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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI GENOVA
SEZIONE LAVORO
La Corte, composta da:
SENTENZA
Sull'appello proposto da:
M.M. (c.f. (...)), rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso in appello, dall'Avv. Andrea
Bava del Foro di Genova (c.f. (...); pec: avv.andreabava@certmail.cnf.it), elettivamente domiciliata
nel suo Studio in Genova, Via Sottoripa 1A/35
appellante
CONTRO
Ministero dell'Interno (c.f. (...)), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, presso i cui uffici in Genova, Viale Brigate
Partigiane 2, è domiciliata
appellato
Svolgimento del processo
Con ricorso innanzi al Tribunale di Genova, in funzione di giudice del lavoro, il M.llo dei Carabinieri M.M.
conveniva in giudizio il Ministero dell'Interno affinché venisse condannato a riconoscergli i benefici
previsti dall'articolo 1, comma 563, della L. n. 266 del 2005 in favore delle vittime del dovere.
A sostegno della domanda esponeva che in data 12 ottobre 1997, nel corso del servizio, era stato
aggredito da un individuo che l'aveva colpito in viso con una grossa pietra causandogli lesioni
permanenti. Più precisamente, i fatti avevano avuto il seguente svolgimento: egli era intervenuto,
unitamente ad un collega, sul luogo di un sinistro stradale che aveva coinvolto un'autovettura ed un
cavallo; verificato che in un cespuglio nei pressi vi era un individuo nascosto, il M.llo M. vi si era
avvicinato e a quel punto era uscito allo scoperto un individuo (rivelatosi poi il ladro del cavallo
coinvolto nel sinistro stradale) il quale aveva minacciato di morte sia lui che il suo collega e, subito
dopo, lo aveva aggredito tentando inoltre di sottrargli l'arma di servizio.
Il ricorrente faceva presente di aver subito, da tale aggressione, postumi permanenti e lamentava il
mancato accoglimento, da parte del Ministero dell'Interno, della domanda da lui proposta onde
ottenere il riconoscimento dello status di vittima del dovere, ai sensi dell'art. 1, comma 563, della L. n.
266 del 2005.
Costituitosi in giudizio, il Ministero dell'Interno resisteva proponendo in via preliminare un'eccezione di
giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, deducendo l'infondatezzadella domanda in quanto
l'evento dannoso si era verificato nell'ambito dell'ordinaria attività di servizio, non ravvisandosi
dunque specifici elementi di rischio eccedenti il rischio ordinario.
Il Tribunale, con sentenza n. 486/2016, rigettava il ricorso, compensando tra le parti le spese di lite.
In motivazione affermava, preliminarmente, che l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice
ordinario doveva ritenersi infondata sulla base di quanto chiarito dalla S.C. con le pronunce nn.
26626/2007, 26627/2007, 21306/2010).
Venendo al merito, rilevava che la norma di riferimento è costituita dall'art. 1, comma 563, della L. n.
266 del 2005, e dava atto che la casistica dei soggetti aventi diritto allo status di vittime del dovere era
stato così esteso, dal legislatore, rispetto alla più limitata cerchia di cui all'art. 1 della L. n. 466 del 1980
che faceva rientrare in tale categoria i soggetti, appartenenti alle forze dell'ordine, " ... deceduti in
attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di eventi connessi
all'espletamento di funzioni d'istituto e dipendentida rischi specificamente attinenti a operazioni di
polizia preventiva o repressiva o all'espletamento di attività di soccorso".
Il Tribunale esaminava poi la disciplina dettata nel comma 564 dell'art. 1 della L. n. 266 del 2005, in
favore dei soggetti equiparati alle vittime del dovere, cioè di "coloro che abbiano contratto infermità
permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di
qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da
cause di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative", e dava atto che con il D.P.R. n.
243 del 2006 è stato precisato che si intendono "per particolari condizioni ambientali od operative, le
condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti
di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie
condizioni di svolgimento dei compiti di istituto".
Nell'interpretare la suddetta disciplina di riferimento il Tribunale affermava la necessità di un
approccio sistematico alla fattispecie onde "evitare una moltiplicazione di prestazioni che non trova
giustificazione nelle soluzioni tecniche adottate sul piano normativo". Richiamava poi Cass. n.
