CAssazione, sezione lavoro, sentenza n. 5413/2013
OMISSIS
Svolgimento del processo
Con ricorso alla Corte d'appello di Milano, C.R. conveniva in giudizio l'Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale e l'Agenzia delle Entrate ufficio di Como, chiedendo che, in riforma della sentenza n. 330/05 del locale Tribunale, fosse accertata la illegittimità del provvedimento di licenziamento adottato dall'Agenzia il 6/5/2003 ed il riconoscimento della risoluzione del rapporto per effetto delle dimissioni volontarie, accettate dalla amministrazione il 7/4/2003.
L'appellante lamentava che il giudice avesse ritenuto possibile il licenziamento dopo l'accettazione delle dimissioni.
Rilevava che il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 118, che prevedeva la continuazione del procedimento disciplinare agli effetti del trattamento di quiescenza e previdenza nel caso in cui il lavoratore avesse presentato le dimissioni, era stato abrogato dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 4 e dal D.Lgs n. 165 del 2001 a far data dalla stipulazione dei contratti collettivi; che la stessa amministrazione aveva confuso la data del licenziamento con quella delle dimissioni richiedendogli peraltro l'indennità di mancato preavviso (doc. 1/6/2005).
Si costituiva l'Agenzia resistendo al gravame e rilevando che era compatibile con le dimissioni volontarie la prosecuzione del procedimento disciplinare; che l'atto di accettazione delle dimissioni era un atto dovuto; che aveva tempestivamente avviato il procedimento disciplinare a seguito della comunicazione della sentenza penale del 4/3/2003.
Con sentenza dell'8 giugno 2007, la Corte d'appello di Milano, in riforma della sentenza impugnata dichiarava l'illegittimità del licenziamento adottato nei confronti del C., dichiarando che il rapporto era cessato per dimissioni.
Osservava la Corte di merito che il lavoratore aveva ricevuto la notifica del licenziamento (6 maggio 2003) dopo oltre un mese dalle sue dimissioni, accettate dall'amministrazione che pur avrebbe potuto rifiutarle o ritardarle al fine di esaurire il procedimento disciplinare come previsto dal D.P.R. n. 3 del 1957, art. 124.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l'Agenzia delle Entrate, affidate ad unico motivo. Resiste il C. con controricorso.
Motivi della decisione
1. La ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell'art. 2106 c.c. e dell'art. 24 del c.c.n.l. Comparto Ministeri 1994-1997.
Lamenta che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che con le dimissioni cessasse il rapporto e conseguentemente l'esercizio del potere disciplinare da parte dell'amministrazione, potere che invece doveva ritenersi persistente ai fini pubblicistici di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 124.
Ad illustrazione del motivo formulava, il seguente quesito di diritto: "Dica codesta S.C. se il procedimento disciplinare possa essere legittimamente esperito o proseguito nei confronti del dipendente pubblico cessato dal servizio a causa di dimissioni, nell'ipotesi in cui sussista in concreto un interesse giuridicamente qualificato della pubblica amministrazione ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del comportamento dal primo tenuto in servizio".
2. Il ricorso è infondato.
Occorre innanzitutto notare che anche dalla lettura del quesito ex art. 366 bis c.p.c., emerge che la stessa ricorrente considera il dipendente, che abbia presentato le dimissioni, come cessato dal servizio, indipendentemente dall'accettazione di esse da parte dell'amministrazione, mentre non viene chiarito in cosa consista l'invocato "interesse giuridicamente qualificato" della pubblica amministrazione ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del comportamento tenuto (ed anch'esso neppure specificato) dal dipendente in servizio.
Occorre quindi notare che l'art. 124 in questione, come evidenziato dal giudice di appello, stabiliva che l'accettazione delle dimissioni potesse essere rifiutata o ritardata quando fosse in corso un procedimento disciplinare, al fine di consentire la conclusione dello stesso, mentre nella specie le dimissioni furono prontamente accettate in pendenza di procedimento disciplinare, sicchè il rapporto di impiego doveva ritenersi risolto mentre quest'ultimo era in corso, con conseguente nullità della sanzione adottata, proprio in base al citato art. 124 che, nei casi di interesse dell'amministrazione alla conclusione del procedimento disciplinare a carico del dipendente dimissionario, prevedeva la facoltà dell'amministrazione di rifiutarle o ritardarne l'accettazione.
3. Questa Corte ha tuttavia più volte affermato che a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 29 del 1993, il rapporto di pubblico impiego privatizzato è regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro, nonchè dalle norme sul pubblico impiego solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili; ne consegue che le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo di accettarle, sicchè non necessitano più, per divenire efficaci, di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione (Cass. 7 gennaio 2009 n. 57).
Ne consegue, con riferimento agli effetti delle dimissioni del dipendente, che, non essendo compatibile con il nuovo regime del rapporto di lavoro la disciplina delle dimissioni dettata dall'art. 124 t.u. dell'impiego statale e dovendosi applicare i criteri civilistici, la dichiarazione di dimissioni, in quanto atto unilaterale recettizio ha l'effetto di risolvere il rapporto di lavoro dal momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro (Cass. 4 agosto 2006 n. 17764).
Deve dunque considerarsi che, alla medesima stregua di quanto avviene nel rapporto di impiego privato (ex plurimis, Cass. 17 giugno 2004 n. 11357), la cessazione del rapporto faccia venire meno l'esercizio del potere disciplinare, che potrebbe concludersi solo con un provvedimento idoneo ad incidere su di un rapporto di lavoro esistente e non già cessato.
In ogni caso, come dedotto dalla stessa amministrazione ricorrente, l'art. 28 quater del c.c.n.l. 1994-97 del comparto Ministeri, stabiliva che le dimissioni del dipendente comportavano la cessazione del rapporto di lavoro, indipendentemente dall'accettazione di esse da parte dell'amministrazione.
Tali conclusioni risultano in linea con la giurisprudenza amministrativa, la quale ha affermato che il procedimento disciplinare non prosegue successivamente alle dimissioni volontarie del pubblico dipendente, a seguito dell'abrogazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 118, da parte del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 74 (Cons. Stato 28 febbraio 2005).
4. Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2013