La sezione lavoro del Tribunale di Napoli Nord, in un giudizio patrocinato dallo studio Migliaccio, ha condannato la società che agisce a marchio Mondo Convenienza al versamento di ingenti differenze retributive.
Segue il testo della sentenza:
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NAPOLI NORD
Sezione lavoro
nella persona della dott.ssa Raffaella P. ha pronunciato, a seguito di deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza del 9.10.2024 in base all’art. 127 ter c.p.c., la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 4408/2021 R.G. LAVORO
TRA
DI V. CARMINE (c.f.: OMISSIS), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Roberto Migliaccio e Michele Scognamiglio, come da procura in atti.
RICORRENTE
E
I. MOBILI S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. MM, DDFe dall’Avv. FD’A
RESISTENTE
NONCHE’
P. VALTER, (C.F. OMISSIS), nato a Roma il 04.11.1972 ex socio della cessata E. Trasporti, rappresentato e difeso dall'Avv.to RF
RESISTENTE
OGGETTO: differenze retributive e risarcimento danni. Azione di responsabilità solidale negli appalti ex art. 29, 2° comma, d.lgs. 276/2003.
CONCLUSIONI: come in atti.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
Con ricorso depositato in data 22/04/2021, il ricorrente in epigrafe indicato, dipendente della E. TRASPORTI SOCIETA’ COOPERATIVA e operante nell’appalto che la società aveva con LR
S.r.l., poi fusa per incorporazione con la I. Mobili S.r.l., ha chiesto il pagamento delle differenze retributive indicate nei conteggi allegati al ricorso a titolo di differenze ordinarie per superiore inquadramento, nonché a titolo di straordinario svolto e ulteriori somme indicate in ricorso a titolo di risarcimento danno per violazione del diritto di privacy; danno da usura psico-fisica per eccessivo lavoro straordinario; danno biologico subito in conseguenza del trasporto a mano e senza l’ausilio di alcuna strumentazione.
Instaurato il contraddittorio si sono costituite, la E. trasporti società Cooperativa e I. Mobili s.r.l. chiedendo, con diffuse argomentazioni, il rigetto del ricorso.
Istruita la causa con prova orale e documentale, all’udienza del 19.12.2022, attesa la cancellazione della cooperativa E. trasporti dal registro delle imprese, è stata dichiarata l’interruzione del giudizio.
Nel corso del giudizio, il ricorrente ha riassunto la causa anche nei confronti di Valter P., quale ex socio della cessata E. Trasporti, estendendogli le domande inizialmente spiegate nei confronti della medesima cooperativa.
L’ex socio della Cooperativa, Valter P., si è costituito in giudizio e ha chiesto, con diffuse argomentazioni, il rigetto del ricorso.
All’esito della trattazione scritta sostitutiva dell’udienza in base all’art. 127 ter c.p.c., verificata la rituale comunicazione del decreto per la trattazione scritta a tutte le parti costituite, viste le note depositate, il Giudicante ha deciso la causa con sentenza.
Va, preliminarmente, rilevato che sensi dell’art. 2495 c.c., comma III, “ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.
Invero, con la cancellazione della società dal Registro delle imprese si determina la definitiva estinzione della stessa senza il venir meno di ogni rapporto giuridico ad essa facente capo poiché laddove residuino creditori da soddisfare questi potranno agire nei confronti dei soci della dissolta società che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti pendente societate, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente.
La ratio della norma citata è quella di impedire che la debitrice possa, attraverso la cessazione unilateralmente disposta, far venir meno i propri debiti, recando così danno ai creditori insoddisfatti.
Sussiste, dunque, un meccanismo successorio, secondo il quale le obbligazioni sociali si trasferiscono ai soci, i quali risponderanno esclusivamente nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, senza che sorga alcun pregiudizio nei confronti dei creditori, poiché anche se non vi fosse stata la
cancellazione della società, il patrimonio sociale sarebbe stato ugualmente incapiente rispetto ai crediti inadempiuti.
Da ciò deriva che il creditore dovrà allegare e provare la distribuzione dell'attivo sociale e la riscossione da parte dell’ex socio di una quota di esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio.
Tanto premesso, in relazione alle domande proposte dal ricorrente nei confronti di Valter P., nella qualità di ex socio della cancellata E. Trasporti, va rilevato che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 6070/2013; 6071/2013; 6072/2013) si è pronunciata sugli effetti riscontrabili in capo alla società ed ai soci a seguito di intervenuta cancellazione della società dal Registro delle imprese.
In particolare, con riferimento alla prima delle sentenze citate, la Corte ha specificato, con orientamento condivisibile, che con l'estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non possono estinguersi anche i debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo, poiché, se così fosse, si finirebbe appunto col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui, e ciò è ancor più inammissibile considerando che l'art. 2492 c.c. nulla prevede circa la possibilità per il creditore di proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione.
La Cassazione ha, pertanto, rilevato che i soci saranno destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all'esito della liquidazione, fermo però il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità di cui all’art. 2495 c.c., tanto in base ad un meccanismo successorio secondo il quale “il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva dei socio medesimo” (Corte di Cassazione a Sezioni Unite sent. 6070/2013).
