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martedì 25 aprile 2023

Lo straining lavorativo consiste in una forma di stress a cui un superiore sottopone un dipendente con l'intento di discriminarlo

Tribunale Lucca sez. lav., 15/12/2022, n. 363

Massima

Lo straining lavorativo consiste in una forma di stress a cui un superiore sottopone un dipendente con l'intento di discriminarlo. Si distingue dal mobbing perché nello straining sono sufficienti comportamenti vessatori che, nonostante non siano costanti, determinano nel dipendente uno stato di oppressione e grave disagio mentre non sono necessarie vessazioni reiterate e sistematiche. È dunque una situazione attenuata rispetto al mobbing.


Sentenza

Fatto

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

1) La ricorrente ha adito questo Tribunale per ottenere l'accoglimento delle seguenti conclusioni:


"Voglia l'Ill.mo Tribunale Civile di Lucca - in funzione di Giudice del Lavoro, contrariis reiectis:


1) accertare e dichiarare che G. S. è stata vittima di "straining" da parte del Dott. M. M., quale Responsabile del Servizio Associato di Polizia Locale della Media Valle del Serchio e quale dipendente del Comune di Borgo a Mozzano.


2) conseguentemente condannare il Dott. M. M., sia in proprio che quale Responsabile del Servizio Associato Polizia Locale Media Valle del Serchio (ai sensi degli artt. 2043,2049 e 2087 del c.c.), a risarcire tutti i danni, sia patrimoniali che non patrimoniali, provocati alla ricorrente, nella misura risultante in corso di causa e quantificata secondo equità e giustizia,


3) dichiarare ed accertare invalida, irregolare, illegittima e comunque arbitraria la ripartizione del fondo produttività per l'anno 2019 operata dal Responsabile del Servizio di Polizia Locale della Media Valle del Serchio,


4) accertare e determinare la quota del fondo di produttività effettivamente spettante alla ricorrente G. S. in ragione della qualità e quantità del servizio effettivamente svolto nel corso del 2019 e nel 2020 fino all'interruzione del servizio.


5) ordinare al Responsabile del Servizio di Polizia Locale della Media Valle del Serchio di riconoscere, e liquidare la cifra effettivamente spettante alla ricorrente G. S. come quota del fondo produttività per l'anno 2019, decurtandola dall'ammontare complessivo del medesimo fondo reso disponibile dai Comuni aderenti al servizio per questo anno 2019, nonché per l'anno 2020, sempre con riferimento al medesimo parametro e criterio economico'


2) Il dott. M. M. si è costituito chiedendo al Tribunale di accogliere le seguenti conclusioni:


'Piaccia all'Ill.mo Sig. Giudice adito, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa:


- in via preliminare e/o pregiudiziale, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva del Dott. M. M. in relazione alle domande ex art. 2087 e 2049 cc proposte ai punti 1 e 2 delle conclusioni di parte ricorrente inerenti l'accertamento e la condanna del resistente per condotte di c.d. 'straining'ed in relazione alla domande di cui ai punti 3, 4 e 5 delle conclusioni di parte ricorrente inerenti al riconoscimento e alla liquidazione somme relative al fondo di produttività per gli anni 2019 e 2020.


- in tesi, nel merito, rigettare tutte le domande della ricorrente in quanto infondate in fatto e in diritto.


Con vittoria di spese e compenso professionale oltre accessori di legge ed eventuali spese di C.T.U. e C.T.P.'


3) La causa è stata istruita documentalmente, essendo state ritenute superflue/irrilevanti le richieste istruttorie alla luce della documentazione già allegata ed acquisita nel presente procedimento.


Il ricorso è infondato e non meritevole di accoglimento per i seguenti motivi:


A) In merito alla supposta condotta di straining.


La ricorrente è stata dipendente con qualifica di addetta alla Polizia Locale e con mansioni di Agente di Polizia Locale del Comune di Coreglia Antelminelli (LU). Questo Comune ha fatto parte del Servizio Associato per la gestione associata della funzione di Polizia Locale fra Comuni della Media Valle del Serchio. Tale Servizio annovera tra gli associati, oltre al Comune di Coreglia Antelminelli, i Comuni di Bagni di Lucca, Borgo a Mozzano, Pescaglia e Gallicano. La ricorrente è stata collocata all'interno del servizio anzidetto, dal primo settembre 2017 fino al 31 dicembre 2020.