13114/2015, secondo cui "per il riconoscimento dei benefici previsti per i soggetti equiparati alle vittime
del dovere è però necessario ... che i compiti rientranti nella normale attività d'istituto, svolti in
occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, si siano complicati per l'esistenza o per il
sopravvenire di circostanze o eventi straordinari, ulteriori rispetto al rischio tipico ...", evidenziando
che con tale decisione la S.C. aveva escluso che potesse attribuirsi lo status di soggetto equiparato alle
vittime del dovere in favore di chi ha contratto un'invalidità avendo subitoun incidente nello
svolgimento delle attività ordinarie connesse al servizio prestato.
Secondo il Tribunale il principio enunciato dalla S.C. con la sentenza suddetta aveva una portata
generale, dovendo applicarsi all'intera categoria delle vittime del dovere.
Sulla scorta di tali considerazioni il giudicante perveniva dunque al rigetto della domanda, affermando
che non erano nella fattispecie ravvisabili i presupposti di cui al citato comma 563, e che era altresì da
escludersi la sussistenza di un rischio specifico non meramente connesso alle ordinarie attività di
istituto.
Avverso la sentenza proponeva appello M.M., censurandola laddove aveva escluso che la fattispecie in
esame fosse riconducibile alle ipotesi di cui al citato art. 1, comma 563, della L. n. 266 del 2005.
Costituitosi in giudizio, il Ministero dell'Interno resisteva, sollecitando la conferma dell'impugnata
sentenza.
Questa Corte, ritenutane la necessità, espletava c.t.u. medico-legale onde verificare la percentuale di
invalidità complessiva subita dall'appellante a seguito dell'aggressione per cui è causa, invitando il
C.t.u. a quantificare detta percentuale sulla base dei criteri di cui al D.P.R. n. 181 del 2009. All'udienza
del 12 maggio 2017, acquisito l'elaborato del C.t.u. ed ascoltate le conclusioni delle parti, emetteva
l'allegato dispositivo.
Motivi della decisione
Nel presente grado di giudizio non è stata riproposta l'eccezione di carenza di giurisdizione né sono
state specificamente censurate le argomentazioni formulate sul punto dal Tribunale; appare comunque
opportuno richiamare le pronunce nn. 23300/16, 23396/16, 759/2017 e 10791/2017 con cui la S.C. ha
affermato, nella presente materia, la giurisdizione del giudice ordinario.
Venendo dunque alle questioni di merito, si ritiene che l'appello sia fondato.
Secondo il giudice di primo grado non sarebbero nella fattispecie integrati i presupposti di cui all'art. 1,
comma 563, della L. n. 266 del 2005.
Il Tribunale afferma infatti che le lesioni per cui è causa non sono state riportate nello svolgimento
delle attività tassativamente previste dal legislatore nella norma suddetta, bensì nell'espletamento dei
normali servizi di istituto. Nell'impugnatasentenza si afferma inoltre che l'attività di servizio svolta
dall'odierno appellante (al momento in cui egli subì l'aggressione) era priva del carattere di particolare
rischio esulante dalle normalità delle funzioni istituzionali.
Al fine di valutare la fondatezza di tale prospettazione è opportuno richiamare l'art. 1, commi 562 e 563,
564, 565 della L. n. 266 del 2005, che recita:
"562. Al fine della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della
criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere individuate ai sensi dei commi 563 e 564, è
autorizzata la spesa annua nel limite massimo di 10 milioni di euro a decorrere dal 2006."
563. Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'articolo 3 della L. 13 agosto 1980, n.
466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invaliditàpermanente
in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni
riportate in conseguenza di eventi verificatisi:
a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;
b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;
c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;
d) in operazioni di soccorso;
e) in attività di tutela della pubblica incolumità;
f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionalenon aventi,
necessariamente, caratteristiche di ostilità.
564. Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità
permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di
qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da
causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.
565. Con regolamento da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della L. 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro
dell'interno, di concerto con il Ministro della difesae con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono
disciplinati i termini e le modalità per la corresponsione delle provvidenze, entro il limite massimo di
spesa stabilito al comma 562, ai soggetti di cui ai commi 563 e 564 ovvero ai familiari superstiti".
Il regolamento di cui al comma da ultimo indicato è stato poi emesso con il D.P.R. n. 243 del 2006
("Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del
dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore
delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell'articolo 1, comma 565, della L. 23 dicembre
2005, n. 266") che, all'art. 1, recita:
"1. Definizioni. 1. Ai fini del presente regolamento, si intendono:
a) ...;
b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall'autorità
gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente;
c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l'esistenza od
anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a
maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto."
