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martedì 11 settembre 2012

TAR Calabria - sent. n. 564 del 2012 sull'illegittima trattenuta del 2,5% ai dipendenti pubblici - testo

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 564 del 2011, proposto da:

[Omissis]

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distr.le dello Stato, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15; Consiglio di Stato – Presidente pro tempore;


per il riconoscimento previa rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, del diritto dei ricorrenti alla percezione del trattamento retributivo nella sua interezza e con esclusione dell’applicazione delle norme del D.L. 31.5.2010 n. 78 convertito, con modificazioni, in L. 30.7.2010 n.122 (“Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”); con conseguente condanna ex artt. 30 e 34 co. 1 Lett. c) C.P.A. delle Amministrazioni resistenti, in solido o secondo le rispettive responsabilità e competenze, alla corresponsione delle somme dovute ut supra, con rivalutazione monetaria ed interessi sino al soddisfo.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2011 il dott. [Omissis] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Visto l’art. 36, co. 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO E DIRITTO


1) I ricorrenti, tutti magistrati amministrativi, si dolgono delle illegittime decurtazioni del trattamento retributivo, previste dal DL 31.5.2010 n. 78 convertito, con modificazioni, in L. 30.7.2010 n.122, per ragioni variamente articolate, sia in fatto che in diritto.

In fatto espongono che dall’applicazione della normativa richiamata subiscono una sostanziale decurtazione del trattamento retributivo, che, in punto di interesse, viene analiticamente calcolata e dimostrata; chiedono che, previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di compatibilità dell’impianto normativo con la Costituzione, sia accertato il loro diritto alla percezione della retribuzione integrale, nella misura variamente computata in atti per ciascun ricorrente.

Si è costituita l’Avvocatura Distrettuale dello Stato che resiste ai ricorsi di cui chiede la reiezione.

Le parti hanno scambiato memorie.

Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

2) La soluzione della questione prospettata dai ricorrenti dipende dall’esame della compatibilità costituzionale dell’impianto normativo contenuto nelle disposizioni richiamate, con esclusione della quarta censura, che può essere definita dal Collegio allo stato degli atti.

Pertanto, ai sensi dell’art. 36 cpa, il Collegio si pronuncia sulla questione considerata matura per la decisione, mentre gli altri rilievi prospettati in ricorso sono trattati con separata ordinanza collegiale, con la quale, previa parziale sospensione del giudizio, è sollevata la questione di legittimità costituzionale della normativa di riferimento.

3) Con la predetta quarta censura i ricorrenti chiedono:

- l’accertamento dell’intervenuta abrogazione della disciplina sull’indennità di buonuscita, disposta – a decorrere dall’1 gennaio 2011 – dal comma 10 dell’art. 12 (“Interventi in materia previdenziale”) del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010 n. 122;

- l’accertamento dell’illegittimità del perdurare del prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione (sin qui operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita);

- la restituzione degli accantonamenti già eseguiti e che verranno eseguiti in corso di giudizio, con rivalutazione ed interessi di legge;

- in subordine, la remissione degli atti alla Corte Costituzionale, per accertare l’illegittimità del perdurare del prelievo.

Osserva il Collegio che a norma del comma 10 dell’art. 12 citato, “con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall’articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento”.

Secondo i ricorrenti, la norma imporrebbe che il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive debba avvenire secondo la disciplina del Codice Civile (art. 2120), stabilendo un accantonamento del 6,91% sull’intera retribuzione.

Ne conseguirebbe l’illegittimità del cumulo dei due istituti (ossia la perdurante trattenuta del 2,50% sull’80% dei redditi del dipendente, in aggiunta all’istituto di nuova introduzione per effetto della norma in esame).

Seguendo la prospettazione degli interessati, si osserva che sino al 31 dicembre 2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60% sull’80% della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% sempre sull’80% della retribuzione (Cfr. l’art. 37 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, secondo cui “ciascuna amministrazione si rivale a carico del dipendente iscritto in misura pari al 2,50 per cento della base contributiva”; la base contributiva è fissata dall’art. 38 del D.P.R. da ultimo citato nell’80% “dello stipendio, paga o retribuzione annui, considerati al lordo”).

In ordine alla percentuale complessiva della ritenuta, l’art. 18 della legge 20 marzo 1980, n. 75 ha poi stabilito che “Ferma restando la rivalsa del 2,50 per cento a carico dei dipendenti, la scala crescente della misura dei contributi previdenziali obbligatori di cui all’articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, è ulteriormente prorogata fino a raggiungere il 9,60 per cento dal 1° gennaio 1984″.

Alla luce di tale premessa, è fondata la tesi dei ricorrenti, secondo cui l’intero complesso normativo da ultimo riportato è da intendersi implicitamente abrogato dal predetto comma 10 dell’art. 12 “con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011”.

Invero, la disposizione da ultimo citata possiede ed esplica un chiaro effetto novativo dell’istituto, dal momento che disciplina ex novo la medesima materia, in costanza dei medesimi presupposti di fatto che erano presi in esame nella normativa precedentemente in vigore, introducendo una differente modulazione del contributo (diversa percentuale sull’intera base stipendiale), esaustivamente regolata, e richiamando la disciplina dell’art. 2120 del cod. civ., e dunque la disciplina civilistica del trattamento di fine rapporto, nell’ambito della quale la rivalsa del 2,50% a carico dei dipendenti non è praticata, perché non prevista in alcun modo.

