Sentenza della sezione lavoro del Tribunale di Milano del 22.05.2012
OMISSIS
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 29 luglio 2011, LI., ME. e ME. ricorrevano al Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, per sentire accogliere le sopra indicate conclusioni, nei confronti di SE. S.r.l. e di C.
Rilevavano i ricorrenti di essere stati assunti a tempo determinato dalla C. a partire dagli anni 2002, 2001 e 2000 con le qualifiche di "operatore" (LI.) e di "commis di ristorazione dei treni notte" (ME. e ME.).
LI. era stato assunto con 13 contratti a termine e 9 proroghe; ME. era stato assunto con 16 contratti a termine e 11 proroghe, ME. era stata assunta con 18 contratti a termine e 9 proroghe. Attualmente tutti i ricorrenti figuravano dipendenti di SE. s.r.l. dal 1° luglio 2010, a seguito di trasferimento d'azienda.
Quale motivazione della loro assunzione era stata indicata una ragione del tutto generica, prevalentemente il "previsto incremento stagionale dell'attività lavorativa", che rappresentava, secondo l'allegazione, una motivazione di comodo.
Il comportamento della società convenuta veniva descritto come illegittimo e foriero di danni per i ricorrenti, i quali elevavano le domande sopra riportate, incluse quelle del 3° livello del precedente CCNL, livello G, parametro retributivo G2 del nuovo CCNL.
Poiché con rogito del 30 giugno 2010 la C. S.A. aveva ceduto alla SE. S.r.l. il proprio ramo ferroviario notte operante in Italia, trasferendo il relativo personale impiegato presso le proprie sedi operanti in Italia ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 c.c., LI., ME. e ME. invocavano la responsabilità solidale delle parti convenute su ogni pretesa inerente i pregressi rapporti di lavoro, richiedendo di riprendere servizio presso la sede in Milano della S.r.l., che era subentrata alla C. anche nell'appalto in essere con TR. S.p.A. avente ad oggetto l'affidamento dei servizi di accoglienza, accompagnamento e assistenza alla clientela sulle vetture in composizione ai treni notte circolanti nel territorio nazionale ed internazionale.
Si costituiva la SE. s.r.l. eccependo la decadenza dell'azione secondo le norme del recente "Collegato lavoro", con specifico riferimento all'art. 32. Riferiva in ogni caso SE. s.r.l. l'avvenuta risoluzione di rapporti a tempo determinato per mutuo consenso e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito della domanda di LI., ME. e ME.
La C., dopo alcuni rinvii dovuti all'irregolarità delle notifiche, si costituiva chiedendo il rigetto del ricorso e rimarcando in particolare la propria estraneità alla vicenda a partire dal giugno 2010, momento della cessione del ramo d'impresa all'altra convenuta SE. s.r.l.
All'udienza del 22 maggio 2012, omessa ogni attività istruttoria, la causa veniva posta in decisione con contestuale lettura del dispositivo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso di LI., ME. e ME. è infondato e va rigettato. Nondimeno, pare infondata la prima questione preliminare sollevata dalla convenuta SE. s.r.l., costituita dall'applicazione delle decadenze formate dall'art. 32 della L. 4 novembre 2010 n. 183 ("Collegato lavoro"). Questa norma ha introdotto una previsione di portata innovativa per quello che riguarda l'impugnativa dei licenziamenti individuali, con riferimento all'art. 6 legge 607/66.
Si legge infatti al primo comma: "7. Il primo e il secondo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, sono sostituiti dai seguenti:
"Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo". "Tale legge prevede, al l'art. 32, comma 4: "Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche:
a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine;
b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e sia conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in visore della presente lesse (...)". I Appare quindi evidente che sia stato previsto ex novo l'obbligo, per coloro che intendano far valere la nullità del termine, di impugnare i contratti già conclusi alla data di entrata in vigore della legge (24 novembre 2010, come quelli di cui è causa) entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge medesima, ossia entro il 23 gennaio 2011.
Pare in effetti che i ricorrenti si siano conformati, contrariamente a quanto eccepito genericamente da SE. s.r.l., a questa norma, procedendo ad una nuova, tempestiva impugnazione dei loro rapporti secondo la modifica dell'art. 6 legge 604/66 operata dalla citata legge 183/2010 (v. doc. 31 fase, ric. per LI., doc. 66 fase. ric. per ME. e dec. 101 fasc. ric. per ME.: le nuove impugnazioni nei termini di legge).
2. L'eccezione, invece, relativa all'intervenuto scioglimento per mutuo consenso dei singoli contratti a termine deve essere condivisa.
In punto di fatto, deve essere rilevato che i tre ricorrenti l'il gennaio 2007 hanno ricevuto la comunicazione da parte di C. relativa ad una trasformazione del loro rapporto di lavoro (originariamente a termine) in contratto a tempo indeterminato, a far data dal 15/16 gennaio 2007, con inquadramento livello il CCNL del settore delle attività ferroviarie (docc. 26, 61, 96 fasc. ric.).
