Cassazione Sezione lavoro, sentenza n. 22009 del 24.10.2011
Svolgimento del processo
Svolgimento del processo
G.M.G., essendo stata legata alla s.p.a. A. L. T., tra il luglio 1994 e l'aprile 2004, da una serie di contratti di lavoro a tempo determinato, prevalentemente motivati dalle necessità di sopperire alle necessità di sostituzione del personale di esazione in ferie nel periodo estivo e, in poche altre occasioni, da diverse esigenze di tipo organizzativo, aveva chiesto giudizialmente l'accertamento della nullità dei termini, con la conseguente conversione in un rapporto a tempo indeterminato.
Con sentenza depositata il 5 ottobre 2009 e notificata il successivo 14 gennaio 2010, la Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato che tra le parti intercorre un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal marzo/luglio 2002 (anzichè dal 22 luglio 1994, come richiesto), confermando nel resto le ulteriori consequenziali pronunce di primo grado.
In proposito, la Corte territoriale, diversamente dal giudice di primo grado, ha ritenuto legittima l'apposizione del termine ai contratti di lavoro succedutisi fino al 31 dicembre 2001, per la causale relativa alla "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nei periodi giugno-settembre e dicembre-gennaio", individuata dal C.C.N.L. applicabile al rapporto nell'esercizio dei poteri attribuiti alle OO.SS. nazionali e locali dalla L. n. 56 del 1987, art. 23.
Ritenendo che il contratto a tempo determinato del 2002, per la medesima causale, fosse viceversa disciplinato dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 il giudice dell'appello ha dichiarato la nullità del relativo termine - in quanto stipulato senza la specifica indicazione del dipendente sostituito e degli altri elementi indispensabili per realizzare la piena trasparenza della scelta aziendale - ed ha convertito il contratto a tempo indeterminato dalla data di tale contratto.
Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi, la società ALT p.a.
Resiste alle domande G.M.G. con rituale controricorso, proponendo altresì contestualmente ricorso incidentale, con un unico motivo e depositando infine una memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
La società ha proposto controricorso avverso il ricorso incidentale.
Motivi della decisione
I due ricorsi, principale e incidentale, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., investendo entrambi un'unica sentenza.
1 - Col primo motivo di ricorso principale (che conclude con la formulazione di quesiti di diritto non necessari, a seguito dell'abrogazione dell'art. 366-bis c.p.c., ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d) con effetto sui ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze pubblicate successivamente alla data del 3 luglio 2009), la società censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 e L. n. 56 del 1987, art. 23 in riferimento alla omessa applicazione degli artt. 2 e 59 C.C.N.L. autostrade e trafori del 16 febbraio 2000, vigente fino al 31 dicembre 2003. 2 - Col secondo motivo, la società ricorrente denuncia travisamento dei fatti e violazione dell'art. 416 c.p.c. In proposito lamenta che, nonostante si fosse espressamente opposta all'ampliamento in corso di causa del thema decidendi mediante la nuova deduzione da parte della difesa della lavoratrice relativa al mancato rispetto della c.d. clausola di contingentamento, i giudici avevano erroneamente affermato che essa aveva al riguardo accettato il contraddittorio, riuscendo infine a provare il pieno rispetto della relativa percentuale di assunti a tempo determinato.
3 - Con ricorso incidentale, G.M.G. deduce la violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 con riferimento alla ritenuta legittimità dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati fin dal 1994 per "sopperire alle necessità di sostituzione del personale di esazione in ferie nel periodo estivo". 4 - Il ricorso incidentale, da quale conviene prendere le mosse, in quanto investe i contratti di lavoro precedenti il 2002 e pertanto, ove accolto, renderebbe inutile l'esame del ricorso principale, è manifestamente infondato a norma dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1), introdotto con la L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. a).