Dalle disposizioni suddette emerge che solo in relazione ai soggetti di cui al comma 564 dell'art. 1 cit. è
richiesto il requisito delle "particolari condizioni ambientali od operative"; requisito che, secondo la
precisazione fornita dal D.P.R. n. 243 del 2006, è integrato quando sussistono "circostanze
straordinarie" e "fatti di servizio" che abbiano esposto il dipendente a "maggiori rischi o fatiche in
rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto".
Pertanto il caso in esame non rientra tra quelli disciplinati dall'art. 564 della L. n. 266 del 2005 (che
estende, a determinate condizioni, i benefici previsti nel precedente comma 563), bensì tra quelli
disciplinati dal precedente comma 563; norma che, nell'individuarei beneficiari della tutela, richiama i
soggetti indicati dall'art. 3 della L. n. 466 del 1980, tra i quali sono compresi gli appartenenti all'Arma
dei Carabinieri.
L'interpretazione suddetta trova il conforto di Cass. n. 10791/2017.
Con tale pronuncia, relativa alle lesioni subite da un dipendente della Polizia di Stato la S.C. ha così
argomentato:
"2.1. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dei commi 560 e 264 dell'art.
1 L. n. 266 del 2005, per non avere la sentenza impugnata considerato che la condizione di "vittima del
dovere" (cui conseguono i benefici riconosciuti in sede di merito) sussiste soltanto in presenza di
eventi eccedenti il rischio ordinario e istituzionale connesso alle funzioni svolte, costituendo quid
pluris rispetto alla situazione che dà luogo al riconoscimento della causa di servizio.
2.2. Il motivo è infondato.
Ai fini dell'attribuzione dei benefici previsti per le vittime del dovere il già cit. D.P.R. n. 243 del 2006
definisce, all'art. 1, lett. b) e c), le missioni come quelle " ... di qualunque natura ... quali che ne siano gli
scopi, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente" e le
particolari condizioni ambientali od operative "le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche
il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a
maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di Istituto".
Su tali basi la giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. S.U. n. 759/17; Cass. S.U. n. 23396/16; Cass. n.
13114/15) ha statuito che l'attribuzione dei benefici di cui all'art. 1, commi 563 e 564, della L. n. 266 del
2005 presuppone che i compiti rientranti nella normale attività di Istituto, svolti in occasione o a
seguito di missioni di qualunque natura, si siano complicati per l'esistenza o per il sopravvenire di
circostanze o eventi straordinari ulteriori rispetto al rischio tipico ontologicamente e ordinariamente
connesso a queste attività.
Tali precedenti, però, riguardano le missioni di qualunque natura, vale a dire quelle cui si riferisce il
comma 564, solo per le quali è previsto che l'invalidità o il gesto dipendano da cause di servizio " ... per
le particolari condizioni ambientali od operative".
Nel caso in esame, invece, la sentenza impugnata ha correttamente rilevato che il comma 563, a
differenza del comma successivo, non prevede la presenza d'un rischio specifico diverso da quello
insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l'evento dannoso si sia
verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico.
In tale ipotesi rientra nel caso di specie, in cui il controricorrente ha riportato l'invalidità a seguito d'un
sinistro stradale occorsogli mentre si accingeva ad inseguire un giovane, che il rapporto di uno scooter,
sospettato di essere autore di vari furti con strappo come nei giorni precedenti."
Alla luce di quanto sopra deve disattendersi l'assunto del Tribunale secondo cui gli specifici requisiti
previsti dal legislatore in relazione ai soggetti equiparati alle vittime del dovere avrebbero portata più
generale e dovrebbero dunque estendersi alla categoria delle vittime del dovere. Come chiaramente
espresso dalla S.C. nella succitata sentenza 10791/2017, è invece sufficiente che l'evento dannoso si sia
verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico (e,
più in generale, in conseguenza delle varie tipologie di eventi previsti dall'art. 1, comma 563, della L. n.
266 del 2005). Né può ritenersi necessaria la presenza di un rischio specifico diverso da quello insito
nelle ordinarie funzioni istituzionali.
Inquadrata così la fattispecie nell'ambito dei casi di cui all'art. 1, comma 563 cit., deve focalizzarsi
l'attenzione sulle particolari ipotesi ivi previste, senza prendere invece in considerazione gli ulteriori
requisiti di cui al successivo comma 564 giacché non rilevanti nel caso di specie.