Ella deduce che, durante il periodo indicato, era stata vittima di episodi di tipo vessatorio perpetrati ai suoi danni e configuranti condotte astrattamente riconducibili nella nozione di matrice giurisprudenziale del c.d. 'straining'.


Segnatamente, la ricorrente rileva che:


- nell'arco di tempo sopra indicato aveva incontrato molte difficoltà e si è trovata male nel prestare la propria attività lavorativa presso questo Servizio Associato, esponendo che si sentiva come un ospite, non essendo libera di utilizzare uno qualsiasi dei computer in dotazione dell'ufficio, oppure di sedersi indifferentemente in una postazione di lavoro, piuttosto che in un'altra.


- era stata mortificata dall'atteggiamento sistematicamente ostile tenuto nei suoi riguardi da parte del Comandante dott. M. M. il quale nonostante le doglianze da lei mosse, non si era adoperato perché la situazione sopra descritta venisse modificata ed aveva anzi tenuto nei suoi riguardi una serie di comportamenti ostili e vessatori al punto tale da isolarla all'interno dell'ufficio, ledendo la sua personalità e provocandole frustrazione e stress:


- era stata sistematicamente penalizzata da parte del superiore gerarchico;


- il Comandante M. dopo più di un anno, le aveva rilasciato il tesserino di riconoscimento quale appartenente al Servizio;


- il predetto Comandante si era totalmente disinteressato delle condizioni di salute in cui versava durante la degenza dopo un infortunio sul lavoro;


- lei era stata costretta in più occasioni a chiedere al Comandante M. la correzione di errori commessi a suo discapito nell'indicazione dei servizi prestati (e conseguenti spettanze);


- il Comandante era stato impreciso con danno per la ricorrente nella verifica operata circa gli straordinari a pagamento, le ore di turnazione, giorni festivi, giorni di riposo, giorni festivi, giorni riposo, ferie, giorni di recupero permessi;


- lei era stata discriminata nell'assegnazione delle dotazioni di servizio e nella fruizione delle ferie;


- il Comandante spesso le aveva assegnato l'incarico di eseguire da sola molteplici servizi e sopralluoghi, talvolta anche delicati.


- lei era stata emarginata all'interno del servizio, ove non poteva esprimere liberamente le proprie opinioni e, anzi, era stata anche aggredita verbalmente senza che il Comandante M. sanzionasse i responsabili (in merito a tali fatti sono stati depositate audio-registrazioni su supporto usb);


- lei era stata penalizzata dal Comandante rispetto a molti suoi Colleghi nella ripartizione dei c.d. premi produttività, poiché lui le aveva attribuito ingiustificati giudizi di mediocrità.


La parte convenuta in giudizio, debitamente costituitasi, ha eccepito la propria mancanza di legittimazione passiva, dichiarandosi estraneo all'oggetto delle controversie contrattuali evocate, non potendosi configurarsi quale datore di lavoro della ricorrente. Sulla base della giurisprudenza indicata, poi, ha eccepito che le condotte esposte nel ricorso non costituiscono comportamenti persecutori o vessatori e non possono determinare uno stress lavorativo c.d. 'straining'.


Contesta, altresì, integralmente tutti i fatti esposti da controparte nel ricorso introduttivo.


Eccezione di difetto di legittimazione passiva


Va rigettata posto che in via astratta è ipotizzabile un'eventuale responsabilità a titolo extracontrattuale del Dott. M. per le condotte asseritamente da lui tenute, in qualità di superiore gerarchico e responsabile della funzione presso la quale prestava servizio la ricorrente.


Merito


Pare doveroso l'esame anche degli ultimi arresti giurisprudenziali in tema di straining, al fine di focalizzare al meglio l'oggetto del contendere ed operare successivamente un'opera di confronto della fattispecie concreta rispetto ai criteri fissati dalla giurisprudenza di legittimità.


Lo straining lavorativo viene definito come quella forma di stress a cui un superiore sottopone un dipendente con l'intento di discriminarlo. A differenza del mobbing nello straining non sono necessarie vessazioni reiterate e sistematiche, essendo sufficienti comportamenti vessatori che, seppur non continuativi e costanti, determinano nel dipendente uno stato di oppressione e grave disagio.