In proposito, va anzitutto sgombrato il campo dalla pretesa della ricorrente incidentale di distinguere la formula usata nella indicazione della causale nei contratti individuali ("per sopperire alle necessità di sostituzione del personale di esazione in ferie nel periodo estivo") rispetto a quella individuata dalla contrattazione collettiva ("necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nei periodi giugno-settembre e dicembre-gennaio") per dedurne sostanzialmente la rinuncia delle parti ad utilizzare la causale contrattuale per sottoporsi esclusivamente alla L. n. 230 del 1962.
Si rileva, infatti, che nonostante che la ricorrente incidentale dichiari di avere già svolto tale osservazione nelle difese in appello, la Corte non ne parla, per cui era onere della G. specificare i modi e i luoghi di svolgimento di tali difese, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, espressione della regola di specificità dello stesso (cfr. art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
Inoltre l'assunto appare già di per sè assurdo sul piano logico, in assenza di esplicite prese di posizione al riguardo.
In ogni caso, la norma collettiva che individua, in applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 l'indicata nuova ipotesi di legittima apposizione di un termine finale al contratto di lavoro subordinato rende semmai opportuna la specificazione nel testo del contratto individuale (come avvenuto nel caso in esame con parole proprie) di quale dei due periodi di possibili ferie (quello estivo o quello invernale) si fa riferimento.
Ciò acquisito, per il resto la tesi difensiva della lavoratrice appare in contrasto con l'uniforme orientamento della giurisprudenza di questa Corte (richiamato in maniera appropriata dalla sentenza impugnata), rispetto alla quale non vengono rappresentate nè sono rilevabili d'ufficio ragioni sufficienti per un revirement.
Va infatti ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, ad es., Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 ha operato una sorta di "delega in bianco" alla contrattazione collettiva ivi considerata quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al rapporto di lavoro subordinato, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962 e soggette, di per sè, unicamente agli eventuali limiti e condizionamenti stabiliti dalla legge che ne prevede l'individuazione o dalla medesima contrattazione collettiva.
Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l'accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063), senza necessità, contrariamente a quanto sostenuto col ricorso, di un accertamento a posteriori in ordine alla effettività delle stesse.
E' stato infine ripetutamente accertato che questa ultima evenienza ricorre nella previsione collettiva della causale relativa alla "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre", interpretabile e interpretata nel senso che con tale previsione le parti stipulanti hanno considerato che nel periodo indicato sia sempre necessaria per la società l'assunzione di personale, data la normale assenza di personale in ferie, con la conseguenza che in tale ipotesi non è necessaria l'indicazione nel contratto del nominativo del lavoratore sostituito e non è configurabile alcun onere di allegazione e prova della esigenza e della idoneità della singola assunzione a far fronte ad essa (cfr., ad es. Cass. n. 18687/08), essendo comunque sufficiente il rispetto della c.d. clausola di contingentamento, vale a dire della percentuale massima di contratti a termine rispetto al numero dei rapporti a tempo indeterminato stabilita a livello collettivo, in adempimento di quanto imposto dalla L. n. 56 del 1987, art. 23.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali regole alla fattispecie esaminata, riconducibile ad analoga causale individuata dal C.C.N.L. applicabile; essendo inoltre risultato nel giudizio di merito il pieno rispetto in ogni caso della c.d. clausola di contingentamento, il ricorso incidentale è i-nammissibile nei sensi di cui all'art. 360-bis c.p.c. 5 - Il primo motivo del ricorso principale è fondato mentre il secondo è inammissibile per difetto di interesse.
Il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 11 dopo avere abrogato nel primo comma, dalla data di entrata in vigore dello stesso, tra le altre, la L. n. 230 del 1962 e la L. n. 56 del 1987, art. 23 stabilisce al comma 2 che "in relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi della citata L. n. 56 del 1987, art. 23 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, manterranno in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro".
Poichè il contratto di lavoro a tempo determinato del 2002 è stato stipulato tra le parti per una causale ivi indicata come individuata (ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23) dall'art. 2 C.C.N.L. del 16 febbraio 2000, la cui vigenza era stata stabilita dall'art. 59 dello stesso, dal 1 gennaio 2000 e fino al 31 dicembre 2003, la clausola appositiva del termine era retta, come sostenuto dal ricorrente, dalla disciplina collettiva a norma dell'art. 11 del D.Lgs. citato.