Applicando nella fattispecie in esame i principi sopra riportati, ritiene il Giudicante che possano esservi situazioni senza dubbio meritevoli di tutela, tali da determinare la necessità di instaurare un contraddittorio giudiziale con gli ex soci della società cancellata, in capo ai quali sussiste legittimazione passiva.
Invero, il limite di responsabilità dei soci di cui all' art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull'interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale,
potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci.
Nel caso specifico, ciò non è stato allegato dal ricorrente né risulta che la cancellazione della E. Trasporti dal Registro delle Imprese sia avvenuta con distribuzione di attivo sociale ad alcuno degli ex soci della Cooperativa, data l’insussistenza del patrimonio netto di liquidazione.
Per altro verso, il ricorrente può agire direttamente, ai sensi dell’art. 29, secondo comma, d. lgs 276/2003, nei confronti del committente dell’opera eseguita in appalto dalla società cancellata e propria datrice di lavoro, ponendo in essere così un’azione diretta nei confronti del patrimonio del terzo.
La predetta norma invocata dal ricorrente non deroga dunque alla regola della scindibilità delle cause nei confronti di soggetti che si ritengano coobbligati in via solidale, poiché la loro comunanza non esclude l’esistenza di tanti rapporti obbligatori quanti sono i debitori [cfr. Cass., sez. un., 14700/2010].
Da questi convergenti principi deriva la possibilità che, anche dopo la cancellazione della datrice di lavoro dal Registro delle Imprese, la causa prosegua nei confronti del soggetto convenuto in qualità di committente, ai sensi dell’art. 29 citato.
Appare, quindi, evidente sulla base delle stesse allegazioni attoree e della documentazione in atti che, nel caso in esame, non sussisteva alcun interesse del ricorrente a proseguire il giudizio nei confronti degli ex soci della datrice di lavoro non potendo detti soci rispondere dei debiti della società per mancata distribuzione di attivo di bilancio (cfr. doc. all. 12 e 14 della memoria del resistente, ove risulta che il bilancio finale di liquidazione della E. Trasporti si è chiuso in perdita e che i soci della cennata cooperativa non sono stati destinatari di alcuna ripartizione di somme o utile all’esito dello stesso).
Alla stregua delle predette argomentazioni, le domande del ricorrente nei confronti del P., nella qualità di ex socio della E. Trasporti vanno, quindi, rigettate.
Quanto, invece, alle domande nei confronti della I. Mobili s.r.l., si osserva che il ricorrente si è rivolto al Tribunale di Napoli Nord, in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo quanto segue: che in data 1.7.2017 era stato assunto alle dipendenze della E. Trasporti ed inquadrato come operaio di III livello del CCNL Multiservizi, con qualifica di “addetto alla conduzione di autoveicoli [c.d. “capofurgone”] e al montaggio”, nonché alle “attività strumentali e correlate al ruolo finalizzate alla realizzazione degli obiettivi della Società”; di aver prestato la propria attività lavorativa esclusivamente in ordine ed in esecuzione dei contratti di appalto intercorsi tra la I. Mobili (committente) e la E. Trasporti società cooperativa (datrice di lavoro ed appaltatore); che la I. Mobili S.r.l. (di seguito, anche, “I.” o “I. Mobili”) è una società che svolge attività di commercio mobili e materiali per l'edilizia, nonché di arredi, casalinghi, attrezzature e complementi per l’arredo,
sotto il marchio “Mondo Convenienza”; che la I. - fusa per incorporazione con la LR S.r.l - svolgeva attività di trasporto, consegna e montaggio mobili; che la prestazione era sempre stata eseguita in via esclusiva in favore della I. Mobili ed in virtù di due contratti di appalto, identici nel contenuto, stipulati dalla E. Trasporti, il primo con LR S.r.l. (oggi I. Mobili S.r.l.) e avente decorrenza dall’1/7/2017 al 30/06/2018 e il secondo con la I., con decorrenza dall’1/07/2018 al 30/06/2019; che quest’ultimo contratto era stato prorogato fino al 29.02.2020 ed era ancora in corso, in virtù di ulteriore proroga senza soluzione di continuità.; che aveva lavorato ogni giorno dalle 6.00 alle ore 19/19:30, per non meno di 12/13 ore al giorno secondo le modalità specificate in ricorso.
Lamentava l’istante il diritto all’inquadramento nel 4° livello CCNL MULTISERVIZI (anziché nel 3° livello) con le relative differenze sulla retribuzione ordinaria; il diritto all’indennità di cassa e maneggio denaro, prevista dal C.C.N.L. Multiservizi all’art. 24; le differenze per il lavoro straordinario effettivamente svolto; le differenze per TFR; il risarcimento del danno differenziale per lavoro usurante; risarcimento del danno per violazione del diritto di privacy per controlli illegittimi e non autorizzati.
Ciò premesso, la domanda attorea nei confronti della I. Mobili s.r.l. merita parziale accoglimento, per le ragioni che saranno di seguito illustrate.
