Secondo la sentenza in commento (Corte d'Appello di Roma, sentenza del 08.02.2007, le dimissioni del lavoratore assunto con pluralità di contratti di lavoro a termine, estinguono non solo l'ultimo contratto nel corso del quale sono state presentate, ma anche il contratto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege conseguente all'illegittima apposizione del termine dei singoli contratti. Non si vede, infatti, come possa ipotizzarsi la sopravvivenza e continuazione del rapporto di lavoro da parte del soggetto che ha posto in essere l'atto risolutivo, il quale non può essere considerato valido a troncare il solo rapporto a tempo determinato in quel momento in essere e non anche il complessivo rapporto a tempo indeterminato di cui il primo deve comunque costituire una non terminale, ma intermedia frazione.
Testo sentenza
OMISSIS
Svolgimento del processo
Con ricorso in appello, depositato il 29 marzo 2005. E.D. impugnava l'indicata sentenza del Tribunale di Civitavecchia, con cui il ricorso da lei proposto nei confronti delle società A. s.p.a. era stato respinto con compensazione delle spese di lite. Nel ricorso di primo grado la E. aveva chiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni, ribadite nel ricorso in appello: "... 1. dichiarare la nullità delle clausole appositive di termine ai contratti stipulati fra le parti e dichiarare la esistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato a far data dall'11/07/91 (epoca della prima assunzione a tempo determinato ai sensi del punto C n. 9 sub c dell'accordo interconfederale, in applicazione dell'art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56) o dalla diversa data ritenuta di giustizia con inquadramento all'ottavo livello del contratto per gli impiegati ed operai dipendenti delle aziende a partecipazione statale di trasporto aereo e di gestione aeroportuale; 2. dichiarare il rapporto tra le parti tuttora operante in mancanza di un atto idoneo a risolverlo ovvero dichiarare la ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro medesimo; 3. condannare A. S.p.A.... a pagare in favore della ricorrente tutte le mensilità maturate e non corrisposte nei periodi intermedi fra i vari contratti a tempo determinato intercorsi ed analiticamente indicati nel capitolo uno della premessa, nonché quelle maturate successivamente alla scadenza dell'ultimo contratto a termine fino all'effettiva riammissione in servizio e comunque fino alla sentenza; sulla base di Lire 2.167.392 pari a Euro 1.119,36 lorde mensili, per le sole voci fisse della retribuzione e con riserva di richiedere le altre voci retributive in separata sede; con determinazione del danno derivante dalla svalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c., dal maturare dei crediti al soddisfo ed interessi sempre con decorrenza dal sorgere dei crediti, da calcolarsi sulle somme rivalutate...".
Si costituiva in giudizio l'appellata, chiedendo il rigetto dell'appello proposto con vittoria di spese.
Seguiva l'odierna udienza con gli adempimenti di cui all'art. 437 c.p.c.
Motivi della decisione
I motivi di gravame hanno per oggetto, fondamentalmente, tre questioni: 1) la legittimità degli accordi interconfederali 5 gennaio 1990 e 14 novembre 1995 in relazione alla normativa di riferimento; 2) la legittimità dei contratti stipulati nell'ambito dei predetti accordi; 3) la valenza che assume, in relazione alla vicenda in esame, il comportamento tenuto dalla lavoratrice fino alla promozione del presente giudizio.
Dalle considerazioni appresso esposte, che rivestono carattere assorbente rispetto ad ogni altra questione, emerge l'infondatezza dell'appello.
La ricorrente, dopo la scadenza dell'ultimo contratto a termine, stipulato con la s.p.a. A. il 27 novembre 1997 per il periodo dal 27 novembre al 31 dicembre 1997, ha accettato il T.F.R. senza alcuna riserva (come affermato, già in primo grado, dall'attuale appellata e mai negato dalla lavoratrice); è stata assunta da altra società, prima con contratto a termine e poi con contratto di lavoro a tempo indeterminato, e tuttora lavora con contratto a tempo indeterminato per una diversa società (si tratta di circostanze che, come ha ricordato l'appellata, senza essere smentita, sono state ammesse dalla stessa ricorrente in sede di interrogatorio libero e trovano riscontro nella documentazione acquisita); è rimasta inattiva nei confronti della società A. fino al giorno della richiesta di esperimento del tentativo di conciliazione, nel novembre 2000 (v. doc. 14 prodotto dalla ricorrente in primo grado), cioè per circa tre anni, nei quali non ha mai offerto a tale società le proprie prestazioni lavorative (la circostanza è pacifica).
Dal comportamento tenuto dalla lavoratrice si evince, in maniera univoca, la sua volontà, implicita ma chiara, di far cessare l'ipotetico unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che si sarebbe instaurato con la s.p.a. A. in conseguenza dell'asserita illegittimità dell'apposizione del termine ai contratti stipulati, o, comunque, la sua volontà di prestare acquiescenza alla risoluzione del predetto unico rapporto. Né, all'evidenziato comportamento complessivo, potrebbe attribuirsi una valenza diversa soltanto in ragione delle possibili contingenti valutazioni soggettive di convenienza, compiute dall'interessata dopo la scadenza dell'ultimo contratto stipulato con la s.p.a. A.
In proposito si deve ribadire, d'altra parte, un principio già affermato (con specifico riferimento all'ipotesi delle dimissioni del lavoratore, ma logicamente estensibile alla presente fattispecie, nella quale è ravvisabile una cessazione volontaria, o comunque accettata, del rapporto con la società A.) in precedenti sentenze di questa Corte, secondo cui le dimissioni del lavoratore, assunto con una pluralità di contratti di lavoro a termine, estinguono non solo l'ultimo contratto nel corso del quale sono state presentate, ma anche il contratto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege conseguente all'illegittima apposizione del termine dei singoli contratti. Non si vede, infatti, come possa ipotizzarsi la sopravvivenza e continuazione del rapporto di lavoro da parte del soggetto che ha posto in essere l'atto risolutivo, il quale non può essere considerato valido a troncare il solo rapporto a tempo determinato in quel momento in essere e non anche il complessivo rapporto a tempo indeterminato di cui il primo deve comunque costituire una non terminale, ma intermedia frazione. In sostanza, con le dimissioni l'appellante ha spezzato il filo rosso che poteva legare fra loro i vari rapporti, scavando un solco non più colmatile tra essi e l'eventuale continuazione degli stessi ove convertiti in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (v. Appello Roma n. 4892 del 15 giugno 2005, che richiama Appello Roma 29 maggio 2000).
E' opportuno aggiungere che la mancata offerta delle prestazioni lavorative in ogni caso esclude, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità, il diritto alle retribuzioni per i periodi in cui non vi è stata prestazione di lavoro.
Le domande proposte nei confronti della società A. s.p.a. non possono essere in definitiva accolte.
In conclusione, per tutte le considerazioni esposte, l'appello deve essere respinto.
I rapporti intercorsi tra le parti inducono a compensare fra le stesse le spese del grado.
P.Q.M.
La Corte rigetta l'appello e compensa le spese.
Così deciso in Roma il 22 novembre 2006.
Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2007.