MOTIVAZIONE
La materia del contendere investe solo l'eventuale riconoscimento di un assegno divorzile in favore dell'appellante.
In ordine alla natura della prestazione in esame, la più recente e condivisibile giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'assegno divorzile ha natura, da un lato, assistenziale, dall'altro perequativo-compensativa ed implica il riconoscimento di un contributo volto, non a conseguire l'autosufficienza economica del richiedente sulla base di un parametro astratto, bensì un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto.
Ciò posto, la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia, senza che in alcun modo possa determinare un disincentivo all'impegno lavorativo dell'avente diritto o una fonte di rendita parassitaria.
Il riconoscimento dell'assegno di divorzio presuppone, quindi, che l'ex coniuge che ne benefici disponga di mezzi inadeguati o, comunque, sia nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive ed è determinato in considerazione della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, del contributo fornito alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto (in questi termini, da ultimo, Cass. n. 18522 del 4.9.2020 e Cass., Sez., Ordinanza del 28.1.2021, n. 1786).
Occorre, quindi, "valutare condizioni, redditi ed età di entrambi i coniugi e nella registrata sperequazione tra i primi verificare se essa sia riconducibile a scelte comuni di vita, in ragione delle quali le realistiche aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole sono state sacrificate per la famiglia, nell'accertato suo decisivo contributo alla conduzione familiare, alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio" (Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 1786 del 28.1.2021).
Ciò premesso, nel caso di specie, rileva la Corte che il matrimonio tra le parti si è protratto per circa 22 anni e che, pacificamente, per tutta la durata del rapporto, mentre D.L.F. ha lavorato come operaio turnista dell'Enel, F.M., secondo quanto dichiarato dalla medesima nel corso dell'udienza presidenziale, ha lavorato "quasi sempre", come colf, o in pizzeria, o in un negozio di abbigliamento, guadagnando a sufficienza per sé e per i figli.
Ciò dimostra, da un lato, come l'attività lavorativa di D.L.F. abbia evidentemente inciso sulla vita familiare e questi abbia potuto svolgere le proprie mansioni (impegnative per i turni impostigli), avendo potuto fare affidamento sull'ausilio, indispensabile, della coniuge per la crescita dei figli; dall'altro, come anche F.M., con i propri lavori precari, abbia contribuito al menage familiare, in costanza di matrimonio.
Inoltre, procedendo ad una valutazione comparativa della situazione economica di entrambe le parti, si osserva che:
- D.L.F., in qualità di operaio turnista Enel, percepisce una retribuzione netta mensile di circa Euro 3.000,00; ha contratto un prestito bancario per cui paga una rata mensile di Euro 690,00 circa; è titolare di un conto corrente bancario e cointestatario di due libretti postali, il cui saldo, però, non è stato documentato; ha allegato (ma non documentato) di aver alienato la casa coniugale di sua proprietà e di aver destinato il relativo corrispettivo ai figli; non ha chiarito dove attualmente abiti, ma la circostanza che non abbia dedotto di dover pagare un canone di locazione, induce a ritenere che disponga di un immobile in cui vive; - F.M. vive in un appartamento condotto in locazione a Tuscania, per cui versa un canone mensile di Euro 350,00; all'udienza presidenziale dell'1.10.2019 ha dichiarato di aver stipulato il contratto di affitto l'anno precedente, ma di essersi effettivamente trasferita in tale alloggio solo nel mese di aprile 2019 (con ciò sostanzialmente ammettendo di aver corrisposto per circa sei mesi un canone di locazione per un alloggio rimasto inutilizzato); ha altresì dichiarato di non aver alcuna relazione sentimentale con tale D.F. (collega dell'appellato), pur ammettendo di aver lasciato la casa coniugale per recarsi in Puglia - dove costui lavorava - e pur riconoscendo di aver acquistato nel 2017 un'autovettura nuova, avvalendosi del suo aiuto per ottenere un finanziamento per cui lo stesso D.F. pagava le relative rate mensili di Euro 150,00; è disoccupata e percepisce il reddito di cittadinanza per l'importo mensile di Euro 493,00.
Ritiene la Corte che entrambe le parti abbiano volutamente omesso di allegare e dimostrare in modo leale e trasparente la propria situazione reddituale e patrimoniale e tale loro comportamento non può che essere valutato dalla Corte ai sensi dell'art. 116 c.p.c..
Da un lato, infatti, D.L.F. non ha minimamente documentato quali siano gli importi giacenti sui conti correnti e postali a lui riconducibili, né di aver effettivamente trasferito ai propri figli l'intero corrispettivo ricevuto per la vendita della casa coniugale; dall'altro, quanto a F.M., la circostanza che per circa sei mesi abbia potuto impiegare l'intero importo percepito a titolo di assegno di mantenimento per affittare una casa in cui non viveva, dimostra la sua evidente diponibilità di ulteriori risorse non dichiarate.
Ciò nonostante, ritiene la Corte che, come già rilevato, la durata complessiva del rapporto coniugale tra le parti e la circostanza che l'appellante, durante la vita matrimoniale, abbia svolto lavori anche temporalmente poco impegnativi, dedicandosi, quindi, alla crescita dei due figli, con ciò consentendo al coniuge di potersi occupare a tempo pieno alla propria attività lavorativa, giustificano il riconoscimento a F.M. di un assegno divorzile (pur di ammontare contenuto ed inferiore rispetto all'assegno di mantenimento previsto in sede di separazione consensuale). Inoltre, dev'essere altresì rilevato che attualmente l'appellante è disoccupata, sostiene le spese del canone di locazione dell'immobile in cui vive e il modesto importo dalla medesima percepito a titolo di reddito di cittadinanza non le è sufficiente a condurre una vita dignitosa.
Ne consegue l'opportunità di riconoscerle un assegno divorzile pari all'importo di Euro 250,00 mensili, con adeguamento monetario automatico secondo indice Istat, a decorrere dal deposito dell'atto di appello, risultando allegate e dimostrate in primo grado le sue condizioni reddituali in modo ancor più inadeguato.
Il tenore complessivo della decisione giustifica la condanna di D.L.F. al pagamento della metà delle spese di lite per il presente grado di giudizio, in favore dell'appellante (liquidate tenendo conto dell'esiguo valore della causa); compensata tra le parti la residua metà.
PQM
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, con l'intervento del Procuratore Generale, in parziale accoglimento dell'appello proposto da F.M. avverso la sentenza n. 186/2021 del Tribunale di Civitavecchia, condanna D.L.F. a corrispondere all'appellante un assegno divorzile pari all'importo mensile di Euro 250,00, con adeguamento monetario automatico secondo indice Istat, a decorrere dal deposito dell'atto di appello (24.5.2021); condanna D.L.F. al pagamento della metà delle spese di lite del presente grado, in favore di F.M., liquidate, per l'intero, in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre r.f. al 15%, Iva e Cpa come per legge;
compensa tra le parti la residua metà.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2022