La definizione sopra richiamata è confermata dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 3977/2018 la quale afferma che 'lo straining è un comportamento vessatorio nei confronti del dipendente, finalizzato a opprimerlo e mortificarlo, seppur senza carattere di continuità. Dunque, è una situazione attenuata rispetto al mobbing.'


La stessa Corte evidenzia come questo danno da straining sia un danno risarcibile 'ai sensi dell'art.2087 c.c. norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute, sia dei principi di buona fede e correttezza cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possono ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative ' stressogene' c.d. straining e a tal fine il giudice del merito, qualora accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto, possano presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno.'


Da un punto di vista squisitamente probatorio, nonostante non sia richiesta la prova dell'intento persecutorio 'comunque il ricorrente deve provare la sussistenza del danno, la nocività dell'ambiente lavorativo e il nesso causale tra le due' (Cass. n. 24883/2019).


Sempre la Corte di Cassazione offre tutta una serie di parametri per poter affermare la configurabilità dello straining, il quale si atteggia come una forma attenuata di mobbing ' per la cui configurabilità sono necessari sette parametri: l'ambiente lavorativo', ovvero il comportamento ostile deve verificarsi sul posto di lavoro, 'la frequenza anche isolata con effetti duraturi la durata di almeno 6 mesi; il tipo di azioni rientranti in una determinata catalogazione; il dislivello tra antagonisti in cui la vittima è in una posizione di inferiorità gerarchica; l'andamento secondo fasi successive, l'intento persecutorio o l'obiettivo discriminatorio.'


Recentemente la Corte d'Appello di Brescia sezione lavoro con la sentenza n. 245 del 22 febbraio 2022 ha statuito che 'Il lavoratore deve sempre dedurre compiutamente e provare le circostanze rilevanti, anche ai più limitati fini dell'integrazione della condotta di straining, dovendo ritenersi, ai sensi dell'art. 2087 c.c., che gravi sul lavoratore che lamenti di avere subito un danno alla salute, a causa dell'attività lavorativa svolta, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra e, solo se il lavoratore abbia fornito tale prova, sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.'


Orbene, alla luce della giurisprudenza richiamata, nonché dalla documentazione allegata, nel caso di specie non risultano essere dimostrate, neppure astrattamente, condotte tali da integrare una fattispecie di straining così come elaborata dal diritto vivente in precedenza richiamato, ricordandosi che lo straining, a differenza del mobbing, può configurarsi anche con una sola condotta, laddove questa però sia grave e comporti una frustrazione personale o professionale causativa di danno.


La ricorrente si limita, nell'atto introduttivo, a portare in rassegna tutta una serie di episodi alcuni dei quali possono risultare anche sgradevoli, ma a parere di questa giudicante, rientrano comunque nell'alveo di una fisiologica dinamica lavorativa tra soggetti posti in diverso ruolo.


Giova, poi, rilevare che il danno non è stato neppure allegato e non è presente in atti documentazione medica comprovante uno stato patologico suscettibile di essere ricondotto casualmente alle condotte attribuiti al Comandante M., né sono state dedotte variazioni di atteggiamento nella quotidiana vita di relazione tali da potersi configurare come alterazioni psichiche rilevanti ed espressive di sofferenza


A ben vedere, inoltre, le condotte tenute dal convenuto (nell'esercizio delle sue funzioni di responsabile di un servizio e del personale) rientrano all'interno di normali dinamiche lavorative, e possono al più essere ricondotte, in alcuni casi, a negligenze e omissioni non supportate dall'elemento soggettivo, né da un intento persecutorio/vessatorio nei confronti della ricorrente.


L'episodio che è stato attribuito al M. e che può astrattamente configurarsi come più grave riguarda le espressioni utilizzate da quest'ultimo nel corso della riunione del 29 marzo 2018, espressioni riferite alla ricorrente e ad altri due agenti. Nello specifico, come risulta dalla registrazione contenuta su supporto usb presente in atti, il Comandante prima riprendeva tutti gli addetti al servizio per lo scarso impegno profuso durante l'esecuzione di alcuni incarichi e poi richiamava in particolare la ricorrente e altri due agenti che a suo dire facevano gruppetto e si limitavano a fare lo stretto necessario.