È pacifico tra le parti oltre che documentalmente provato che il ricorrente ha lavorato per la società E. Trasporti dal 1° luglio 2017 al dicembre 2020, prestando l’attività di “autotrasportatore montatore” (cfr. contratto di assunzione e buste paga in atti).
È, altresì, pacifico che tra tale società e LR s.r.l. (oggi I. Mobili s.r.l.) è stato stipulato un contratto di trasporto e montaggio di mobili col marchio “Mondo Convenienza” per il periodo 1.7.2017 – 30.6.2018. Tale contratto è stato denominato dalle parti stesse “di appalto di servizi” e ha obbligato l’appaltatrice a dotarsi di un’organizzazione propria di persone e mezzi per eseguire i servizi conferiti dalla committente; i servizi non erano limitati alla semplice consegna di merci, ma implicavano la messa a disposizione di automezzi e personale, la formazione di equipaggi, l’adozione e il rispetto di un piano di lavoro, il montaggio, il versamento degli incassi secondo una procedura prestabilita.
È, infine, pacifico che tra la I. Mobili s.r.l. e la E. Trasporti è stato stipulato un successivo contratto di appalto avente il medesimo oggetto del precedente anche per il periodo 1.7.2018 -30.6.2019, contratto poi successivamente prorogato.
La qualificazione attribuita dalle parti al contratto nella sua intestazione è dunque fedele alla causa che esse hanno modellato nel testo dell’accordo [cfr. Cass., sez. II, 11430/1992].
Quale soggetto che ha conferito un vero e proprio servizio in appalto, I. Mobili ha assunto la responsabilità prevista dall’art. 29, secondo comma, d. lgs 276/2003 per i debiti contratti da E. Trasporti nei confronti dei propri dipendenti.
Neppure è contestata la circostanza che il ricorrente ha utilizzato nello svolgimento della prestazione un furgone e strumenti di lavoro (compreso il tablet) recanti il marchio “Mondo Convenienza”.
Sulla base della documentazione prodotta in atti nonché delle dichiarazioni dei testi escussi può ritenersi, quindi, provato che il ricorrente ha lavorato alle dipendenze della E. Trasporti esclusivamente nell’ambito dell’appalto del servizio di trasporto e montaggio che questa società aveva con la resistente I. Mobili, appalto la cui esistenza neppure è stata contestata da parte di quest’ultima società.
L’art. 29, comma 2, D. Lgs. 276/2003, così come modificato dalla L. 35/2012, prevede quanto segue: “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussine del patrimonio dell’appaltatore o degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali”.
Dalla lettura del disposto normativo emerge, in primo luogo, la piena legittimazione passiva della committente I. Mobili s.r.l., coobbligata in solido con l’appaltatrice, avendo il ricorrente lavorato esclusivamente nell’ambito dell’appalto in questione ed avendo, quindi, maturato in tale ambito i crediti reclamati nell’odierno giudizio.
La società I. mobili ha eccepito la decadenza del ricorrente dal diritto di avvalersi della invocata responsabilità solidale della committente con riguardo ai crediti maturati fino al 30.6.2018 (data di
cessazione del primo appalto), ritenendo insussistente un’obbligazione solidale a carico della I. per la parte del credito legata al primo appalto, stante il decorso di oltre due anni dalla cessazione del primo contratto.
Tale eccezione non può essere accolta.
Ed, invero, deve ritenersi in questa sede incontestabile che il ricorrente abbia lavorato per E. Trasporti esclusivamente nell'ambito dell'appalto concesso dalla committente sin dal 1.7.2017.
II successivo contratto di appalto intercorso tra la I. e la E. Trasporti in data 1.7.2018 ha avuto, invero, quale effetto quello di far proseguire il contratto di appalto precedentemente in vigore.
Pertanto, la prestazione lavorativa del ricorrente presso tale appalto è proseguita senza alcuna soluzione di continuità, senza alcuna variazione e senza nemmeno alcuna comunicazione da parte della resistente società (circostanza, questa, mai contestata specificamente).
L’appalto intercorso tra la I. e la E. Trasporti, al quale il ricorrente è stato pacificamente adibito in modo costante ed esclusivo per tutta la durata del rapporto di lavoro, rappresenta effettivamente un unicum, così come allegato in ricorso, senza alcuna interruzione o cessazione tale da poter far decorrere il termine di decadenza biennale ex art. 29 L. 276/2003, che presuppone l’effettiva e definitiva “cessazione” del contratto di appalto che, nella specie, per i motivi sopraddetti, non si rileva, atteso che l'appalto è semplicemente proseguito tra le medesime parti.
Del pari, dal chiaro tenore letterale della norma, emerge inoltre che l’eccezione sollevata dalla resistente I., relativamente al beneficio della preventiva escussione, da parte dei lavoratori creditori, del patrimonio dell’appaltatrice, non può precludere né l’accertamento della responsabilità solidale della committente, né la relativa statuizione di condanna (necessaria appunto alla costituzione del titolo da fare valere poi in sede esecutiva), laddove l’avvenuta proposizione della predetta eccezione potrà rilevare solo in fase esecutiva (e non quindi nella presente fase di costituzione del titolo).
