
Il terzo motivo è del tutto analogo al primo.
Le censure che per la loro interdipendenza e connessione devono esaminarsi congiuntamente presentano i seguenti punti nodali:
a) si imputa al Tribunale di aver ritenuto ostativi alla qualificazione come distacco dei lavoratori formalmente assunti dalla Cooperativa - ma occupati presso il patronato A. - il fatto che essi furono sin dall'inizio assunti per espletare il loro lavoro presso lo stesso e la non temporaneità del distacco; essendo lo stesso permanete in quanto una precisa clausola statutaria imponeva alla Cooperativa di prestarsi ad ogni attività di supporto alle A..
Ciò, secondo il Tribunale, degrada l'attività della Cooperativa, attesa la definitività della utilizzazione del lavoratore da essa assunto da parte del Patronato, ad un ruolo meramente formale.
In tal modo esso contraddice la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la temporaneità non è incompatibile con la permanenza del lavoratore distaccato anche per tutta la durata del rapporto essendo invece essenziali la permanenza dell'interesse al distacco che per la Cooperativa era quello, sancito dal suo statuto, di concorrere al conseguimento dei fini delle A. nel cui ambito il buon funzionamento del Patronato ha un'importanza secondaria;
b) proprio nel non aver riconnesso a tale interesse il dovuto rilievo giuridico, negandosi sostanzialmente l'idoneità a sorreggere un distacco e ritenendo, invece, che la natura ontologicamente imprenditoriale della Cooperativa non potesse dar luogo se non a distacchi patrimonialmente valutabili risiede l'errore di fondo in cui è incorso il Tribunale, cui è del tutto sfuggito il particolare vincolo associativo-solidaristico che lega la Cooperativa rispetto alle A., ed il rapporto di filiazione della prima rispetto alla seconda;
c) pur essendo necessario, perché ricorra la illecita intermediazione, un fine di lucro, il Tribunale ha del tutto omesso di considerare la insussistenza di uno degli elementi fondanti dalla predetta interposizione costituito dalla pregiudizievole posizione retributiva ed economica dei dipendenti dell'imprenditore fittizio rispetto a quelli dell'imprenditore utilizzatore insussistente nel caso di specie stante la omologazione retributiva e contributiva dei lavoratori distaccati rispetto a quelli dipendenti dal Patronato;
d) nessuna considerazione v'era stata per lo sviluppo legislativo che non riconosce più alla scissione fra datore di lavoro formale ed utilizzatore delle energie lavorative una intermediazione vietata, essendo, invece, tali assetti richiesti dalla domanda di flessibilità presente nel mondo del lavoro;
e) non era provato che fra i lavoratori e le A. fosse intercorso un rapporto di lavoro subordinato.
L'ultimo profilo di censura è inammissibile perché introduce una questione nuova, in quanto non v'è nella sentenza impugnata alcuna questione in ordine al rapporto di subordinazione fra lavoratori assunti dalla Cooperativa e patronato A.; né in proposito è stata denunciata alcuna omissione di pronuncia da parte del Tribunale.
Quanto agli altri alcuni di loro colgono punti della decisione del Tribunale erronei ed inidonei a sorreggere la decisione dello stesso, che invece, per le ragioni che saranno indicate, va mantenuta ferma.
A) In primo luogo il Tribunale parte dal postulato secondo cui l'operazione di messa a disposizione di propri dipendenti, da parte della Cooperativa, a favore di altro soggetto, ha carattere, ineludibilmente, patrimoniale, sicché non resta spazio alcuno per prospettazioni alternative, come quella pretorile, che in essa ha ravvisato "attività di erogazione" che secondo la stessa sono antinomiche ad ogni ipotesi di illecita intermediazione.
Asserzioni, questa del giudice d'appello, costituente corollario del convincimento secondo cui essendo la Cooperativa ontologicamente soggetto economico, essa non può che avere interessi di natura patrimoniale: non trovando di conseguenza spazio un interesse di tipo associativo-solidaristico proprio dei doveri filiali che le Cooperative - che operino nell'ambito delle organizzazioni associative "no profit" - hanno, diversamente da quanto ritiene il Tribunale, rispetto ai nuclei operativi essenziali e fisionomici delle stesse; senza escludere che nell'ambito della complessiva organizzazione le cooperative costituiscano una sorta di braccio economico operante, tuttavia, in un programma fortemente segnato dalla piena tutela della persona umana, con una preponderanza, quindi, di fattori non riducibili ad interessi patrimoniali e, rispetto agli stessi ritenuti sovraordinati.