Nell'ambito di questa notazione il M. usa un tono pacato e un linguaggio che resta sempre nell'ambito della continenza verbale e soprattutto non prende a riferimento solo il comportamento a suo dire tenuto dalla G., ma anche quello di altri colleghi.


Preme a tal proposito sottolineare un recentissimo approdo giurisprudenziale, cristallizzato nell'ordinanza n. 24339 del 5 agosto del 2022 emessa dalla Corte di Cassazione, nella quale si afferma che 'Le divergenze con il capo, finché si resta nei toni urbani, non possono essere considerate "straining", lo stress in ambiente di lavoro. E dunque non fonte di quello stress tanto accentuato da sfociare in una malattia.'


L'episodio sopra citato, come altri dettagliatamente riportati nel ricorso (quali ad esempio la ritardata consegna del tesserino di servizio, dei pantaloni estivi e del giaccone invernale, invero riferibili anche ad altri colleghi della ricorrente), l'aver assegnato in alcuni frangenti la ricorrente a un servizio senza l'ausilio di un collega, ecc., non sono in grado di esprimere un comportamento anomalo tale da determinare una situazione stressogena in dispregio dei diritti fondamentali della dipendente.


Sempre nella sentenza degli ermellini sopra citata (n. 24339/2022), che ben si attaglia con il caso in esame, la suprema Corte aggiunge che 'Basandosi però sulle prove assunte dalla Corte di merito la Cassazione, afferma che il tipo di stress provato non poteva essere fonte di malattia. La situazione fotografata dai giudici è più o meno la fotocopia di quanto avviene in quasi tutti gli ambienti di lavoro, al netto di poche isole felici. Tra l'impiegata e il suo capo c'erano evidenti divergenze. Ma da parte del responsabile del servizio, i toni erano rimasti sempre urbani e non denigratori. È il quadro di un 'vivace' confronto interpersonale sul luogo di lavoro. Non evidenzia la 'nocività', ma solo la dose di 'disagio' quasi inevitabile, ad avviso dei giudici, in condizioni di lavoro comuni. E questo "perché si legge nella sentenza il rapporto interpersonale, specie se inserito in una situazione gerarchica continuativa, è in sé, possibile fonte di tensioni". Ma va escluso che possa sfociare in una malattia del lavoratore "se non vi sia esorbitanza nei modi rispetto a quelli appropriati per il confronto umano".


Ritiene questa giudicante che anche nel asso che ci occupa siamo in presenza di una serie di episodi frutto di divergenze tra l'agente e il responsabile del servizio, i quali possono al più essere fonte di un disagio (che la stessa Cassazione indica come pressoché inevitabile sul luogo di lavoro), disagio non originato però da episodi gravi ed esorbitanti tali da determinare, danno che nel presente ricorso non è stato neppure adeguatamente allegato.


C) l'invalidità, irregolarità, illegittimità ed arbitrarietà della ripartizione del fondo di produttività per l'anno 2019 operata dal Responsabile del Servizio di Polizia Locale della Media Valle Serchio.


Come già espresso nella sentenza resa a definizione del procedimento RG 438/2020, dall'esame della documentazione acquisita e della normativa sul punto emerge che i Comuni svolgono le funzioni di polizia locale ai sensi dell'art. 1 della Legge n. 65/1986 e, a tal fine, può essere appositamente organizzato un servizio di Polizia Municipale, che i Comuni possono anche gestire in forma associata.


L'art. 7, della suddetta legge prevede che, qualora il servizio sia espletato da almeno 7 addetti, possa essere istituito il Corpo di Polizia Municipale, dalla cui costituzione discende la disciplina dello stato giuridico del personale con apposito regolamento. Nel caso poi di costituzione del servizio in forma associata (come nel caso che ci occupa), il relativo atto costitutivo dovrà disporre l'adozione di un regolamento, fissandone i contenuti essenziali.


Orbene, all'art. 5 della Convenzione costitutiva del Servizio Associato di Polizia Locale della Media Valle del Serchio viene sancito che: 'la sede dell'ufficio associato di Polizia Locale è stabilita presso la sede del Comune di Borgo a Mozzano, al quale è conferito il ruolo di Ente Responsabile della gestione associata.'


Inoltre, per quanto concerne la determinazione del documento programmatico per gli indirizzi e gli obiettivi strategici del servizio associato, è competente la Conferenza dei Sindaci e alla Conferenza partecipa, se richiesto, il Responsabile del Servizio associato con funzioni consultive, così come stabilito dall'art. 6 della Convenzione.


