Tribunale di Napoli, sentenza del 04.01.2006
OMISSIS
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 20 marzo 1998 C.S. conveniva in giudizio la s.p.a. S. esponendo di esserne stato dipendente dal 1972 al 1997, con mansioni di operaio verniciatore, addetto alla sala vernici, ubicata all'interno di un capannone, nella quale provvedeva a tutte le operazioni di verniciatura, utilizzando i materiali e le macchine all'uopo necessari, dettagliatamente descritti; proseguiva esponendo di essere stato addetto ad operazioni di pitturazione delle imbarcazioni sia all'interno che all'esterno, con utilizzo di macchine per la spruzzatura delle vernici e di avere curato il distacco e la posa in opera di pannelli di amianto, con utilizzo di colle specifiche, per la coibentazione della sala macchine e dei gruppi elettrogeni.
- di avere contratto una malattia professionale, costituita da - insufficienza ventilatoria di tipo ostruttivo di medio grado con iperdistensione polmonare di bronchitocronico con enfisema polmonare -, manifestatasi sin dal maggio del 1995, come da allegato referto medico dell'Ospedale Monaldi di Napoli;
- che l'Inail con provvedimento del 20.10.1997 accertava la natura professionale della malattia.
Dedotto di avere svolto le proprie mansioni all'interno di ambienti privi di aeratori e di aperture verso l'esterno, specificando che i lavori all'interno delle imbarcazioni venivano svolti senza l'utilizzo di estrattori, aeratori e macchinari per la raccolta delle polveri, di essere stato munito soltanto di una mascherina a protezione delle vie respiratorie, di non essere stato mai sottoposto a visite mediche di controllo durante il corso del rapporto di lavoro, affermava la responsabilità del datore di lavoro per violazione degli obblighi derivanti dall'art. 2087 c.c. ed il conseguente diritto al risarcimento del danno derivante dalla malattia professionale. Concludeva chiedendo, ai sensi degli artt. 2043, 2056 e 2059 cod. civ., il risarcimento del danno patrimoniale, da individuare con riferimento al lucro cessante, come cessazione del reddito percepito in conseguenza della perdita del posto di lavoro a causa della malattia, nella misura di Lire 16.749.241; del danno morale ex art. 2059 c.c., da quantificare in via equitativa, nella misura di Lire 120.000.000; del danno biologico patito, da valutare in relazione ad una menomazione dell'integrità bio-psichica del 40% e liquidato nella complessiva somma di Lire 212.325.000, o, in subordine, nella diversa somma, da determinarsi in via equitativa, oltre ad accessori di legge e con vittoria di spese, da distrarsi.
Si costituiva tempestivamente la convenuta, eccependo in via preliminare la inammissibilità della domanda per violazione dell'art. 414, nn. 3, 4, 5 c.p.c.
Nel merito contestava la fondatezza delle pretese, deducendo che il C. aveva svolto in modo prevalente lavori di carpenteria in legno, effettuando soltanto raramente lavori di verniciatura, affidati ad una ditta esterna; deduceva altresì di avere rispettato la normativa a tutela della salute dei lavoratori nell'ambiente di lavoro.
Chiedeva pertanto il rigetto della domanda perché infondata.
La causa, istruita documentalmente e mediante l'espletamento di prova testimoniale, all'odierna udienza, sulle note difensive depositate dalle parti, veniva decisa come da dispositivo in atti, del quale veniva data lettura.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità della domanda sollevata dalla convenuta. Il ricorso contiene infatti sufficienti elementi per individuare la "causa pretendi", anche con riferimento ai profili concernenti il nesso eziologico tra le caratteristiche del lavoro che il ricorrente asserisce di avere svolto ed il danno lamentato.
L'attore asserisce infatti che la malattia professionale è derivata dall'esposizione ad agenti chimici ricollegati alle mansioni di verniciatore svolta nel periodo del rapporto di lavoro, di circa venti anni, intercorso con la convenuta, in presenza della colpevole omissione da parte datoriale delle misure preventive idonee a salvaguardare la incolumità fisica dei lavoratori.
