La Corte indica cosa si intende per ultima retribuzione globale di fatto, sancendo che la nozione di "retribuzione globale di fatto" - alla quale, secondo la L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 4, nel testo modificato dalla L. n. 108 del 1990, va commisurato il risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente licenziato - deve essere intesa come coacervo delle somme che risultino dovute, anche in via non continuativa, purchè non occasionale, in dipendenza del rapporto di lavoro ed in correlazione ai contenuti e alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, così da costituire il trattamento economico normale, che sarebbe stato effettivamente goduto, se non vi fosse stata l'estromissione dall'azienda. Essa, quindi comprende anche le indennità che sarebbero state versate ai dipendenti in corso di rapporto.
Cassazione sentenza n. 19956 del 16.09.2009
OMISSIS
Svolgimento del processo
A seguito di sentenza in data 3.6.1993 con cui il Pretore, giudice del lavoro, di Napoli aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato il 20.12.1990 dalla Banca C.I. s.p.a. a C.F., ordinando la reintegra dello stesso nel posto di lavoro, ed aveva condannato la società datoriale al risarcimento dei danni in ragione della retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino all'effettiva reintegra, il C. chiedeva al Pretore di Napoli la emissione di decreto ingiuntivo per la somma di L. 53.726.874 quale differenza fra l'ammontare della somma già liquidata dalla Banca a titolo di risarcimento del danno e l'ammontare della retribuzione globale di fatto effettivamente spettante.
In accoglimento di tale domanda il Pretore emetteva decreto ingiuntivo con cui intimava alla Banca C.I. il pagamento della somma richiesta.
Avverso tale decreto proponeva opposizione l'istituto predetto, contestandone tra l'altro la fondatezza sotto il profilo della avvenuta corresponsione al dipendente delle somme dovute.
Istauratosi il contraddicono il C. precisava di aver tenuto conto nella domanda monitoria di quanto già corrispostogli dalla Banca, aggiungendo che la domanda proposta era stata formulata per ottenere quanto spettantegli a titolo di retribuzione globale di fatto considerando anche gli emolumenti a carattere indennitario, quali l'indennità per ferie non godute, l'indennità di mensa, l'indennità di rischio, il concorso nelle spese tranviarie, il premio di rendimento, il premio di produttività.
Con sentenza in data 7.7.1997 il Pretore revocava il decreto ingiuntivo opposto, condannando l'Istituto datoriale al pagamento della somma di L. 72.782.627.
Avverso tale sentenza proponeva appello la Banca C.I. s.p.a. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l'accoglimento della proposta opposizione.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 28.11.2005, accoglieva il gravame e, per l'effetto, rigettava la domanda proposta dal C. con il ricorso per decreto ingiuntivo.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione C. F. con unico articolato motivo di impugnazione.
Resiste con controricorso l'intimata Banca I. s.p.a. (già I. - BCI s.p.a., soggetto incorporante l'estinta Banca C.I. s.p.a.).
Entrambe le parti hanno presentato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Col predetto motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 36 Cost., artt. 2909, 2099, 2103, 1218, 1223, 1226, 1322, 1362 e segg., 1372 e 1375 c.c., in relazione al CCNL 23 novembre 1990 per i Quadri, gli impiegati, i commessi e gli ausiliari della Aziende di credito, del D.L. n. 333 del 1992, art. 6 convertito in L. n. 369 del 1992, con riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonchè omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, ed omesso esame di punti decisivi.
In particolare rileva il ricorrente che la sentenza impugnata era incorsa in gravi e palesi errori, in violazione sia del giudicato intervenuto tra le parti sull'obbligo della banca di commisurare l'indennità risarcitoria alla retribuzione globale di fatto, sia del concetto di retribuzione globale cui appunto andava commisurata l'indennità risarcitoria, sia delle disposizioni legali e contrattuali che disciplinavano le voci escluse.
Ed invero, per quel che riguarda l'indennità di mensa, osserva il ricorrente che erroneamente il Tribunale ne aveva sancito la non spettanza, sebbene le relative somme fossero state già riconosciute e corrisposte dalla Banca. A tale argomento decisivo doveva aggiungersi che l'impugnata sentenza, basandosi sulla disposizione del D.L. n. 333 del 1992, art. 6 secondo cui il valore del servizio mensa non faceva parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali o contrattuali del rapporto di lavoro subordinato, aveva omesso di considerare che tale norma faceva tuttavia salve le diverse disposizioni degli accordi e dei contratti collettivi anche aziendali, e nel caso di specie l'odierno ricorrente aveva evidenziato il carattere convenzionale di tale indennità ai sensi dell'art. 38 del CCNL del 1990.