Il Tribunale non ha per niente focalizzato tale realtà di notevole diffusione nel tempo presente e particolarmente in uso, come è noto, per esempio, presso alcune comunità terapeutiche, sovente di ispirazione cristiano-evangelica, ma non riducibili a questa sola area ideologica, in cui la solidarietà e lo spirito di servizio costituiscono uno dei principali fattori terapeutici, nell'ambito delle quali le cooperative assolvono al ruolo di produzione e mantenimento dei beni patrimoniali, nonché di formazione di un patrimonio di professionalità per i soggetti in terapia: con il preciso obbligo, tuttavia, che ogni socio-lavoratore deve, sol che l'organismo c.d. centrale ne abbai bisogno per qualsiasi esigenza propria dei fini che lo caratterizzano (essenzialmente la ristrutturazione della personalità dei soggetti in comunità), prestare il proprio apporto e quindi esser distaccato, presso lo stesso.
Né attenzione il Tribunale ha mostrato per un fenomeno di mutazione legislativa molto chiaramente espressa nel nostro ordinamento che ha rotto il collegamento necessario fra intermediazione illecita e scissione fra chi assume e chi utilizza la forza lavoro, la cui più compiuta espressione è contenuta nella legge n. 196 del 1997 relativa alla fornitura di prestazioni temporanee di lavoro.
Lo stesso, per quanto presupponga qualità per i soggetti che lo gestiscono che non hanno le cooperative in questione, è indicativo di una chiara tendenza ordinamentale. D'altra parte, le stesse S.U., largamente invocate dal Tribunale per escludere che perché sussista la fattispecie in questione non deve necessariamente esservi un lucro per l'interposto, ed essendo invece sufficiente che il lavoratore graviti esclusivamente nell'ambito dell'organizzazione imprenditoriale utilizzatrice, hanno affermato che tale realtà poteva esser superata da un diverso assetto legislativo.
Lo stesso, come si è detto, pur non essendo applicabile alle cooperative, rappresenta, tuttavia, una importante tendenza che deve esser ben presente al giudice che debba accertare se esista una illecita intermediazione.
Fatta questa premessa in ordine alla non necessarietà della natura economica dell'interesse che legittima il distacco, va rilevato che, affinché lo stesso sia realmente sorretto da un interesse del tipo anzi detto, è necessario che dai fatti allegati emerga un'operazione di effettivo prestito umano.
Sicché essa, pur potendo coincidere con tutta la durata del rapporto di lavoro del lavoratore oggetto dello stesso - sia però realmente ed inequivocabilmente diretta ad assicurare il raggiungimento delle legittime finalità dell'organismo madre, senza che essa possa prestarsi ad esser, invece, vanificatoria della tutela dei lavoratori inserendo - come ha giustamente rilevato il Tribunale - in via definitiva - i lavoratori nella organizzazione utilizzatrice, con lo scopo di superare ostacoli burocratici che impedivano che una certa sezione provinciale potesse superare un determinato numero di lavoratori: limitazione che poteva esser dettata dal non voler soggiacere a determinate regole legali.
A fronte di tale realtà la messa a disposizione dell'organismo centrale (o madre) di lavoratori formalmente dipendenti dalla Cooperativa non è più rispondente ad esigenze temporanee del primo, per quanto di durata non prevedibile ed eventualmente coincidente con l'intera durata del rapporto di lavoro distaccato, ma sopperisce ad un'esigenza stabile della stessa - cui osta la stessa regola interna che sorregge l'organizzazione utilizzatrice - inserendo il lavoratore nella stessa in maniera definitiva ed assegnando alla Cooperativa un ruolo strumentale di aggiramento della regola stessa non rispondente al fine solidaristico statutario che postula il concorso al raggiungimento di un interesse lecito, e comunque non in contrasto con le regole statutarie del soggetto che utilizza i lavoratori (il pretore rileva nella sua decisione che la modifica statutaria che prevedeva l'obbligo di concorrere al raggiungimento dei fini delle A. era stata introdotta proprio per le predette difficoltà di superamento del numero di lavoratori addetti alla sede provinciale).
Il ricorso, corretta la motivazione nel senso predetto, va quindi rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 20 ottobre 2000.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 GENNAIO 2001.