Così delineata la fattispecie costitutiva del danno, si osserva che l'azione civile di responsabilità nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno biologico derivante da infortunio sul lavoro o malattia professionale, è un'azione di inadempimento contrattuale.
L'art. 2087 c.c. prevede infatti una vera e propria obbligazione di sicurezza in capo al datore di lavoro, il cui inadempimento configura appunto responsabilità contrattuale (Cass., 1 febbraio 1995, n. 1168; id., 5 ottobre 1994, n. 8090; id., 5 aprile 1993, n. 4085). Ciò anche nell'ipotesi in cui concorra una azione di responsabilità extracontrattuale ex delicto nel caso in cui venga esercitata l'azione penale nei confronti di una persona fisica ben determinata, quale il legale rappresentante della società.
L'azione contrattuale per violazione dell'art. 2087 c.c. segue il regime delle azioni contrattuali, quanto a prescrizione e ad onere probatorio, a norma dell'art. 1218 c.c. Ciò significa appunto che spetta all'imprenditore, inadempiente, in ipotesi, alle prescrizioni di cui all'art. 2087 c.c., dimostrare di aver adottato tutte le misure dirette ad evitare il danno alla salute.
L'art. 2087 cod. civ. impone all'imprenditore datore di lavoro di adottare tutti i mezzi necessari a tutelare l'integrità fisica e morale dei lavoratori ed a prevenire possibili incidenti, nel rispetto delle norme previste dall'ordinamento in relazione al tipo specifico di attività e delle regole di normale prudenza necessarie nel caso specifico.
"Ai sensi dell'art. 2087 c.c., il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure necessarie per tutelare l'integrità fisica e morale dei lavoratori, rispettando non solo le specifiche norme prescritte dall'ordinamento in relazione al tipo specifico di attività imprenditoriale e lavorativa, ma anche quelle che si rivelino necessarie in base alla particolarità del lavoro, dell'esperienza e della tecnica; la previsione dell'obbligo contrattuale di sicurezza comporta che al lavoratore è sufficiente provare il danno ed il nesso causale tra l'attività lavorativa svolta in ambiente nocivo ed il danno medesimo, spettando all'imprenditore provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, con la conseguenza che solo l'effettiva interruzione del nesso di causalità tra infortunio (o malattia) e un comportamento colpevole dell'imprenditore esclude la responsabilità di costui, non essendo sufficiente un semplice concorso di colpa del lavoratore, ma occorrendo o una di lui condotta dolosa ovvero la presenza di un rischio effettivo generato da una attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso" (Cass., sez. lav., 17 novembre 1993, n. 11351).
Passando all'applicazione del principio sopra enunciato all'odierna fattispecie, può osservarsi che l'istruttoria espletata ha evidenziato che le mansioni del lavoratore non prevedevano in via continuativa operazioni come quelle descritte in ricorso, perché l'attività di verniciatura delle imbarcazioni svolta dalla società era affidata prevalentemente ad una ditta esterna: risulta per contro provata l'asserzione della società, vale a dire che il C. ha svolto prevalentemente compiti di carpenteria, sporadicamente di verniciatura, nei periodi in cui non vi era l'intervento diretto della ditta esterna.
La circostanza dell'affidamento dei lavori di verniciatura ad una ditta esterna è stata confermata da tutti i testi escussi.
Il teste P.M., collega di lavoro del C. con mansioni di carpentiere, ha asserito che il C. svolgeva compiti di verniciatore, sin dal 1972, ricordando che in alcuni periodi dell'anno, quando nel cantiere vi era meno lavoro di pittura e verniciatura, il ricorrente svolgeva mansioni diverse, all'occorrenza. Conferma il teste che sin dal 1972 la società si era avvalsa di una ditta esterna per effettuare opere di verniciatura delle barche.