Segue l'art. 7 per cui lo svolgimento del servizio associato è disciplinato da un apposito regolamento approvato dal comune di Borgo a Mozzano (adottato previo parere favorevole dei comuni aderenti) e che, nelle more, sarà applicato il regolamento del Comune di Borgo a Mozzano, per quanto compatibile.


Per quanto attiene al personale l'art. 8 previsa che lo stesso appartiene funzionalmente all'ufficio associato, ma mantiene il proprio rapporto organico con l'ente di appartenenza.


Infine, con particolare riferimento all'assegnazione dell'indennità aggiuntiva, legata alla ripartizione del fondo di produttività, emerge dalla lettura dell'art. 9 (che elenca le attribuzioni del Responsabile dell'Ufficio associato mediante anche un rinvio a quanto contenuto nell'art. 107 TUEL) che a tale Responsabile spettano la gestione amministrativa finanziaria e tecnica, nonché poteri autonomi di spesa e di organizzazione per conto di tutti i comuni associati.


Sulla base di questa premessa di carattere generale, volta a delineare i soggetti coinvolti nonché le attribuzioni e le funzioni loro assegnate, va evidenziato che nel caso di specie la valutazione del personale è stata effettuata sulla base della deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Borgo a Mozzano n. 87/2013 e in particolare sulla base dell'allegato E contenuto nella stessa (documento n. 6 allegato dalla parte resistente) in conformità rispetto a quanto previsto nel Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.).


All'interno della delibera e nell'allegato sopra citato, vi erano anche dei prestampati raffiguranti modelli di schede valutative.


La diversa ripartizione del fondo, che a detta della parte resistente si è resa necessaria sulla base dell'adesione al servizio dei Comuni di Coreglia e Gallicano, è stata effettuata mediante la determinazione del Servizio Associato di Polizia Locale della Media Valle del Serchio n. 181/2018 la quale ha previsto la corresponsione di indennità a due unità di categoria D e ad un dipendente di categoria C, rispettivamente per particolari responsabilità previste ex art. 17 CCNL (nel primo caso) e per la realizzazione di un progetto obiettivo per attività da realizzarsi in giorni festivi o non lavorativi (nel secondo caso) destinando loro 6.500 euro dei 30.200 totali del fondo.


Risulta non contestato, e pertanto pacifico, quanto affermato da controparte circa la mancata impugnativa della sopra richiamata determina; pertanto, la stessa è da ritenersi pienamente legittima.


Sulla base degli obiettivi contenuti nella delibera n. 87/2013 è stata redatta la scheda di valutazione della ricorrente, alla quale veniva assegnato un punteggio pari a punti 30 corrispondente ad una valutazione 'buona', essendo 40 il massimo del punteggio attribuibile.


La ricorrente lamenta, circostanza confermata anche dalla controparte, di non aver ricevuto le suddette schede di valutazione e quindi di non aver potuto attivare il relativo ricorso gerarchico, nonché l'arbitrarietà nell'assegnazione dei punteggi sulla base dei criteri seguiti ed indicati nell'allegato E, e della mancata concertazione degli obiettivi, i quali dovevano essere concordati con le rappresentanze sindacali, in violazione dell'art. 7 del CCNL 2016/2018.


Tutto questo avrebbe determinato la violazione del diritto della G. a percepire una quota del fondo di produttività per l'anno 2018 basata su parametri concreti e trasparenti e soprattutto adeguati all'attività del servizio svolto.


Come già affermato nella pronuncia resa nel procedimento RG 438/2020, si rimarca che non si può parlare nel caso di specie di violazione di un diritto soggettivo giacché, come da costante giurisprudenza: 'in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la retribuzione di posizione (e di risultato) ha natura squisitamente contrattuale ed è corrisposta dall'amministrazione una volta attivati i necessari passaggi negoziali contemplati dalla legge e consistenti nell'attribuzione delle responsabilità, nell'assegnazione degli obiettivi e nella determinazione dei parametri per definirne il raggiungimento; ne consegue che dalla previsione di una retribuzione di risultato non discende in capo al potenziale destinatario della stessa un diritto soggettivo.' Cass. Sez. Lav. n. 1382/2019.