Occorre dunque verificare l'evento dannoso subito da M.M. si sia verificato nell'espletamento delle
funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di uno degli eventi previsti dal
comma 563, art. 1, L. cit.
Il Tribunale l'ha esplicitamente escluso, evidenziando che l'aggressione subita dall'odierno appellante
avrebbe potuto dirigersi verso un agente della polizia stradale o municipale chiamato ad eseguire i
rilievi sul luogo del sinistro veicolare.
Questa Corte territoriale dissente da tale interpretazione.
Ed invero, quello che era nato come un mero sopralluogo, relativo ad un sinistro stradale, ha assunto
una connotazione diversa nel momento in cui il M.llo M. ha trovato, nascosto in un cespuglio, il
soggetto che aveva poco prima rubato il cavallo rimasto coinvolto nel sinistro; soggetto il quale,
proprio per sottrarsi alla cattura, l'ha minacciato e colpito con una pietra, cercando inoltre di sottrargli
l'arma di ordinanza, ed è stato infatti denunciato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.
Questa Corte ritiene condivisibile la prospettazione dell'appellante secondo cui "anche se la scoperta
del malfattore fu casuale, e occasionata da un normale intervento legato a un incidente, la situazione
poi verificatasi non poteva essere riduttivamente ricondotta al semplice intervento di "viabilità" che
occasionò l'intervento, e le ferite riportate nella colluttazione con il malvivente dovevano essere legate
alla decisa reazione del ricorrente e del Collega all'intervento minaccioso del medesimo, finalizzato ad
impedire la fuga di chi, vistosi casualmente scoperto, aveva provato a disarmare i Carabinieri
aggredendoli".
Può dunque affermarsi che l'aggressione si è verificata mentre il M.llo M. svolgeva un'attività di
contrasto della criminalità, risultando così integrata l'ipotesi dicui all'art. 1, comma 563, lettera a),
della L. n. 266 del 2005.
L'espletata c.t.u. ha confermato che l'odierno appellante ha subito, a seguito dell'aggressione
suddetta, postumi invalidanti (circostanza, peraltro, incontestata). Sulla base dei criteri di cui al D.P.R.
n. 181 del 2009 l'invalidità complessiva è stata determinata in misura del 36%; il C.t.u. ha all'uopo
precisato di aver valutato l'invalidità permanente (IP) nel 30%, il danno biologico(DB) nel 18% e il
danno morale nel 6%, applicando poi la formula IC=DB+DM+(IP-DB) e, quindi, 18+6+(30-18)=36%. Le
conclusioni del C.t.u., non contestate da alcuna delle parti, possono essere recepite ai fini della
presente decisione giacché congruamente motivate nonché frutto di attento esame della fattispecie.
Consegue da quanto sopra che, in riforma dell'impugnata sentenza, M.M. ha dirittoad essere inserito,
quale vittima del dovere, nella graduatoria unica di cui all'art. 3, 3 comma, del D.P.R. n. 243 del 2006,
nonché a percepire i relativi benefici di legge da commisurarsi ad un'invalidità complessiva del 36%.
Le spese di lite dei due gradi seguono il principio di soccombenza, ex art. 91 c.p.c., e si liquidano nella
misura specificata in dispositivo. Il Ministero dell'Interno va altresì condannato al pagamento delle
spese di c.t.u., liquidate come da separato provvedimento.
P.Q.M.
In riforma dell'impugnata sentenza, dichiara tenuto e, per l'effetto, condanna ilMinistero dell'Interno a
riconoscere a M.M. lo status di vittima del dovere ai sensi dell'art. 1, comma 563, della L. n. 266 del
2005, ed a corrispondergli i conseguenti benefici di legge da commisurarsi ad un'invalidità complessiva
del 36%; dichiara inoltre il diritto del ricorrente ad essere inserito nella graduatoria unica di cui all'art.
3, 3 comma, del D.P.R. n. 243 del 2006;
condanna il Ministero dell'Interno alla rifusione, in favore di M.M., delle spese dei due gradi del
giudizio; spese che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per il primo grado ed Euro 4.000,00 per il
secondo grado, oltre a quanto spettante per spese generali, IVA e CPA.
Pone a carico del Ministero dell'Interno il pagamento delle spese di c.t.u., liquidate come da separato
provvedimento.
Conclusione
Così deciso in Genova, il 12 maggio 2017.
Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2017.