La configurabilità della responsabilità solidale in capo alla committente ed all’appaltatrice, proprio in quanto tesa a garantire ulteriormente la posizione dei lavoratori, rispetto alla mera responsabilità della datrice di lavoro per gli obblighi retributivi, nel caso in cui, come in quello in esame, la datrice di lavoro/ appaltatrice sia stata cancellata dal Registro delle Imprese, facoltizza il lavoratore a richiedere una statuizione di accertamento e di condanna anche solo nei confronti della committente coobbligata in solido (v. Cass. SS.UU. 15142/2007), configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo.
Ciò posto, va altresì rilevato che la locuzione “trattamenti retributivi”, contenuta nell’art. 29, secondo comma, d.lgs. 276/ 2003, deve essere interpretata in maniera rigorosa, nel senso della natura strettamente retributiva degli emolumenti che il datore di lavoro risulti tenuto a corrispondere ai
propri dipendenti, con conseguente esclusione delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno [Cass., sez. lav., 28517/2019].
Sulla base di questa logica devono essere espunte dal campo di applicazione della norma quegli emolumenti a natura mista retributiva/risarcitoria quali l’indennità sostitutiva di ferie e permessi (v. Cass. 17/06/2019 n. 15958).
Il carattere standardizzato delle prestazioni richieste al personale dedicato alle consegne e al montaggio – quale emerge sia dal contratto di appalto sia dalla narrativa della memoria di costituzione – consente di effettuare una valutazione uniforme dei risultati di prova acquisiti nell’istruttoria in ordine ai presupposti circostanziali dei singoli crediti fatti valere dai ricorrenti.
Quanto, in particolare, alla indennità di cassa e maneggio denaro, reclamata dal ricorrente per il costante maneggio di danaro, la Corte di Cassazione ha affermato che: “Poiché l'indennità di maneggio di denaro costituisce un istituto di derivazione esclusivamente contrattuale, le condizioni per l'insorgenza del relativo diritto in capo al lavoratore vanno individuate esclusivamente sulla base dell'interpretazione della specifica disciplina del contratto collettivo applicabile al rapporto, senza riferimento a pretese nozioni di carattere generale” (cfr. Cass. 17 aprile 2004, n. 7353) e che: “L'indennità di cassa, esclusa dalla retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, indica tutte quelle indennità previste dai contratti collettivi che, quale che sia il nomen iuris adoperato dalle parti (indennità di maneggio del denaro, indennità di cassa, indennità di rischio, indennità di cassa e di maneggio del denaro), sono collegate al maneggio del denaro quale mansione normale o prevalente del lavoratore, con connessa responsabilità dello stesso, e sono erogate in relazione al rischio che è connaturato a tale attività” (Cass. 23 novembre 1995, n. 12119).
Ebbene, nel caso di specie, l’art. 24 del CCNL MULTISERVIZI del 2011 stabilisce che: “Al lavoratore che ha normalmente maneggio di denaro con oneri per errori verrà corrisposta un’indennità nella misura del 3% sulla retribuzione tabellare della sua categoria di appartenenza. Gli interessi derivanti da eventuale cauzione andranno a beneficio dell’impiegato. Al personale normalmente incaricato della riscossione con responsabilità di bollette, fatture, note, eccetera, di importo complessivo superiore a € 4.65, sarà corrisposta un’indennità nella misura del 5% sulla retribuzione base”.
Osserva il Tribunale che, ai sensi del citato CCNL, i presupposti del diritto sono: 1) l'espletamento da parte del dipendente di un'attività lavorativa che sia inquadrabile come attività di "maneggio di denaro"; 2) la "normalità" di svolgimento di detta attività; 3) la previsione di "oneri per errori".
L'indennità spetta quindi al dipendente che maneggi il danaro alla stregua di una mansione continuativa e non occasionale o saltuaria e laddove lo stesso assuma la responsabilità finanziaria
degli errori, in modo che le normali mansioni del dipendente siano quelle estrinsecantesi obiettivamente in forma di pagamenti e riscossioni.
Tale attività deve essere fonte di responsabilità per errori, anche nella determinazione delle somme pagate o riscosse, ed al contempo costituisce maggior impegno per la tensione particolare e la conseguente maggiore diligenza che richiede nel prestatore d'opera.
Con riferimento a tali presupposti, il ricorrente non ha sufficientemente allegato né provato di essere stato gravato da “onere per errori”.
Si reputa quindi che il ricorrente si sia limitato allo svolgimento esclusivo di mansioni di “capo-furgone”, in quanto addetto al trasporto e al montaggio dei mobili, ossia prestazioni ben diverse dal normale svolgimento di attività contabile, con obbligo di rendiconto e responsabilità finanziaria.
Applicando questo criterio alla fattispecie in esame si può ritenere che il semplice maneggio del denaro da parte del ricorrente emerso dalla istruttoria svolta non sia sufficiente per riconoscere alla indennità in esame natura “strettamente” retribuiva.
