L'assegno per il nucleo familiare è un istituto nato nel 1934 e profondamente riformato nel 1988 con la legge n. 153/1988 la quale gha convertito in legge il D.L. 13 marzo 1988, n. 69.
La prestazione previdenziale non è più riferita al singolo familiare a carico, bensì al nucleo familiare nel suo complesso.
Hanno diritto all'assegno per il nucleo familiare i nuclei familiari dei lavoratori dipendenti (anche del settore pubblico), dei titolari di pensioni, dei lavoratori assistiti dall'assicurazione contro la tubercolosi.
Per la determinazione dell'importo dovuto va tenuto conto del numero dei componenti del nucleo familiare e del relativo reddito complessivo, in quanto la prestazione previdenziale è decrescente per scaglioni di reddito (qui le tabelle anno 2013).
I soggetti che concorrono alla formazione del nucleo familiare, ai fini del relativo assegno, sono: 1) il richiedente; 2) il coniuge; 3) i figli (salvo i figli maggiorenni studenti); 4) i fratelli, le sorelle ed i nipoti (in linea collaterale) minori o inabili.
E' bene evidenziare che la convivenza dei sopra citati soggetti non è richiesta quale presupposto perché sorga il diritto a percepire l'assegno per il nucleo familiare, ma essa rappresenta soltanto un elemento di fatto idoneo a comprovare presuntivamente il requisito della vivenza a carico, essendo sufficiente per l'insorgenza del diritto al beneficio, sensibilmente diverso da quello agli assegni familiari, che il genitore, cui spetta l'assegno, provveda abitualmente al mantenimento dei figli. Né è di ostacolo l'astratta configurabilità di due nuclei familiari in caso di genitori del figlio naturale non riconosciuto, i quali, non legati tra loro da coniugio, non facciano parte dello stesso nucleo familiare, atteso che comunque opera la prescrizione posta dall'art. 2 del D.L. 13 marzo 1988, n. 69, comma ottavo-bis, secondo cui, per i componenti del nucleo familiare al quale la prestazione è corrisposta, l'assegno stesso non è compatibile con altro assegno o diverso trattamento di famiglia a chiunque spettante (Cassazione sezione lavoro, sentenza n. 4419 del 07.04.2000).
E' bene evidenziare che la convivenza dei sopra citati soggetti non è richiesta quale presupposto perché sorga il diritto a percepire l'assegno per il nucleo familiare, ma essa rappresenta soltanto un elemento di fatto idoneo a comprovare presuntivamente il requisito della vivenza a carico, essendo sufficiente per l'insorgenza del diritto al beneficio, sensibilmente diverso da quello agli assegni familiari, che il genitore, cui spetta l'assegno, provveda abitualmente al mantenimento dei figli. Né è di ostacolo l'astratta configurabilità di due nuclei familiari in caso di genitori del figlio naturale non riconosciuto, i quali, non legati tra loro da coniugio, non facciano parte dello stesso nucleo familiare, atteso che comunque opera la prescrizione posta dall'art. 2 del D.L. 13 marzo 1988, n. 69, comma ottavo-bis, secondo cui, per i componenti del nucleo familiare al quale la prestazione è corrisposta, l'assegno stesso non è compatibile con altro assegno o diverso trattamento di famiglia a chiunque spettante (Cassazione sezione lavoro, sentenza n. 4419 del 07.04.2000).