Per quel che riguarda il concorso alle spese tranviarie, osserva il ricorrente che la sentenza impugnata taceva completamente sui motivi di tale esclusione sebbene, anche in tal caso, le relative somme fossero state riconosciute e corrisposte dalla Banca.
In ordine all'indennità di rischio rileva il ricorrente che erroneamente ed illogicamente il Tribunale aveva ritenuto la non spettanza della stessa argomentando dalla assenza di rischio, sebbene tale assenza fosse addebitabile esclusivamente al datore di lavoro che non aveva consentito la prestazione lavorativa; ed erroneamente aveva omesso di esaminare la disciplina negoziale regolatrice dell'indennità in parola.
In ordine al premio di rendimento rileva il ricorrente che in maniera erronea ed illogica il Tribunale aveva ritenuto che nel caso di specie non poteva essere valutata la produttività essendo mancata la prestazione lavorativa, omettendo anche in tal caso di considerare che tale prestazione era mancata per fatto addebitabile al datore di lavoro; e rileva altresì che il Tribunale avrebbe dovuto quanto meno valutare le chances del lavoratore di conseguire l'attribuzione del detto premio.
E considerazioni in parte analoghe svolge per quel che riguarda il premio di produttività, sotto il profilo che anche in tal caso era addebitabile al datore di lavoro la mancanza di elementi idonei a valutare la produttività del dipendente. E comunque il giudice avrebbe dovuto procedere non già, come fatto, ad una interpretazione letterale della relativa disposizione contrattuale (artt. 22 CCNL), bensì ad una lettura della stessa in connessione sistematica con le altre norme disciplinanti il trattamento economico del lavoratore.
Il ricorso è fondato.
Preliminarmente ritiene il Collegio di dover esaminare l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla Banca I. s.p.a. nel proprio controricorso.
Ed invero, per quel che riguarda la dedotta violazione dell'art. 366 bis c.p.c. per aver, tra l'altro, il ricorrente, omesso la formulazione del quesito di diritto previsto a pena di inammissibilità dalla suddetta disposizione codicistica e su cui questa Corte avrebbe dovuto pronunciarsi, osserva il Collegio che l'eccezione è palesemente infondata. Ed invero il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27 prevede che le disposizioni del capo 1 del suddetto decreto, ad eccezione di quelle contenute negli artt. 1 e 19, si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore di tale decreto; e pertanto la disposizione di cui all'art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art 6, non trova applicazione nel caso di specie, versandosi in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza pubblicata in data anteriore (decisione del 28.11.2005 depositata in cancelleria il 16.1.2006) rispetto alla data (2.3.2006) di entrata in vigore del decreto legislativo.
Del pari infondato è il rilievo concernente la dedotta inammissibilità del ricorso sotto il profilo che non risulterebbero nello stesso indicati, con la chiarezza richiesta dall'art. 366 bis c.p.c., i fatti e le ragioni che renderebbero la pronuncia del Tribunale di Napoli meritevole di riforma, e non risulterebbero specificati, con la necessaria precisione, gli errori interpretativi e motivazionali ascritti alla sentenza impugnata e tali da non permettere di ricostruire il percorso logico - giuridico fatto proprio dal Decidente.
In proposito ritiene il Collegio di dover evidenziare la genericità di siffatta deduzione, ed il carattere apodittico della stessa, ove si osservi che, contrariamente a quanto rilevato dall'Istituto bancario nel suddetto controricorso, il ricorso proposto dal C. non appare volto a sollecitare una diversa lettura delle risultanze processuali rispetto a quella operata dal giudice di merito, ma fa specifico riferimento ai vizi del ragionamento decisorio che, escludendo dal concetto di retribuzione globale di fatto alcune voci che non potevano essere valutate a causa della omessa prestazione lavorativa dovuta a fatto addebitabile al datore di lavoro, penalizzava in definitiva il lavoratore facendo ricadere sullo stesso le conseguenze di una mancata prestazione lavorativa dipendente da un atto illegittimo del datore di lavoro.
Posto ciò, ritiene il Collegio di dover esaminare partitamente le diverse voci indennitarie di cui il Tribunale di Napoli avrebbe dovuto tener conto, alla stregua dei rilievi sollevati dal ricorrente, al fine di commisurare l'indennità risarcitoria alla retribuzione globale di fatto.