Non a caso, il comma 10 dell’art. 12 citato non fa salva la rivalsa del 2,50%, come, invece, aveva chiarito lo stesso legislatore nei precedenti interventi modificativi della disciplina preesistente (cfr. l’art. 18 della l. 75/1980 prima richiamato), conformemente al noto brocardo “ubi lex voluit, dixit”.

Secondo i consueti principi in tema di successione delle leggi nel tempo, la legge posteriore abroga la legge anteriore e, dunque, a decorrere dal 1° gennaio 2011 la ritenuta per il trattamento di fine servizio non sarà più del 9,60 sull’80% della retribuzione (gravante nella misura del 7,10% sul datore di lavoro e del 2,50% sul lavoratore), bensì, esaustivamente, del 6,91% sull’intera retribuzione: ne consegue che a decorrere dalla suddetta data del 1° gennaio 2011 non ha più titolo ad essere effettuata la ritenuta del 2,50% sull’80% della retribuzione a carico dei dipendenti pubblici.

La differente normativa si spiega con la considerazione che, mentre in relazione ad una base di computo inferiore – ossia l’80% dello stipendio – residuava a favore del dipendente una “fascia” non incisa della retribuzione – ossia il 20% di essa – che equilibrava (sia pure in parte) la ritenuta del 2,50%, nel nuovo assetto dell’istituto la percentuale (sia pure minore) opera sull’intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenere la rivalsa sul dipendente, in assenza della “fascia esente”, determina la diminuzione della retribuzione immediatamente percepita dal dipendente medesimo e, contestualmente, la diminuzione della quantità del TFR che lo stesso andrà maturando nel tempo, e ciò al solo scopo di alleggerire il peso dell’accantonamento della quota TFR a carico del datore di lavoro.

Diversamente opinando, la contemporanea applicazione della “nuova” disciplina sul trattamento di fine rapporto da un lato, con il perdurare della ritenuta a carico del dipendente dall’altro, costituirebbe una consistente lesione dell’aspettativa del lavoratore ad un “trattamento di fine servizio, comunque denominato”, quanto più possibile assimilabile all’indennità di buonuscita che si sarebbe percepita a legislazione invariata, posto che l’accantonamento a carico dello Stato datore di lavoro non sarebbe effettivamente del 6,91%, ma – nei fatti – del 4,91%, se si considera che, contestualmente, il trattamento economico dei dipendenti verrebbe inciso nella misura del 2,50% sull’80% della retribuzione (e dunque nella misura del 2%, se calcolato sull’intera retribuzione). Ne conseguirebbe la violazione dell’art. 3 Cost., atteso che la disciplina sul trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 Cod. Civ. verrebbe applicata – a parità di retribuzione – in misura deteriore nei confronti dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro.

Peraltro, il trattamento di fine rapporto, scaturendo da un accantonamento misto, ossia in parte a carico del datore di lavoro ed in parte a carico del lavoratore, a parità di importo, sarebbe determinato da un meccanismo deteriore per il lavoratore pubblico, in quanto a quest’ultimo, a differenza del lavoratore del settore privato, in costanza di rapporto d’impiego verrebbe sottratta parte della retribuzione.

Ne conseguirebbe un’ulteriore e palese violazione dell’art. 36 Cost., posto che l’accantonamento determinante il futuro trattamento di fine rapporto si ridurrebbe rispetto al passato, il tutto senza alcuna negoziazione e, soprattutto, senza connessione con la quantità e qualità del lavoro prestato, rimasta immutata.

Orbene, la giurisprudenza (Cfr., ex multis, Cons. Stato, V, 30 ottobre 1997 n. 1207; Corte Cost. 15 luglio 2005 n. 282; Corte Cost. 23 ottobre 2009, n. 263) ha costantemente affermato che, tra più possibili interpretazioni, deve essere sempre preferita quella conforme alla (o non contrastante con la) Costituzione.

Da quanto sopra ne consegue che, riservata ogni altra decisione sulle questioni non trattate, la quarta censura del ricorso in esame deve essere accolta e, previo l’accertamento dell’illegittimità, dall’1 gennaio 2011, del perdurare del prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione (sin qui operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita), l’Amministrazione intimata va condannata alla restituzione degli accantonamenti già eseguiti a decorrere dall’1 gennaio 2011, con rivalutazione ed interessi legali dalle singole scadenze mensili all’effettivo soddisfo, da calcolarsi applicando i criteri di cui al D.M. 1 settembre 1998 n. 352.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie limitatamente alla quarta censura, e, per l’effetto, previo accertamento dell’illegittimità, a decorrere dall’1 gennaio 2011, del perdurare del prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione (sin qui operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita), condanna l’Amministrazione intimata alla restituzione degli accantonamenti già eseguiti a decorrere dalla suddetta data, con rivalutazione monetaria ed interessi legali, nella misura di cui in motivazione.

Riserva a separata ordinanza, pronunciata nella medesima camera di consiglio, la trattazione delle ulteriori questioni dedotte in giudizio, da sottoporre al vaglio della Corte Costituzionale.

Ogni decisione in ordine al pagamento delle spese ed onorari va rinviata alla completa definizione della causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa e manda alla Segreteria giurisdizionale di comunicarne copia alle parti.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

[Omissis]