Ciascuno dei tre ricorrenti ha poi impugnato collettivamente per la prima volta il 25 aprile 2008 i singoli contratti a tempo determinato (docc. 32 fase, ric.), per poi procedere, a dicembre 2010 gennaio 2011, ad una nuova impugnazione in conformità al Collegato lavoro, come riferito nel paragrafo precedente. Dunque, l'ultimo dei rapporti di lavoro a tempo determinato valevoli per tutti i tre ricorrenti scade nel corso di gennaio 2007. LI., ME. e ME. hanno proseguito l'attività lavorativa senza soluzione di continuità, in forza del nuovo contratto a tempo indeterminato individualmente concluso con COMPAGNIA (...) e poi proseguito, dal giugno 2010, con SE. s.r.l. a seguito di cessione di ramo d'azienda. Sul punto va rilevato che l'evoluzione della teoria e della disciplina dei contratti mostra una tendenza alla progressiva riduzione del ruolo e della rilevanza della volontà dei contraenti, intesa come momento psicologico dell'iniziativa contrattuale' (con il crescente rilievo quantitativo di contratti che hanno ad oggetto beni e servizi di massa nei quali viene in ombra lo stesso elemento di una valida dichiarazione negoziale) e che, in particolare, nella fenomenologia del lavoro subordinato, l'attuazione del rapporto di lavoro assume di per sé valore dichiarativo, con la conseguenza che analogo valore deve riconoscersi anche al comportamento contrario, per l'impossibilità di ritenere esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione (così Cass. n. 15624/2007 non massimata, citata in Cass. sez. lav., 11 novembre 2009, n. 23872). Non può quindi non dirsi incidente, nell'analisi della fattispecie in esame, la novità legislativa di cui all'art. 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010. Detto comma indica per l'impugnazione un termine di decadenza di 330 giorni (60 giorni per l'impugnazione del licenziamento, e 270 giorni per il deposito del ricorso), dovendosi quindi giudicare che la legge intenda come socialmente congruo il termine di 330 giorni, arrotondabile all'anno, per la proposizione dell'azione giudiziaria, in assenza di elementi che possano far ritenere il contrario.
LI., ME. e ME. impugnano quindi i rapporti a termine il 25 aprile 2008 e poi lasciano trascorrere altri 969 giorni (ME., che li impugna nuovamente il 20 dicembre 2010), 985 giorni (LI. che li impugna nuovamente il 5 gennaio 2011), 997 giorni (ME., che li impugna nuovamente il 17 gennaio 2011) per impugnarli in forza del disposto del "collegato lavoro". Il Tribunale ritiene che i ricorrenti, con il loro comportamento, abbiano pienamente avallato la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto a tempo determinato, con modalità tali da evidenziare il disinteresse per la prosecuzione o per la trasformazione per via giudiziaria dei singoli rapporti. La scelta delle parti di trasformare i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato evidenzia un interesse di entrambe le parti a procedere nel rapporto medesimo alle condizioni mutate ed un conseguente e contrario disinteresse a proseguire con le modalità che avevano in precedenza caratterizzato i rapporti medesimi.
La trasformazione dei contratti ha evidentemente fatto venir meno l'interesse alla declaratoria di legittimità del termine e l'inerzia protrattasi per un lungo periodo, anche riguardo alle eventuali conseguenze economiche che la trasformazione giudizio del contratto avrebbe potuto comportare, sono elementi che devono far ritenere risolto per mutuo consenso il singolo rapporto così come regolato a mezzo di contratti a tempo determinato (così, in caso analogo, Trib. Milano, 28 febbraio 2011, n. 1025, est. Lualdi).
3. Quanto all'ulteriore domanda svolta dai ricorrenti in ordine all'invocato superiore inquadramento contrattuale del lavoratore, essa merita di essere disattesa.
Non priva di suggestione è l'eccezione (svolta per ultima ma collocabile in limine litis circa questa domanda) di C., con riferimento alla inaccettabile genericità di una domanda di condanna "a ricostruire la carriera dei ricorrenti" ed a condannare le convenute "ognuno per i periodi di competenza e comunque in solido tra loro, ... a riconoscere ai ricorrenti il parametro retributivo G1 del CCNL delle Attività, dal 1° marzo 2004 o da altra data ritenuta di giustizia" senza che venga allegato un calcolo di queste eventuale differenza retributiva, ma anzi con la "espressa riserva di promuovere un separato giudizio" per la quantificazione del credito.
Infatti, il principio di correttezza e buona fede, su cui poggia il divieto di frazionamento del credito, e quello secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile - interpretati alla luce del canone della ragionevole durata del processo, considerato dalla giurisprudenza delle sezioni unite valore cardine del vigente ordinamento processuale, dotato di immediata efficacia precettiva e direttamente applicabile dal giudice nella soluzione delle questioni che la prassi quotidianamente sottopone al suo vaglio - imporrebbero di ritenere improponibile la domanda di condanna generica (che peraltro ha altri presupposti: art. 278 c.p.c.) pur potendo i ricorrenti dedurre nel presente giudizio la corretta liquidazione del credito.