Ed, invero, avendo l’istante svolto mansioni di autista trasportatore e montatore di mobili, il maneggio di danaro- diversamente da quanto accade ad esempio per un cassiere la cui prestazione è proprio quella di ricevere dall’acquirente il corrispettivo della vendita – non costituisce la prestazione prevalente della mansione, tale da ritenere immanente alla attività stessa una responsabilità che deriva direttamente dalle norme codicistiche che obbligano il dipendente alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (art. 2104 c.c.).
Ed infatti le prestazioni fondamentali del ricorrente era quello di consegnare e montare il mobile, mentre il ricevimento del denaro da parte del cliente aveva un ruolo accessorio e complementare, seppur avvenuto con continuità e responsabilità dell’incasso.
In questo caso deve dunque ritenersi che l’indennità di maneggio denaro ha natura indennitaria in quanto volta a compensare un ulteriore impegno non strettamente legato alla prestazione fondamentale.
Ciò ha trovato conferma anche in un recente arresto giurisprudenziale.
La Cassazione ha, invero, fornito un criterio distintivo consistente nell’individuare nell’ambito della contrattazione collettiva gli elementi compensativi che, essendo direttamente collegati alle caratteristiche proprie della prestazione, devono considerarsi di natura retributiva distinguendoli dagli emolumenti di carattere indennitario che sono invece diretti a compensare fattori di disagio estrinseci alla esecuzione della prestazione in senso stretto.
La Suprema Corte ha precisato che: “nel caso del lavoro notturno a turni non avvicendati il CCNL prevede una maggiorazione del 25% per una prestazione in sè caratterizzata da maggior disagio, a differenza di altri emolumenti indicati nel CCNL come indennitari che sono diretti a compensare
fattori di disagio non direttamente collegate all'esecuzione della prestazione in senso stretto, come ad esempio l'indennità di cassa e maneggio denaro.” (ordinanza n. 25000 del 23 ottobre 2017).
Assume poi particolare rilevanza il fatto che il legislatore abbia escluso l’indennità di cassa dalla retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali (art. 12 della l. 30 aprile 1969 n. 153).
La continuità del maneggio denaro rileva, dunque, ai fini della sussistenza del diritto del lavoratore a percepire il compenso dal proprio datore di lavoro ma non ai fini della individuazione della natura del compenso stesso, che in quanto non assoggettato a contribuzione, deve considerarsi avente carattere non strettamente retributivo.
Alla luce di queste considerazioni, deve ritenersi che la I., in quanto solidalmente responsabile per il pagamento delle retribuzioni spettanti ai lavoratori, non sia tenuta a corrispondere all’istante le somme quantificate a titolo di indennità di cassa. Quanto, poi, alle differenze sulla retribuzione ordinaria reclamate per il non corretto inquadramento nel livello 3 del CCNL Multiservizi, si osserva che anche tale domanda risulta infondata.
Ed, invero, alla luce delle difese delle parti, della documentazione prodotta e dell’istruttoria è emerso che il ricorrente ha svolto le mansioni di autista/montatore, con conduzione autocarri per i quali non era richiesta la patente C (prevista per autocarri di peso superiore ai 35 quintali), mansioni pacificamente rientranti nel livello di inquadramento dell’istante.
Ciò risulta chiaramente dalle stesse deposizioni testimoniali dei testi di parte ricorrente, atteso che il teste Antonio M. collega di lavoro dell’istante ha dichiarato “(…) sia io che il ricorrente eravamo Capo furgoni, ci siamo dunque occupati del trasporto e del montaggio dei mobili; Adr: la nostra giornata di lavoro iniziava alle 6:00 del mattino, orario in cui io e il ricorrente ci recavamo presso il deposito della E. Trasporti a Carinaro; lì prendevamo il mezzo che ci veniva assegnato e andavamo a caricare a Vega 12, che era il deposito della merce che andava consegnata nella provincia di Napoli e Caserta; successivamente al controllo della merce da caricare, facevamo un confronto con quelle da consegnare che veniva da noi spuntata su un tablet e dopo aver caricato il camion, partivamo per le consegne; Adr: all’uscita dal deposito c’era un preposto che controllava la nostra presenza con un tablet e una pistola ad infrarossi che marcava il codice della squadra addetta alla consegna; la squadra era composta da due persone, un capo furgone e un operaio; Adr: arrivati al luogo di destinazione, io e l’altro addetto portavamo la merce sul piano e provvedevamo al montaggio; Adr: in una giornata era possibile effettuare anche otto consegne; Adr: io e il ricorrente facevamo parte di due squadre diverse, essendo entrambi Capo furgone, ma è capitato di lavorare insieme nella stessa abitazione quando c’erano più consegne da fare; Adr: il pagamento della merce veniva effettuato alla consegna in contanti e lo stesso faceva anche il ricorrente come capo furgone; facevamo firmare al