Orbene, per quel che riguarda l'indennità di mensa, rileva innanzi tutto il Collegio che la disposizione di cui al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 6, convenuto con modificazioni nella L. 8 agosto 1992, n. 359, nel prevedere (al comma 3) in linea generale che l'indennità di mensa non ha natura retributiva in quanto servizio sociale dell'azienda predisposta nei confronti della generalità dei lavoratori, ha fatto salva (al successivo comma 4) la diversa qualificazione convenzionale stabilita in sede di contrattazione collettiva, con la conseguenza che, qualora la contrattazione collettiva preveda la erogazione di una indennità sostitutiva a quanti non utilizzino il servizio mensa, la detta indennità perde il suo carattere assistenziale per assumere natura retributiva con conseguente computabilità negli istituti retributivi differiti (Cass. SS.UU., 22.3.1993 n. 3888; Cass. sez. lav., 8.7.2008 n. 18707).
Orbene, nel caso di specie il ricorrente ha dedotto in grado di appello - circostanza non contestata da controparte - la corresponsione mensile al personale dipendente di una indennità di mensa ai sensi dell'art. 38 del CCNL del 1990, ed ha rilevato in sede di ricorso per cassazione - in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso - che tale disposizione prevedeva che "al personale viene mensilmente corrisposta una indennità di mensa nella misura stabilita nella tabella allegata". Parte ricorrente ha pertanto dedotto il carattere convenzionale di tale indennità, che verrebbe quindi a perdere l'originario carattere assistenziale per assumere natura retribuiva; ed ha altresì evidenziato che il giudice di merito aveva del tutto omesso l'esame della suddetta disposizione collettiva, omissione dalla quale era derivato il vizio della motivazione della decisione sul punto.
Alla stregua di quanto sopra, avendo il lavoratore dedotto l'esistenza di un contratto collettivo che prevedeva la erogazione di una indennità mensile sostitutiva del servizio mensa, erroneamente i giudici di merito hanno omesso di valutare il contenuto della suddetta disposizione contrattuale e la conseguente possibilità che l'indennità di mensa avesse assunto, nel rapporto di lavoro in oggetto, natura retribuiva e non meramente assistenziale e potesse quindi essere inclusa nella retribuzione globale di fatto che componeva l'indennità risarcitoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.
Tanto rilevato per quel che riguarda in particolare l'indennità di mensa, osserva più in generale il Collegio, per quel che riguarda le ulteriori varie voci indennitarie (indennità di rischio, indennità per "concorso alle spese tranviarie", indennità di rendimento, indennità di produttività) che costituiscono l'oggetto della presente controversia, che il Tribunale di Napoli, facendo in buona sostanza riferimento ad una pronuncia di questa Corte (Cass. sez. lav., 5.4.2001 n. 5092) alla stregua della quale la retribuzione globale di fatto, che costituisce la base per il calcolo dell'indennità L. n. 300 del 1970, ex art. 18 dovuta al lavoratore ingiustamente licenziato, andava riferita esclusivamente alla normale retribuzione da collegare al contenuto professionale delle mansioni e non comprendeva, invece, eventuali ulteriori compensi la cui corresponsione presupponesse l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa, ha escluso dal calcolo tutte le indennità contrattuali variabili legate all'effettivo svolgimento delle mansioni, ritenendo che il dipendente licenziato non ne avesse diritto per non aver prestato attività lavorativa nel periodo considerato.
Peraltro così decidendo il Tribunale non ha, invero, correttamente interpretato i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di determinazione della retribuzione globale di fatto, ed ha negato ingresso a tutte le indennità contrattuali variabili, estendendo a tutti gli istituti contrattuali un'affermazione di principio che questa Corte ha reso in relazione (tale è il caso esaminato da Cass. n. 5092 del 2001, richiamata nella sentenza impugnata) alle indennità sostitutive delle ferie, festività e riduzione di orario di lavoro, che vanno escluse dalla base di calcolo perchè spettano al lavoratore solo se questi abbia prestato servizio tutto l'anno senza poter usufruire delle ferie.
Trattasi in realtà di pronuncia non isolata atteso che analogo principio, ma sempre con riferimento alla questione relativa alle ferie, ai permessi retribuiti ed alla riduzione di orario di lavoro, è stato espresso da questa Corte con la sentenza n. 13953 del 23.10.2000 laddove ha evidenziato che, "poichè le indennità sostitutive delle ferie, dei permessi retribuiti e della ROL hanno per presupposto l'effettiva prestazione lavorativa, l'assenza di questa prestazione esclude il diritto alle indennità".