Secondo la giurisprudenza, in tema di assegni per il nucleo familiare, alla stregua del disposto dell'art. 2, comma 3, del d.l. n. 69 del 1988 (convertito con modificazioni in legge n. 153 del 1988) che rinvia, per quanto non specificamente disciplinato, alle norme contenute nel testo unico in materia di assegni familiari approvato con d.P.R. n. 797/1995, la prescrizione quinquennale del relativo diritto decorre dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale è compreso il periodo di lavoro cui l'assegno si riferisce. Conseguentemente ove le quote di maggiorazione attengano all'assegno di invalidità, l'assicurato non incorre nella prescrizione ove richieda dette quote negli stessi tempi dell'assegno, e cioè contestualmente alla domanda amministrativa ovvero con il ricorso giudiziale diretto ad ottenere l'assegno stesso (Cassazione sezione lavoro, sentenza n. 21960 del 19.10.2007, nella specie, la Suprema Corte ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva fatto decorrere la prescrizione quinquennale dalla data della sentenza pretorile di riconoscimento dell'assegno di invalidità, sul presupposto che solo a tale data la prestazione previdenziale rappresentasse il sessanta per cento del reddito familiare per gli anni dal 1986 al 1988, ritenendo tempestiva la domanda di attribuzione degli assegni presentata nell'aprile 1994.
Inoltre l'erogazione dell'assegno per il nucleo familiare presuppone - alla stregua della funzione previdenziale assunta dall'istituto rispetto alla originaria funzione di mera integrazione del salario - l'effettivo svolgimento di attività lavorativa; ne consegue che, al di fuori delle situazioni particolari specificamente contemplate da disposizioni di legge (quali i periodi di cassa integrazione e di mobilità e quelli di permesso o aspettativa per motivi politici o sindacali), gli assegni non spettano per i periodi in cui, pur essendo formalmente in essere il rapporto, sia tuttavia carente la prestazione lavorativa in conseguenza della insussistenza del sinallagma funzionale del contratto (nella quale ipotesi, d'altra parte, non sorge neanche il diritto alla retribuzione, che, per il principio generale di corrispettività, è anch'esso collegato alla prestazione lavorativa, eccetto i casi di illegittima interruzione o unilaterale sospensione del rapporto, nei quali l'obbligo retributivo è riconducibile agli effetti risarcitori della condotta inadempiente del datore di lavoro). Né l'esclusione del diritto agli assegni, limitatamente a tali periodi, suscita dubbi di illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., con riguardo alla diversità di trattamento rispetto alla indicate situazioni particolari, atteso che in queste ultime la scelta del legislatore - di equiparare determinati periodi di inattività lavorativa alla prestazione effettiva - trova giustificazione nella esigenza sociale di sostegno temporaneo di alcune categorie di lavoratori in dipendenza di programmi di risanamento dell'attività produttiva soggetti al controllo della p.a. (cassa integrazione, mobilità) oppure è riconducibile alla tutela di beni costituzionalmente garantiti, in relazione ad eventi che comportano "ex lege" l'inattività (malattia, infortunio, maternità)e alla necessità del ripristino delle energie lavorative e del godimento della vita familiare e sociale (ferie, riposi) ovvero in relazione all'esercizio di diritti politici e sindacali (permessi e aspettative per ricoprire cariche pubbliche elettive e sindacali) e all'assolvimento di doveri civici (richiamo alle armi).Sulla base di detto principio, infatti, la Corte di Cassazione (sezione lavoro, sentenza n. 6155 del 27.03.2004) ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il diritto del ricorrente alla corresponsione dell'assegno in questione per il periodo controverso, non attribuendo alcun rilievo alla circostanza che tale diritto fosse stato riconosciuto da circolari emanate dall'INPS, non potendo tali circolari derogare a disposizioni di legge, né al fatto che i crediti per le retribuzioni del periodo in questione fossero stati ammessi al passivo fallimentare, atteso che, a parte la non configurabilità di un collegamento esclusivo del diritto all'assegno con quello alla retribuzione, comunque non invocabile nella specie, il ricordato provvedimento giudiziale era vincolante solo ai fini dell'accollo, gravante "ex lege" sull'INPS, come Fondo di garanzia ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992, del debito retributivo del datore di lavoro insolvente, ma non acquistava alcuna efficacia nel giudizio in cui l'INPS era evocato come soggetto direttamente obbligato alla prestazione previdenziale.