Pertanto, la ricorrente può vantare al massimo una legittima aspettativa, una possibilità di ottenere quanto richiesto, dando la dimostrazione della perdita di chance consistente nella mancata attribuzione del premio di risultato, nel caso di specie nell'attribuzione massima del premio.


Infatti, è noto come la c.d. perdita di chance è un danno non già attuale, ma futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale.


Esso, dunque, consiste in una concreta ed effettiva occasione perduta di conseguire un determinato bene, non in una mera aspettativa di fatto, ma in un'entità patrimoniale assestante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione autonoma, che deve tenere conto della proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto. 'La sussistenza di un tale pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale, esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità della sua esistenza.' Cass. Ordinanza n. 2293/2018.


Passando al dato probatorio richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata, esso si deve attestare su un grado di certezza o di elevata probabilità di un pregiudizio certo: esaminando le allegazioni e le prove a supporto prospettate dalla ricorrente, nonché le richieste istruttorie in tal senso e i capitoli di prova indicati in ricorso, si evidenzia come anche volendo ritenere illegittima la valutazione nei suoi confronti per la mancata predeterminazione degli obiettivi che avrebbero dovuto esser concordati coinvolgendo le parti sociali, i mezzi di prova offerti non sono in grado di soddisfare l'onere di prova richiesto, e questo quand'anche le circostanze allegate e prospettate dalla ricorrente trovassero conferma in sede istruttoria.


Nel dettaglio la ricorrente afferma:


'Nel corso del 2018 la ricorrente ha dunque prestato attività lavorativa presso il servizio associato di Polizia Municipale di Borgo a Mozzano, svolgendo le seguenti attività: viabilità scuole controlli anagrafici di residenze, cambi residenze, cancellazioni, irreperibilità notifiche spunta mercati e riscossioni suolo pubblico controllo soste irregolari posti di controllo redazione verbali Cds/amministrativi regolamentazione traffico velox targa system pronto intervento con rilievo sinistri stradali TSO ASO apertura al pubblico degli uffici distaccati di P.M. nei comuni associati presenza ai consigli comunali verifica segnalazioni di vario genere (abbandono rifiuti, sopralluoghi per rilascio passi carrabili, presenza cani vaganti, siepi/alberi sporgenti ecc..) controllo e viabilità manifestazioni.


Queste attività sono state eseguite da G. S. su tutto il territorio dei 5 comuni associati eseguendo gli ordini/compiti assegnati, collaborando con tutti i Colleghi, rispettato l'orario settimanale ed è stata puntuale nell'ingresso e nell'uscita senza mai ricevere richiami verbali oppure provvedimenti disciplinari scritti'. Ciò posto, i capitoli di prova per testi sono volti ad ottenere una sostanziale conferma circa le attività sopra richiamate.


Orbene, stante l'elevato grado di professionalità che in teoria dovrebbe essere comunque richiesto, tenendo ferme le valutazioni già effettuate nei confronti della G. (che comunque si attestavano su un giudizio positivo) non è possibile dimostrare con elevato grado di probabilità che la ricorrente possa ottenere, sulla base delle allegazioni prospettate, un punteggio talmente alto tale da rientrare nella fascia di massimo riconoscimento dell'indennità aggiuntiva: l'aver svolto tutti i servizi assegnati, rispettando l'orario di lavoro, l'eseguire tutti gli ordini che gli sono stati impartiti e il non aver ricevuto richiami o provvedimenti disciplinari, così come prospettato dalla ricorrente, non sono di per sé sufficienti a coltivare la legittima aspettativa a vedersi riconosciuto il massimo del punteggio attribuibile.


Le spese di lite


Vista la compensazione integrale già riconosciuta riguardo alla domanda per la ripartizione del fondo per le carenze endoprocedimentali nella determinazione del fondo di produttività, esse sono compensate per la metà e per il resto sono poste a carico della ricorrente e liquidate in dispositivo ex DM 55/2014 come modificato dal DM 147/2022 nei minimi dello scaglione di riferimento e tenendosi conto dell'attività svolta


P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:


- rigetta il ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto.


Condanna altresì la ricorrente a rimborsare al resistente la metà delle spese di lite, che si liquidano, per tale parte in E 1845,00 oltre rimborso spese forfetario IVA e CPA come per legge, compensata la restante metà


Lucca, 15 dicembre 2022