Tuttavia il ricorrente, secondo la deposizione del collega, era addetto a tale tipo di attività, occupandosi stabilmente della pitturazione dei natanti, essendo lui l'unico verniciatore in cantiere.
Il teste D.A.B., dipendente della società dal 1971 al 1997, manovale, ha riferito che il C. svolgeva mansioni di pittore, e provvedeva alla pitturazione delle barche con il pennello e con lo spruzzatore, mentre nei periodi di minore lavoro era impegnato in altre mansioni all'interno del cantiere. Conferma il teste che la società, nei periodi di lavoro più intenso, si avvaleva di una ditta esterna, alla quale erano affidate le imbarcazioni più grandi, e che comunque vi era sempre l'apporto del C. nelle operazioni di verniciatura.
Il teste V.P., dipendente della società quale impiegato tecnico dal dicembre 1988, ricordato che oggetto dell'attività di S. è quello di manutenzione delle imbarcazioni da diporto, ha affermato che il C. svolgeva prevalentemente lavori di carpenteria, sporadicamente lavori di verniciatura.
I lavori di verniciatura venivano svolti infatti da una ditta esterna, che si avvaleva di proprio personale ed operava nei mesi di marzo, aprile e maggio. Con riguardo al luogo di lavoro, il teste ha precisato che i carpentieri soltanto in rare occasioni lavoravano in sala macchine per la sostituzione di pannelli e i lavori di verniciatura o sverniciatura non venivano effettuati all'interno della sala macchina. Con riferimento al C., il teste ha riferito che il predetto prestava la propria attività lavorativa prevalentemente all'interno della sala carpenteria annessa al capannone, qualche volta anche in sala vernici, anch'essa annessa al capannone.
I lavori di verniciatura venivano svolti, riferisce il teste, da personale interno, sporadicamente, per poche ore una volta ogni sette giorni, trattandosi di lavori minuti. Ha escluso il teste che le operazioni di verniciatura prevedessero l'uso di acido muriatico.
Il teste F.T., titolare della ditta di verniciatura evocata, ha ricordato che il C. svolgeva, come tutti gli operai di S., attività di rimessaggio, carpenteria e verniciatura dei motori ed ha precisato che i suoi operai si occupavano della verniciatura delle barche, nel periodo compreso tra gennaio e luglio, mentre al bisogno la sua impresa veniva chiamata per effettuare lavori di verniciatura anche in altri periodi dell'anno. Ha precisato che la sua impresa si occupava anche della verniciatura dei motori, sebbene qualche volta intervenivano e svolgevano queste attività gli operai di S., che collaboravano in tutti i tipi di lavoro con gli operai esterni, mentre la direzione degli operai era affidata ad un suo capo-cantiere, con la sovrintendenza di un direttore dei lavori della S. Il teste, che ha precisato di non essere stato sempre presente durante l'intervento della propria impresa, non ricorda il C. impegnato in lavori di verniciatura, anche se ricorda di averlo visto verniciare qualche motore. Conferma il teste che il C. svolgeva le mansioni ricollegate alla carpenteria.
Sempre con riguardo alle mansioni svolte, il teste D.A., collega di lavoro del ricorrente in S., ha ricordato invece che C. era un operaio verniciatore e talvolta aiuto - carpentiere, riferendo che il C. effettuava operazioni di pitturazione, alcune delle quali sugli scafi. Essendo l'unico verniciatore della S., spesso insegnava agli operai della ditta esterna lo svolgimento dei lavori. Conferma il teste che la ditta esterna si occupava della pitturazione delle barche, nel periodo compreso tra novembre e l'estate, affermando tuttavia che, "quando vi era la ditta esterna, il signor C. si occupava come tutti gli operai di lavori di carpenteria, ma soltanto per aiutare, perché il suo lavoro era quello di pittore".