In realtà questa Corte ha ripetutamente affermato che la nozione di "retribuzione globale di fatto" - alla quale, secondo la L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 4, nel testo modificato dalla L. n. 108 del 1990, va commisurato il risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente licenziato - deve essere intesa come coacervo delle somme che risultino dovute, anche in via non continuativa, purchè non occasionale, in dipendenza del rapporto di lavoro ed in correlazione ai contenuti e alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, così da costituire il trattamento economico normale, che sarebbe stato effettivamente goduto, se non vi fosse stata l'estromissione dall'azienda (cfr. in particolare l'ampia motivazione di Cass. S.U. n. 14616 del 15,10.2002 e di Cass. sez. lav., n. 12628 del 28.8.2003; in senso conforme anche Cass. n. 215 del 10.1.2004). La Corte ha osservato che la mancata prestazione di lavoro derivante da atto del datore di lavoro inidoneo a risolvere il rapporto, determina una situazione di mora credendi, con correlativo diritto del lavoratore al risarcimento dei danni, che devono presumersi di entità almeno pari alla perdita del coacervo delle utilità che lo svolgimento della prestazione avrebbe comportato, vate a dire al coacervo degli emolumenti, non eventuali, occasionali o eccezionali, ma aventi normale e continuativa connessione con le modalità proprie della prestazione lavorativa, ancorchè eccedenti la retribuzione base. Solo in questo modo si consegue il risultato di neutralizzare compiutamente gli effetti del licenziamento illegittimo, mentre, ove fosse ipotizzabile per il lavoratore un trattamento economico minore di quello che avrebbe ottenuto se avesse continuato a svolgere le sue consuete prestazioni, si finirebbe per addossargli le conseguenze economiche negative di un illecito altrui.
Il ripristino della lex contractus comporta la ricostituzione del rapporto quale era in corso di svolgimento al momento del recesso illegittimo, sicchè la determinazione del contenuto dell'obbligazione retributiva - cui va parametrata la tutela risarcitoria - comporta l'inclusione nella base di calcolo della globalità degli emolumenti causalmente correlati alla posizione lavorativa in atto al momento dell'illegittimo recesso. In definitiva, nella base di computo per la determinazione dell'indennità prevista dalla L. n. 300 del 1970, ex art. 18, vanno ricompresi, oltre alla retribuzione base, tutti i compensi di carattere continuativo che si ricollegano alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento, con esclusione dei soli emolumenti eventuali, occasionali o eccezionali (Cass. sez. lav., 24.8.2006 n. 18441; in tal senso, v. anche Cass. sez. lav., 16.7.2002 n. 10307, laddove la Corte ha evidenziato che "opinare diversamente significherebbe frustrare il risultato, coerente con la ratio della cosi detta "tutela reale" del posto di lavoro, di neutralizzare compiutamente gli effetti del licenziamento illegittimo, giacchè, ove fosse ipotizzabile, per il lavoratore reintegrando, una retribuzione minore di quella che avrebbe ottenuto se avesse continuato a svolgere le sue consuete prestazioni, si finirebbe per addossargli le conseguenze economiche negative di un illecito altrui, in assenza di qualsiasi sopravvenuta circostanza idonea ad interrompere legittimamente il nesso causale fra questo e quelle").
A questi principi, pienamente condivisi dal Collegio, non si è attenuto il giudice di merito, poichè il Tribunale di Napoli ha escluso dalla base di calcolo tutti i compensi contrattuali legati alla presenza in azienda del dipendente, quali l'indennità di mensa (ove si ritenga, ex art. 38 CCNL del 1990, il carattere convenzionale della stessa), l'indennità di rischio, l'indennità per "concorso alle spese tranviarie", l'indennità di rendimento, l'indennità di produttività (in relazione a quest'ultima indennità questa Corte, già con la pronuncia n. 3131 dei 24.3.1998, aveva ritenuto che dovesse essere ricompresa nella "retribuzione globale di fatto" cui era da commisurare il risarcimento del danno in caso di licenziamento illegittimo), senza tener conto del fatto che tale assenza era dipesa dalla illegittima estromissione del lavoratore dall'azienda.
In conclusione, in accoglimento del proposto gravame, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata per un nuovo esame alla Corte di Appello di Napoli che, nell'esaminare la domanda relativa alle questioni economiche conseguenti alla statuita illegittimità dei licenziamento, si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati.
Provvedere, altresì, il giudice di rinvio alla liquidazione delle spese dell'intero processo, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2009