cliente sul tablet per chiudere la consegna e questo consentiva alla società di monitorare anche il nostro lavoro; Adr: sia io che il ricorrente, come capi furgone, ricevevamo una formazione sul montaggio dei mobili, che veniva effettuato periodicamente; in un mese poteva capitare anche più volte; Adr: non eravamo dotati di alcuno strumento per trasportare la merce tipo muletti, o carrelli elevatori, portavamo tutto con le nostre braccia, salvo dei carrellini non elettrici con due ruote per fare piccoli spostamenti, ma comunque non ci servivano per salire le scale; Adr: sia io che il ricorrente siamo stati addetti al montaggio di tutti i tipi di mobili come quelli di camere da letto, cucine, camerette; poteva capitare, in caso di difficoltà nel montaggio di un top della cucina, facevamo noi una sagoma con un compensato, che dovevamo consegnare al supervisore nel deposito per far arrivare il nuovo pezzo; Adr: non ci siamo mai occupati di attacchi idrici o elettrici, ci occupavamo solo di montaggio dei mobili; Adr: gli strumenti che avevamo in dotazione erano: cassetta degli attrezzi completa, avvitatori, trapano, tassellatore, seghetto alternativo; Adr: il pagamento avveniva o in contanti o tramite pos, a seconda della disponibilità del cliente; Adr: l’orario di lavoro mio e del ricorrente era dalle 06:00 alle 18:00 dal lunedì al sabato, ma poteva variare in base ai tempi e alle zone del montaggio; preciso che la domenica era facoltativo, ossia potevamo essere chiamati in caso di necessità; Adr: i letti che ho montato erano di Mondo Convenienza e ricordo anche altri marchi come Marinelli e Imab; il furgone che guidavamo, le tute da lavoro che indossavamo erano di mondo convenienza, e anche il tablet che ci veniva dato in dotazione era di mondo convenienza; Adr: il peso della merce consegnata poteva variare, ricordo delle madie (Sanremo dark) che erano premontate e il loro peso variava tra i 50 e i 60 kg ed eravamo noi due addetti a trasportarli anche per le scale; Adr: l’operaio che ci aiutava si occupava della preparazione del lavoro, dell’apertura degli scatoli, della preparazione degli attrezzi, ma il montaggio vero e proprio era di competenza del capo furgone; Adr: non avevamo pausa pranzo, mi è capitato di mangiare alla guida del furgone se c’era tempo; Adr: per guidare il furgone era sufficiente una patente B, non era necessaria una patente speciale essendo il furgone di peso inferiore ai 35 kg; Adr: gli unici strumenti che ci venivano messi a disposizione per la sicurezza sul lavoro erano delle scarpe anti-infortunistica e dei guanti; Adr: anche in caso di consegna di merce di peso superiore a quello consentito, non potevamo rifiutarci e comunque in caso di mancata consegna veniva segnalato dal servizio clienti o potevamo essere chiamati dal supervisore; Adr: abbiamo partecipato anche a un corso di movimentazione dei carichi, finalizzato a farci comprendere come dovevamo sollevare i pacchi anche di peso superiore;(…)”.
Le medesime circostanze sono state confermate anche dal teste Postiglione Luca, escusso nel procedimento n. R.G. 2939/2021 le cui dichiarazioni risultano acquisite nel presente giudizio in quanto riguardanti i medesimi fatti oggetto di causa il quale ha dichiarato: “adr.: Indifferente. Ho lavorato per la E. trasporti soc. coop. dal 2017 al 2019, anno in cui ho firmato le dimissioni con
mansioni di capo-furgone. Conosco il ricorrente in quanto abbiamo iniziato a lavorare insieme per la E. Trasporti la quale si occupava di trasporti e montaggio dei mobili per conto della I. Mobili, per conto del marchio Mondo Convenienza. Anche il ricorrente svolgeva le mie stesse mansioni di capo-furgone. Sia io che il ricorrente alle 6 del mattino dovevamo presentarci al deposito di Carinaro, caricavamo i mobili sul furgone, ogni capo-furgone aveva il proprio furgone e un facchino che lo aiutava nel caricare a mobili e nello svolgimento delle altre mansioni. A questo punto, una volta caricati i mobili, e partivamo per le consegne, arrivati presso le abitazioni dei clienti scaricavamo i mobili insieme al facchino. Alcuni dei mobili superavano anche gli 85kg e dovevamo trasportarli a mano noi capo-furgoni con l’aiuto della seconda persona che lavorava con noi. Sia io che il ricorrente ci occupavamo anche del montaggio dei mobili che doveva avvenire nel rispetto delle regole impartiteci dagli esperti formatori di Mondo Convenienza. I furgoni che utilizzavamo erano di peso massimo di 35 quintali e per gli stessi è sufficiente l’utilizzo della patente B. Per quanto riguarda il ritorno nel deposito, lo stesso avveniva solo dopo il montaggio dei mobili e comunque non prima delle 19:30/20 e non avevamo nemmeno una pausa pranzo. (…)”.
Occorre, quindi, rilevare che per le mansioni di autista/montatore svolte dal ricorrente la parte datoriale ha correttamente riconosciuto il 3° livello CCNL Multiservizi.
