La rappresentanza legale consiste in un potere/dovere di rappresentanza di un soggetto, detto rappresentante, in capo ad un soggetto, anche giuridico, detto rappresentato.
L'art. 2384 c.c prevede che il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale.
In tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società di capitali, non trova applicazione la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista con riguardo ai beni degli incapaci dagli artt. 320, 374 e 394 cod. civ., dovendosi invece fare riferimento agli atti che rientrano nell'oggetto sociale - qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica - pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, rientrano nella competenza dell'amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società, mentre eccedono i suoi poteri quelli di disposizione o alienazione, suscettibili di modificare la struttura dell'ente e perciò esorbitanti (e contrastanti con) l'oggetto sociale.
Come affermato in dottrina, la riforma del 2003 non ha sostanzialmente innovato circa i poteri di gestione degli amministratori sotto l'aspetto che qui interessa: pertanto i poteri di gestione medesimi devono rientrare nell'oggetto sociale.
Diversa appare la soluzione per i poteri di rappresentanza. Per questi si tratta di un potere generale; le eventuali limitazioni, pur pubblicate, non operano nei rapporti esterni, salva la exceptio doli (che comporta la prova che il terzo ha agito con dolo, cioè ha agito intenzionalmente a danno della società).
Ne consegue che anche gli atti estranei all'oggetto sociale rientrano nei poteri di rappresentanza degli amministratori e, pertanto, salva sempre la exceptio doli, nei rapporti esterni sono validi e impegnano la società.
La discrasia nella disciplina dei poteri di gestione, da un lato, e poteri di rappresentanza, dall'altro, comporta che:
- gli atti estranei all'oggetto sociale non rientrano, come già osservato, nei poteri di gestione;
- gli stessi atti estranei all'oggetto sociale nei rapporti interni costituiscono una violazione degli amministratori, in quanto gli stessi hanno agito oltre i limiti dei poteri conferiti, con le conseguenze punitive previste dagli artt. 2392 e seguenti, 2383, 2408 e 2409.