Ha pertanto errato la sentenza impugnata nel ritenere che questo ultimo contratto sia disciplinato direttamente dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e non invece dall'art. 2 del C.C.N.L. 16 febbraio 2000, col quale i contraenti collettivi, nell'esercizio dei poteri loro attribuiti dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 avevano individuato come ulteriore ipotesi di legittima apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro subordinato la "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre e dicembre-gennaio".
Obietta peraltro la lavoratrice controricorrente che, a norma del D.Lgs. da ultimo citato, art. 11 le causali individuate dai contraenti collettivi alla stregua della L. n. 56 del 1987, art. 23 e "salvate" da tale disciplina transitoria resterebbero comunque assoggettate alle regole di cui all'art. 1 del decreto medesimo, la cui efficacia non sarebbe stata differita fino alla scadenza della regolamentazione collettiva della materia; regole che nel caso in esame non sarebbero state osservate.
La tesi è manifestamente in contrasto con il tenore letterale della norma di legge, che si occupa appunto degli effetti, quanto al tempo, della abrogazione delle norme di legge indicate al primo comma e conserva temporalmente l'efficacia delle clausole collettive di individuazione di nuove ipotesi di contratto a tempo determinato proprio nell'ottica della disciplina di cui alla L. n. 56, art. 23 che esplicitamente richiama. Anche la ratio della norma, di graduale transizione nel tempo dall'uno all'altro sistema, con particolare attenzione a quella che era divenuta, nei fatti, la più rilevante tra le possibili ipotesi di contratto a tempo determinato, appare incompatibile con l'assunto difensivo della lavoratrice e con le conseguenze che pretende trame.
Va pertanto qui ribadito il principio ripetutamente affermato da questa Corte (cfr, ad es. Cass. 4 agosto 2008 n. 21092), secondo il quale "in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che attribuisce alla contrattazione collettiva la possibilità di identificare nuove ipotesi di legittima apposizione del termine, continua a trovare applicazione anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, che pure ne reca la formale abrogazione, in relazione alle clausole dei contratti collettivi di lavoro precedentemente stipulati sotto la vigenza della L. del 1987 ed ancora in corso di efficacia al momento dell'entrata in vigore del citato D.Lgs. fino alla scadenza dei contratti collettivi, atteso che la disciplina transitoria, desumibile dal D.Lgs. n. 368, art. 11 ha proprio la finalità di garantire una transizione morbida tra il vecchio ed il nuovo sistema".
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, per difetto di interesse, avendo la sentenza accertato, sia pure ammettendo l'introduzione nel giudizio in corso di un nuovo tema decidendi, il pieno rispetto della c.d. clausola di contingentamento nel caso dei contratti a termine impugnati.
Concludendo, il rigetto va accolto nel primo motivo, mentre va inammissibile il secondo e va respinto il ricorso incidentale, con la cassazione della sentenza impugnata con riguardo al motivo accolto.
Avendo la Corte territoriale già deciso in ordine alla legittimità del termine per la causale indicata, nei casi in cui il contratto individuale era retto dalla norma contrattuale collettiva ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 e avendo questa Corte già valutato come infondato il ricorso incidentale svolto sul tema dalla G., una volta accertato che anche il contratto a tempo determinato del 2002, con la medesima causale, è retto da identica norma collettiva la cui efficacia è mantenuta transitoriamente dal D.Lgs. del 2001, art. 11 non appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto ai fini della decisione nel merito. Le originarie domande della G. vanno pertanto respinte.
La valutazione complessiva dell'andamento della lite consiglia di compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito e di condannare la ricorrente incidentale a rimborsare alla società le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il secondo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta le domande originarie della G. condanna la ricorrente incidentale alle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 2.500,00, oltre accessori, per onorari, compensando le spese di primo e di secondo grado.