Ed, invero, rientrano in tale livello: “i lavoratori qualificati, adibiti ad operazioni di media complessità (amministrative, commerciali, tecniche) per la cui esecuzione sono richieste normali conoscenze ed adeguate capacità tecnico-pratiche comunque acquisite, anche coordinando lavoratori inquadrati in livelli inferiori od uguali”. Profilo 3. lavoratori che eseguono attività di trasporto e movimentazione di materiali con mezzi complessi. Esempi: 3.1 Conducenti di autoveicoli e motocarri inferiori ai 35 quintali (per i quali non è richiesta la patente C e D); per contro rientrano nel 4° livello (quello reclamato dal ricorrente) “i lavoratori che, in possesso di qualificate conoscenze di tipo specialistico, esplicano attività tecnico - operative di adeguata complessità, ovvero svolgono attività amministrative, commerciali, tecniche; i lavoratori adibiti ad operazioni e compiti (esecutivi) per la cui attuazione sono richieste specifiche conoscenze tecniche e/o particolari capacità tecnico pratiche comunque acquisite, anche coordinando e sorvegliando attività svolte da altri lavoratori”. Profilo: 3. lavoratori che eseguono attività di trasporto e movimentazione di materiali con mezzi complessi e pesanti. Esempi: 3.1 Autisti e conducenti veicoli per i quali sia previsto il possesso della patente C o superiore.
Gli stessi testi di parte ricorrente hanno confermato che l’istante al pari degli altri colleghi con mansioni di autista montatore, conducevano esclusivamente furgoni di peso non superiore ai 35 quintali per i quali è sufficiente la patente B, ovvero l’unica posseduta dall’istante.
Per quanto riguarda l’inquadramento delle mansioni di montatore vi è poi da osservare che nel III livello Profilo: 5 rientrano quei “lavoratori che, sulla base di dettagliate indicazioni e/o disegni, eseguono anche con l’individuazione di semplici guasti attività di manutenzione e di riparazione con normale difficoltà di esecuzione” mentre nel superiore livello rivendicato rientrano quei “lavoratori che sulla base di indicazioni o schemi equivalenti procedono alla individuazione dei guasti, eseguono lavori di elevata precisione e di natura complessa per la riparazione, la manutenzione, la messa a punto e l’installazione di macchine e di impianti”.
Dunque, la differenza è data dalla complessità e elevata precisione dei lavori mentre si ripete il ricorrente si occupava del semplice montaggio di mobili, sulla base di disegni e indicazioni fornite dall’azienda. Ed, invero, dalla istruttoria è emerso che nel procedere all’assemblaggio dei mobili il ricorrente così come gli altri operai dovevano seguire esclusivamente le istruzioni di montaggio fornite unitamente alla mobilia.
Infondate sono poi le domande risarcitorie in ordine al danno per violazione della privacy e controllo non autorizzato, danno da usura psico-fisica e danno biologico differenziale, per la mancanza di puntuali allegazioni sull’an e sul quantum dell’asserito e non meglio specificato danno e trattandosi, in ogni caso, di emolumenti esclusi dal perimetro della responsabilità solidale della società committente, in quanto non rientranti tra le voci retributive previste dalla normativa in esame.
Deve, invece, ritenersi provato lo svolgimento da parte del ricorrente quantomeno di 11 ore al giorno di lavoro ovvero dalle 6:00 -17:30, detratta 30 minuti di pausa (cfr. dichiarazione teste M. “ (..) Adr: la nostra giornata di lavoro iniziava alle 6:00 del mattino, orario in cui io e il ricorrente ci recavamo presso il deposito della E. Trasporti a Carinaro (…)Adr: l’orario di lavoro mio e del ricorrente era dalle 06:00 alle 18:00 dal lunedì al sabato, ma poteva variare in base ai tempi e alle zone del montaggio; preciso che la domenica era facoltativo, ossia potevamo essere chiamati in caso di necessità” e del teste Postiglione “Sia io che il ricorrente alle 6 del mattino dovevamo presentarci al deposito di Carinaro, caricavamo i mobili sul furgone, ogni capo-furgone aveva il proprio furgone e un facchino che lo aiutava nel caricare a mobili e nello svolgimento delle altre mansioni.(…) Per quanto riguarda il ritorno nel deposito, lo stesso avveniva solo dopo il montaggio dei mobili e comunque non prima delle 19:30/20 e non avevamo nemmeno una pausa pranzo. (…) Né io né il ricorrente eravamo forniti di badge né di altro strumento per verificare l’orario di lavoro. Sia io che il ricorrente lavoravamo tutti i giorni dal lunedì al sabato compreso, mentre per quanto riguardava le domeniche a volte potevamo decidere di lavorare anche se era una scelta facoltativa”.
In proposito, quanto alla attendibilità del teste, ricorrente in autonomo giudizio promosso nei confronti della società convenuta avente analogo oggetto, è opinione di questo Giudice che la posizione dello stesso non comporta di per sé la sua incapacità a testimoniare o l'inutilizzabilità della
testimonianza assunta, come chiarito dai numerosi contributi della Suprema Corte , più volte chiamata ad occuparsi proprio del caso del collega di lavoro chiamato a testimoniare pur avendo analoga controversia pendente con lo stesso datore, dovendo aversi riguardo al tenore complessivo di credibilità della deposizione ( cfr. tra tante Cass. sent. n. 11204 del 21.05.2014).
Nel caso di specie, le dichiarazioni dei testi di parte ricorrente sono risultate, invero, genuine e scevre da contraddizioni e non sono mai risuonate come eccessive, compiacenti o forzate.