Il teste R.G., impiegato tecnico della società dal 1992 al 2002, ha affermato che il C. si occupava di lavori di carpenteria e anche di piccoli lavori di verniciatura quando questi non venivano effettuati dalla ditta esterna del T. La verniciatura riguardava piccoli elementi delle imbarcazioni, come pannelli, porte, comunque elementi trasportabili e poteva avvenire a pennello o a spruzzo. Tale lavoro veniva svolto, in sala vernici, in carpenteria o all'esterno. Il lavoro di preparazione della vernice veniva effettuato dagli stessi carpentieri e poteva consistere nel ripristino oppure nella raschiatura del pezzo mediante la tecnica richiesta per la particolare attività. Precisa il teste che quando era presente la ditta esterna, dal mese di gennaio fino a fine giugno, il lavoro di verniciatura veniva effettuato esclusivamente da essa. Quando, al di fuori di questo periodo, occorreva effettuare lavori di verniciatura di una certa entità veniva parimenti chiamata una ditta esterna, mentre operai come il C. si occupavano dei lavori più minuti. Ribadisce il teste che il C., quando la ditta esterna operava in cantiere, lavorava con gli altri due carpentieri presenti in S. e svolgeva lavori di carpenteria; poteva tuttavia accadere che il C. svolgesse lavori di verniciatura e pitturazione, durante i periodi di assenza della ditta, così come poteva accadere che, pur in presenza della ditta esterna il C. prestasse, più o meno nell'arco di una settimana lavorativa, quattro o sei ore di lavoro di verniciatura.
Il teste ricorda che i lavori si svolgevano all'interno della sala vernici, all'esterno o in carpenteria.
Alla luce delle deposizioni rese, ritiene questo giudice che convergenti e coerenti appaiono le deposizione dei testi T., titolare della ditta esterna che effettua la verniciatura dei natanti e dei due impiegati tecnici della S., uno dei quali ormai estraneo alla impresa convenuta.
I colleghi del C., tutti operai che hanno intentato azioni per il risarcimento del danno da malattia professionale nei confronti di S. (Attore) o per il riconoscimento dei benefici ricollegati alla esposizione ad amianto, muovono tutti; nelle deposizioni, dall'affermazione che lo stesso fosse verniciatore, ma ribadiscono la presenza della ditta esterna ed ammettono che il C. era impegnato in lavori diversi dalla verniciatura quando vi era la ditta esterna.
D'altro canto i testi indotti dalla resistente riferiscono dell'impegno del C. in lavori minuti di verniciatura, in assenza della ditta esterna, per alcune ore alla settimana.
E' emerso pertanto che C. svolgeva prevalentemente mansioni di carpentiere e che abitualmente, con una cadenza abbastanza regolare si occupava anche di piccoli lavori di verniciatura; tuttavia le mansioni di verniciatore erano marginali rispetto a quelle prevalenti di carpentiere.
Con riguardo ai luoghi di svolgimento del lavoro, si osserva che è emerso che i lavori venivano effettuati nella sala vernici, all'esterno o in carpenteria, talvolta in sala macchina. Le caratteristiche della sala - vernici, secondo le convergenti deposizioni, erano quelle di un locale molto grande, dotato di due porte scorrevoli di circa quattro metri di cui una dava all'esterno l'altra all'interno dei capannoni, con volte alte circa sei metri.
La descrizione del capannone è stata offerta sia dal teste P.M., che, ricordato che il ricorrente svolgeva il proprio lavoro sia all'interno del capannone che sulla banchina, ha riferito che il capannone aveva grosse dimensioni ed era molto alto, onde consentire l'ingresso delle gru che trascinavano le barche attraverso una porta scorrevole.
Così il teste D.A.B. ha riferito che la sala vernici, destinata alla verniciatura e sverniciatura dei pezzi smontabili delle barche, ubicata all'interno del capannone, era provvista di finestre in alto, di una porta scorrevole che dava sul capannone e di un'altra porta verso l'esterno.
I testi hanno confermato che per lo svolgimento del lavoro veniva utilizzata una mascherina: la circostanza, riferita indistintamente all'intero periodo di lavoro dai testi D.A., P. nonché da quelli indotti dalla convenuta, è stata smentita soltanto dal teste A., che ha riferito che esse furono fornite dopo il 1997-1998.