Peraltro, il rigetto delle domande relative alla conversione dei contratti a termine parrebbe essere definitivamente ostativo alle domande dei ricorrenti, visto che chiedono la ricostruzione della carriera "dalla data in cui si è instaurato con C. un contratto a tempo indeterminato".
Nondimeno, pur volendo prescindere da queste osservazioni, la domanda pare infondata anche nel merito. I ricorrenti, inizialmente tutti inquadrati al 2° livello del CCNL allora in vigore con mansioni di "Commiss Ristorazione Treni Notte" e di "operatore", successivamente inquadrati al livello il a i seguito dell'accordo di confluenza 19.1.2004 mantenendo le medesime mansioni e ancora successivamente dal settembre 2009 (per ME. e ME.) e dal febbraio 2010 (LI.) inquadrati al livello G2 del CCNL attività ferroviarie del 2003, rivendicano il 3° livello di cui al medesimo accordo a far tempo dalla instaurazione del rapporto, con conseguente riconoscimento del livello G1 dal 1° marzo 2004.
I dati documentali raccolti nei fascicoli di parte, unitamente alla descrizione delle attività svolte dai ricorrenti recate nello stesso ricorso, sono sufficienti per la decisione, senza necessità di procedere ad altra attività istruttoria.
Nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato, spettante al giudice del merito, non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè:
a) dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, b) dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria;
c) dal raffronto tra le mansioni di fatto svolte dal dipendente e quelle previste dalla contrattazione collettiva (Cass. civ., sez. lav., 3 settembre 2003, n. 12854).
Come è noto, la S.C. in punto mansioni ha anche affermato che "al fine del conseguimento della qualifica superiore (è)... rilevante non solo la frequenza con la quale quelle mansioni siano state eventualmente espletate, ma anche il concreto grado di autonomia, di responsabilità, di gravosità e di intensità, comparato con le altre mansioni proprie della qualifica inferiore" (Cass. 23 agosto 2003, n 12404). Risulta dallo stesso ricorso introduttivo che i ricorrenti siano sempre stati adibiti a coadiuvare l'operazione di scorta di carrozze ferroviarie destinate al traffico notturno, prestando "accoglienza, assistenza ed accompagnamento" ai viaggiatori e occupandosi della vendita di generi alimentari ove richiesto, allestimento e disallestimento delle vetture letto (pagg. 19 e 20 ricorso, n. 90 e 93).
La declaratoria già di appartenenza (operatore - livello H, già 2° livello: doc. 5 fasc. conv.) ricomprende proprio i "lavoratori che nell'ambito dei servizi ferroviari affidati in gestione svolgono promiscuamente con gente professionalità compiti vari di:
- vendita lungo il treno di generi di ristorazione;
- ausilio nelle operazioni di scorta di carrozze ferroviarie destinate al traffico notturno;
- distribuzione del pacchetto commerciale;
- in caso di scorta di carrozze cuccette ritira la biancheria utilizzata il riordino delle coperte".
Ritiene il Tribunale, in aderenza ad un precedente pronunziato da questo Tribunale, che le attività ulteriori rispetto alla declaratoria di riferimento, pacificamente svolte dai ricorrenti (emissione biglietti, incasso del denaro, compilazione borderò, identificazione dei viaggiatori etc.) per la loro assoluta residualità anche temporale rispetto alla attività ordinaria siano inidonee a caratterizzare le mansioni superiori invocate, prima del momento in cui a loro sono state effettivamente concesse. In ciò il Tribunale si permette di dissentire dal pur prodotto precedente di questo Tribunale (sent. del 16 febbraio 2012, n. 660, dott.ssa Pa.).
Le attività, indicate dalla Difesa dei ricorrenti anche nel corso della discussione, non potevano infatti che ritenersi richieste ai lavoratori esclusivamente alla sola partenza del convoglio e comunque per periodi assolutamente limitati nel tempo, di contenuti e di complessità tali da non richiedere una maggiore professionalità (competenze assolutamente ripetitive, di estrema facilità, senza necessità di alcuna preparazione specifica), e tali in ultima analisi da non poter caratterizzare il superiore inquadramento invocato (cfr. sul punto, per contro, la già citata Trib. Milano, 28 febbraio 2011, n. 1025, est. Lualdi). Le attività qualificanti la prestazione di LI., ME. e ME. sono pertanto sempre state assolutamente compatibili con l'inquadramento contrattuale di riferimento, né merita di essere esaminata la domanda subordinata, relativa alla progressione triennale G2 - GÌ dal 1° marzo 2010, con riferimento ad una norma contrattuale rimasta inespressa.
4. La natura del giudizio, il comportamento processuale tenuto dalle parti, la loro diversa posizione economica, le motivazioni sottese alla decisione giustificano la compensazione integrale tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria ed ulteriore istanza domanda ed eccezione disattesa, così decide:
1) rigetta il ricorso di LI., ME. e ME.;
2) compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio;
3) ai sensi dell'art. 53 D.L. 25 giugno 2008, n. 112, che ha modificato l'art. 429, primo comma, c.p.c., fissa in giorni cinque il termine per il deposito della sentenza.