Invero, i testi di parte ricorrente hanno riferito di un orario dalle 6:00 del mattino, orario di arrivo al deposito di Carinaro e inizio di una serie di operazioni quali consegna di eventuali mobili di reso e del denaro contante, carico della merce e partenza con il furgone per effettuare le diverse consegne, scarico merce, montaggio mobili, per una giornata di lavoro pari a non meno di 11 ore al giorno, dal lunedì al sabato.
In particolare, le dichiarazioni del teste Postiglione hanno trovato riscontro nella deposizione del teste M., teste certamente “qualificato” in quanto ex collega di lavoro del ricorrente ed ex dipendente della Cooperativa, privo di interesse rispetto ai fatti di causa. Rilevato, tuttavia, che l’orario di fine turno indicato dal teste Postiglione (19.30 – 20.00) non ha trovato un preciso e puntuale riscontro nella deposizione del M. e stante la prova “rigorosa” richiesta sul punto, lo straordinario può ritenersi provato solo nei limiti sopra indicati.
Seppur nessuno ha riferito di una vera e propria pausa pranzo, non può negarsi che almeno mezz’ora al giorno i lavoratori si siano fermati per consumare un veloce pranzo.
Poiché dunque il lavoro straordinario deve essere provato rigorosamente, deve ritenersi raggiunta la prova di un orario giornaliero di 11 ore (ovvero dalle 6:00 -17:30, detratta 30 minuti di pausa) pari a 66 ore settimanali, dal lunedì al sabato, con riposo domenicale, non essendovi prova che ogni giorno di lavoro l’orario fosse superiore.
Il ricorrente ha dunque maturato un credito per prestazioni straordinarie, oltre l’orario ordinario fissato dall’art. 30 CCNL in 40 ore settimanali.
Con apposito conteggio, effettuato in corso di causa su invito del giudice, il credito relativo a tali ore è stato quantificato in € 37.844,58. Tuttavia, va rilevato che la retribuzione oraria presa come parametro maggiorata per le ore di lavoro straordinario è quella relativa al superiore livello, per cui questo Giudice ha provveduto alla quantificazione dell’importo spettante per le ore di straordinario svolto, tenuto conto della retribuzione oraria propria del livello di inquadramento, detratto quanto già percepito a tale titolo e risultante dai conteggi in atti per l’importo di € 35.542,2.
Per effetto delle spettanze accertate il ricorrente ha, poi, maturato anche il diritto al ricalcolo del TFR, stante il carattere continuativo delle prestazioni straordinarie. Vanno, al contrario, decurtate le ulteriori somme reclamate a titolo di differenze sulla retribuzione ordinaria, 13ma e 14ma mensilità
in mancanza di allegazioni specifiche sul punto e stante il rigetto della domanda di superiore inquadramento.
Sotto il profilo del quantum debeatur, effettuando una valutazione di carattere equitativo, partendo dal nuovo conteggio operato, è possibile, pertanto, riconoscere al DI V. una somma complessiva di euro 38.204,57 (di cui euro 2.662,37 a titolo di differenze sul TFR) con gli ulteriori interessi legali, sulla somma capitale da rivalutarsi anno per anno dalla maturazione del credito al saldo.
La I. Mobili s.r.l. deve, pertanto, essere condannata, quale corresponsabile in solido, a corrispondere in favore del ricorrente l’importo complessivo di euro 38.204,57 (di cui euro 2.662,37 a titolo di differenze sul TFR) con gli ulteriori interessi legali, sulla somma capitale da rivalutarsi anno per anno dalla maturazione del credito al saldo.
Le spese di lite tra il ricorrente e la I. Mobili SRL possono essere compensate per metà in ragione dell’accoglimento parziale della domanda; per la restante parte seguono la soccombenza prevalente della I., con liquidazione come da dispositivo. Vanno compensate le spese tra il ricorrente e Valter P., quale ex socio della E. trasporti, in ragione della circostanza sopravvenuta all'instaurazione del processo, costituita dalla cancellazione della società originariamente convenuta in giudizio, e delle
questioni di natura eminentemente processuale affrontate per decidere la controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli Nord, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando così provvede:
a) rigetta la domanda nei confronti di Valter P.;
b) condanna, quale corresponsabile in solido, la società I. Mobili s.r.l. a corrispondere al ricorrente il complessivo importo di euro 38.204,57 (di cui euro 2.662,37 a titolo di differenze sul Tfr) con gli ulteriori interessi legali, sulla somma capitale da rivalutarsi anno per anno dalla maturazione del credito al saldo;
c) respinge per il resto il ricorso nei confronti della I. Mobili s.r.l.;
e) compensa per metà le spese di lite tra il ricorrente e la I. Mobili s.r.l. e condanna la società I. Mobili s.r.l al pagamento del residuo che liquida in complessivi € 2.500,00, oltre rimborso per spese generali al 15 %, Cpa e IVA, con distrazione;
f) compensa le spese tra il ricorrente e Valter P..
Si comunichi
Aversa, 5/11/2024
Il Giudice del Lavoro
dott.ssa Raffaella P.