Con riguardo ai macchinari usati, il teste P. ha riferito che le macchine utilizzate erano dotate di estrattori per le polveri, mentre il teste T. ha riferito che all'esterno della falegnameria vi era un silos che raccoglieva i residui di segatura mediante il sistema dell'aspirazione ; il teste G. ha riferito che il C. usava la macchina per levigare il legno, ma mai la fiamma ossidrica o l'acido muriatico.
Con riguardo poi alle riparazioni delle barche di vetroresina, il teste A. ha ricordato che una ditta esterna facente capo ad un tale T. (v. testimonianza del teste A.) effettuava i lavori sulle barche di vetroresina, mentre il teste G. ha ricordato che il C. poteva essere utilizzato in lavori di affinatura delle superfici con flex, pulizia delle superfici, resinatura con tessuto di fibre di vetro con utilizzo di resine poliesteri.
Orbene la ricostruzione delle mansioni affidate al signor C., le caratteristiche del lavoro svolto dallo stesso e dei luoghi di lavoro, sulla base delle risultanze della prova testimoniale, conduce ad escludere la fondatezza delle asserzioni poste a fondamento della domanda; in particolare la prova ha in parte smentito che il C. fosse addetto, secondo l'asserzione contenuta nel ricorso introduttivo, alla sala vernici e che al suo interno abbia provveduto a tutte le operazioni di verniciatura, con le modalità descritte in ricorso. E' stato asserito certamente da tutti i testi che il C. ha svolto mansioni di verniciatore, ma la presenza, per più di sei mesi all'anno, sin dal 1974, di una ditta esterna addetta alla verniciatura, da tutti i testi confermata, fa ritenere attendibile la deposizione di tutti coloro che hanno affermato che esse venivano svolte in concorrenza con quelle prevalenti di carpentiere.
Escluso che il C. fosse un operaio addetto alla sala vernici, dalla prova si evince che l'esposizione all'uso di eventuali solventi sia stata sporadica. D'altro canto il teste G. attendibilmente ha escluso che venisse fatto uso di acido muriatico e della fiamma ossidrica.
Il difetto di prova sulla premessa posta a fondamento della domanda di risarcimento impedisce l'ulteriore indagine sul nesso causale fra la malattia contratta e la specifica attività professionale del ricorrente.
Alla luce dei fatti emersi nel corso dell'istruttoria non è dato ravvisare pertanto un nesso tra le mansioni affidate al C. e la malattia lamentata.
Risulta smentito altresì che il ricorrente, durante il corso del rapporto di lavoro, non sia stato mai sottoposto a visite mediche periodiche di controllo, la circostanza essendo stata invece riferita, pur con qualche incertezza, dallo stesso teste A.
Asserisce il ricorrente che l'ambiente di lavoro era privo dei più elementari accorgimenti per assicurare l'incolumità dei dipendenti. Orbene la parte convenuta, sulla quale gravava il relativo onere, ha provato che la sala vernici, dove il ricorrente ha lavorato in maniera saltuaria, di dimensioni ampie, come pure i capannoni, erano dotati di aperture; che talune macchine erano dotate di estrattori di polveri (v. testimonianza del teste T.) e che gli operai erano muniti di mascherine.
Si rileva infine che un danno da esposizione ad amianto non ha formato oggetto della prospettazione della domanda, che pur enunciando, nella parte espositiva, che il ricorrente curava il distacco e/o la messa in opera di pannelli di amianto, non contiene alcun cenno al rapporto di causalità tra la malattia denunciata ed una eventuale esposizione a fibre di amianto.
Ritenuto pertanto il difetto di prova sulla sussistenza del nesso causale tra lavorazioni asseritamene pericolose e la malattia contratta dal C., la domanda va rigettata.
Ragioni di equità suggeriscono di compensare tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta la domanda e compensa le spese processuali.
Così deciso in Napoli il 3 novembre 2005.
Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2006.